Coltivatori diretti e Iap, come compilare il modello 730 di dichiarazione dei redditi?

Come si compila il modello 730 di dichiarazione dei redditi per i coltivatori diretti? È da subito necessario precisare che non si paga l’Irpef per i terreni se i coltivatori risultano in possesso di qualifica di imprenditori professionali agricoli (Iap) oppure di coltivatore agricolo. Tuttavia, sul modello 730 di dichiarazione dei redditi va compilato il quadro “A”. Chi possiede dei terreni agricoli deve indicarne i redditi in questo quadro ai fini della determinazione delle imposte dovute.

Coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali (Iap): quando il possesso di terreni deve essere dichiarato nel modello 730?

Ma, in presenza della qualifica Iap o di coltivatore diretto, pur dovendo compilare il quadro “A” del modello 730, il contribuente beneficia delle agevolazioni fiscali che consentono di non ricomprendere i redditi di questi terreni ai fini della formazione della base imponibile. Nel caso in cui si tratti di un Iap, il contribuente deve indicarlo nel quadro A del modello 730 barrando la colonna 10.

Dichiarazione dei redditi degli agricoli: chi deve compilare il quadro A del modello 730?

A compilare il quadro “A” del modello di dichiarazione dei redditi 730 sono i conduttori dei fondi che rientrano nel regime di esonero. Tale regime permette loro di non dover presentare i modelli di dichiarazione dei redditi 770, Iva ed Irap. Sono altresì esonerati dalla compilazione di questi modelli (e dunque del solo quadro “A” del 730):

  • i soci delle società semplici che dichiarano solo la quota del reddito fondiario in proporzione alle percentuali di possesso;
  • chi partecipa all’impresa familiare;
  • gli agricoltori che, nell’anno prima, hanno ottenuto un volume di affari non eccedente i 7 mila euro. Tale somma deve essere stata prodotta per almeno i due terzi dalla cessione dei prodotti agricoli.

Quali redditi vanno dichiarati nel quadro A del modello 730?

Sono due i redditi che vanno dichiarati nel quadro “A” del modello 730 rientranti tara i redditi fondiari. Il primo è il reddito dominicale che deve essere dichiarato dai contribuenti che sono possessori del terreno perché proprietari o titolari di un altro diritto reale. Tra i diritti reali rientra l’usufrutto. Il secondo reddito da dichiarare è quello agrario. Riguarda chi svolge attività agricole sui terreni.

Quali terreni non vanno dichiarati nel quadro A del modello 730?

I terreni che non devono essere dichiarati nel quadro “A” del modello 730 di dichiarazione riguardano essenzialmente quelli che non producono redditi fondiari. Ovvero:

  • i terreni che si trovano all’estero. In tal caso sono produttivi di redditi diversi e dunque da inserire nel rigo D 4;
  • quelli che sono stati dati in affitto per finalità non agricole. Anche in questa situazione si tratta di redditi diversi da inserire nel rigo D 4;
  • i terreni, costituiti da cortili e giardini, che costituiscono pertinenza di fabbricati urbani;
  • infine i terreni, i giardini e i parchi che sono aperti al pubblico. Può trattarsi anche di terreni per i quali il ministero dei Beni e delle attività culturali ne abbia riconosciuto il pubblico interesse. La condizione per non dichiararli è quella che prevede che il proprietario non ne abbia ricavato alcuna tipologia di reddito nel periodo di imposta.

Come si determina la base imponibile per i terreni agricoli: terreni affittati o no

Per procedere alla determinazione della base imponibile per i terreni agricoli è necessario fare alcune considerazioni. Innanzitutto, se i terreni non sono affittati, l’Imu va a sostituire l’Irpef e le altri addizionali sui redditi dominicali. In altre parole, il contribuente si vedrà tassato il solo reddito agricolo. Se il terreno è affittato, invece, il contribuente dovrà versare sia l’Irpef che l’Imu. Inoltre è necessario verificare la qualifica: come già detto in precedenza, i coltivatori agricoli e gli imprenditori agricoli professionali non pagano l’Irpef. E, dunque, i relativi terreni non entrano nella base imponibile. Tale agevolazione, introdotta nel 2017 ed estesa fino al 2019, è stata ulteriormente prorogata dalla legge di Bilancio 2022.

Chi beneficia dell’esonero Irpef sui terreni?

Oltre ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti alla previdenza agricola, beneficiano dell’esonero Irpef:

  • i soci delle sole società semplici;
  • i familiari coadiuvanti del coltivatore diretto. In tal caso, deve trattarsi del medesimo nucleo familiare e deve sussistere l’iscrizione alla gestione previdenziale ed assistenziale agricola, nonché la partecipazione attiva all’impresa familiare. Nel modello 730, al quadro A, come per l’imprenditore agricolo professionale, si barra la colonna 10.

Base imponibile dei coltivatori agricoli se l’Irpef è dovuta

Al di fuori dei casi sopra descritti, nel caso in cui l’Irpef sia dovuta, sia il reddito agrario che quello dominicale concorrono alla formazione del reddito. In tal caso, la misura è corrispondente alla visura catastale del 1° gennaio dell’anno di imposizione. Questo valore deve essere rivalutato per l’80 e il 70% e, successivamente, per una nuova rivalutazione del 30%. Le due rivalutazioni (70 e 80%) non vanno applicate nei casi di terreni affittati per non meno di cinque anni e per utilizzi agricoli, a giovani imprenditori under 40. Questi ultimi devono essere Iap o coltivatori diretti. In tal caso, nel quadro A del modello 730 di dichiarazione dei redditi, il contribuente deve indicare il codice 4 alla colonna 7.

Come si compila il modello 730 di dichiarazione dei redditi dei coltivatori agricoli?

I coltivatori diretti devono compilare il quadro “A” del modello 730 di dichiarazione dei redditi per ogni terreno in possesso o condotto. Il numero dei terreni posseduti corrisponde a tanti righi da compilare del quadro “A”. Nella colonna 1, il contribuente deve indicare il reddito dominicale; invece, nella colonna 3 il contribuente deve indicare quello agrario. Nel caso in cui il terreno è solo coltivato, si dovrà compilare la sola colonna 3. Se, invece, il contribuente possiede solo il terreno, deve compilare la sola colonna 1. Il contribuente deve inserire i redditi non rivalutati: sarà chi presta assistenza fiscale a provvedervi.

Modello 730, quadro A dei coltivatori diretti: a cosa serve la colonna 2?

La colonna 2 del modello 730, al quadro A, serve per indicare la tipologia di possesso del terreno. Ad esempio, se il terreno è di proprietà e non è stato affittato, il contribuente deve indicare il codice “1”. Le colonne dalla 4 alla 6, invece, indicano ulteriori specifiche di possesso del terreno ed eventualmente il canone di affitto. Il contribuente deve indicare nella colonna 9 se non sconta l’Imu.

 

Coltivatori diretti, come si calcolano i contributi Ivs?

Oltre all’iscrizione all’Inps per i contributi, i coltivatori diretti devono versare anche l’Ivs, l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Il metodo di calcolo è differente rispetto a quello previsto dal legislatore per i contributi Inps. Questi ultimi sono dovuti in presenza di 104 giornate lavorative annue per ogni unità attiva nell’attività che sia chiamata a contribuire.

Contributi Ivs per i coltivatori diretti, i riferimenti normativi

La legge numero 1047 del 26 ottobre 1957 dispone che viene “istituita presso l’Istituto nazionale una Gestione speciale per i coltivatori mezzadri“. La gestione ha lo scopo di prevedere l’obbligo dell’assicurazione Ivs per i coltivatori diretti che siano i proprietari, gli affittuari, gli usufruttuari, gli enfiteuti e i pastori che si occupano, in maniera diretta e abituale, alla coltivazione manuale dei fondi o all’allevamento del bestiame.

Contribuzione Ivs, da chi è dovuta?

Pertanto, la contribuzione Ivs è dovuta sia dai coltivatori diretti che da ciascun altro membro della famiglia che vi sia iscritto. Il legislatore ha voluto estendere le tutele assicurative a tutti i familiari che siano addetti in maniera attiva nei lavori agricoli. L’assicurazione può essere fatta anche a favore di parenti e affini fino al quarto grado.

Contributi Ivs, come si calcolano per i coltivatori diretti e i familiari attivi nella coltivazione?

Sia i coltivatori diretti che i familiari iscritti all’assicurazione Ivs devono determinare i contributi dovuti applicando l’aliquota del 24%. Tale aliquota è rimasta invariata dal 2018 ad oggi. Il 24% si applica al reddito convenzionale che viene individuato seguendo una classificazione a 4 fasce di reddito. Per il calcolo del reddito convenzionale si fa riferimento alla legge numero 233 del 1990.

Coltivatori diretti, le quattro fasce di reddito previste dalla legge 233 del 1990

Secondo la legge numero 233 del 1990, “con decorrenza dal 1° luglio 1990 sono istituite, per gli assicurati iscritti alla gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, di cui alla legge del 26 ottobre 1957, la numero 1047, e successive modificazioni ed integrazioni, quattro fasce di reddito convenzionale individuate in base alla tabella D allegata alla presente legge ai fini del calcolo dei contributi e della determinazione della misura delle pensioni”.

Come si calcola il reddito convenzionale dei coltivatori diretti per l’applicazione del 24%?

Il comma 5 della citata legge spiega come procedere con il calcolo del reddito medio convenzionale per ogni fascia di reddito agrario prevista dalla tabella D. La determinazione avviene annualmente su base nazionale mediante il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con riferimento alle retribuzioni medie giornaliere di cui al primo comma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, numero 488. Il reddito medio convenzionale dei coltivatori diretti si determina, dunque, moltiplicando il reddito medio convenzionale giornaliero degli operai agricoli per il numero di giornate indicate nella tabella D allegata alla legge 233.

Contribuzione Ivs, come verificare a quale fascia di reddito si appartiene?

Il risultato che si ottiene dalla moltiplicazione rappresenta la soglia di reddito per verificare in quale fascia debba essere inserito il reddito agrario  denunciato dall’azienda nel momento in cui ha provveduto all’iscrizione. Se l’azienda risulta essere iscritta nella previdenza per l’attività di allevamento, il contribuente deve far riferimento al reddito agrario calcolato dall’articolo 32 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Coltivatori diretti: i versamenti dell’addizionale fissa giornaliera

Il contributi annuo ottenuto deve essere sommato all’addizionale fissa giornaliera. Tale addizionale è pari a 0,68 fino a un limite di 156 giorni. Il coltivatore diretto deve inoltre versare i contributi per l’indennità di gravidanza e puerperio. Infine sono da versare i contributi Inail che vengono riscossi dall’Inps grazie alla contribuzione unificata.

Contributi coltivatori diretti: quando scadono le quattro rate annuali?

I contributi, nel totale, si possono versare in quattro rate con le seguenti scadenze, sempre nel giorno 16 dei mesi di:

  • luglio;
  • settembre;
  • novembre;
  • gennaio (dell’anno successivo).

Infine, i coltivatori diretti e i loro familiari possono richiedere la riduzione dei contributi Ivs pari al 50% se hanno già superato i 65 anni.

Santi, navigatori e burocrati

All’ultima assemblea generale di Confartigianato il presidente Giorgio Merletti è stato chiaro: “Le imprese italiane corrono contromano e a occhi bendati e sembra si faccia di tutto per spingerci oltre confine per trovare condizioni normali per fare impresa: il fisco italiano tassa il 68,3% degli utili lordi d’impresa, in Svizzera appena il 30,2%“.

Un’accusa durissima e circonstanziata, basata su cifre reali. Secondo Merletti, chi dovrebbe determinare le sorti dell’Italia “non comprende che l’artigianato e le piccole imprese sono il cuore, le mani e l’intelligenza del made in Italy” e che tasse e burocrazia le stanno uccidendo.

Dall’inizio della legislatura tecnica a oggi, il Parlamento ha approvato ben 491 norme a contenuto fiscale, ciascuna corredata da decreti attuativi e circolari esplicative. Una zavorra che, secondo Merletti, “non possiamo più permetterci il lusso di indossare la maglia nera in Europa per la pressione fiscale e burocratica. Vorremmo cominciare a scalare la classifica. E non diteci che non ci sono risorse per cambiare le cose. Molti interventi si possono fare a costo zero. Però bisogna volerlo“.

Sul fronte della burocrazia, nell’ultimo anno le Pmi italiane hanno buttato in oneri amministrativi la bella cifra di 31 miliardi e l’ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficili per le imprese e per il Paese. Da metà novembre 2011 a giugno 2013 il numero delle aziende italiane è calato dell’1%, pari a circa 60mila imprese, 44mila delle quali artigiane per un calo pari al 3%. Un calo che, secondo Confartigianato, è legato a quello del Pil (-3,4%), del credito alle imprese (-6,4%) e inversamente proporzionale (guarda un po’…) all’incremento del debito pubblico (+6,4%).

Grandi alleate della burocrazia sono le tasse. Secondo un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato, nel 2013 gli italiani ne pagheranno 38 miliardi in più, vale a dire 639 euro di maggiori imposte pro capite, rispetto alla media dei cittadini dell’eurozona. Il divario tra Italia ed Europa è dato dall’aumento della pressione fiscale che quest’anno in Italia raggiungerà il 44,6% del Pil: 2,4 punti in più rispetto al 42,1% registrato nella media dei Paesi dell’eurozona. Ma c’è dell’altro. Secondo il rapporto, se si considera il mancato gettito dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva sale al 53,4% del sempre peggio. Torniamo a dire: come si fa a fare impresa così?

La burocrazia si mangia 100 giorni di lavoro all’anno

In un mondo perfetto gli imprenditori dovrebbero lavorare, fare business, produrre ricchezza e benessere. Nel mondo e nel Paese imperfetto nel quale viviamo perdono tempo, un sacco di tempo, a sbrogliare pratiche burocratiche.

La conferma arriva da Coldiretti, che in un’analisi ha stimato come nelle aziende la burocrazia faccia perdere fino a 100 giorni di lavoro all’anno che vengono sottratte all’attività di impresa per l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati, in un difficile momento di crisi.

Nell’analisi si evidenzia anche come la burocrazia rappresenti uno dei fattori indicati come principale ostacolo dai giovani che vogliono aprire una attività agricola. La situazione, secondo Coldiretti, è particolarmente grave, ad esempio, in uno dei settori simbolo del made in Italy come il vino dove, dalla produzione di uva fino all’imbottigliamento e vendita, le imprese devono assolvere a oltre 70 attività burocratiche e relazionarsi con 20 diversi soggetti: dal ministero delle Politiche agricole alle Regioni, dalle Province ai Comuni, fino ad Agea, Organismi pagatori regionali, Agenzia delle Dogane, Asl, Forestale, Ispettorato Centrale qualità e repressione frodi, Nac, Guardia di Finanza, Nas, Camere di Commercio, organismi di controllo, consorzi di tutela, laboratori di analisi. Giusto quattro gatti…

Secondo l’associazione, il peso della burocrazia è anche nella quantità di norme di settore del vino: sono oltre 1000, contenute in circa 4000 pagine di direttive, regolamenti, comunicazioni, note e decisioni del Consiglio e della Commissione europea, leggi, decreti, provvedimenti, note, circolari e delibere nazionali e regionali.

Il carico sovrumano rischia ora di gravare ancora di più sulle imprese, con la messa a regime del nuovo sistema di certificazione e controllo dei vini a Denominazione. Secondo Coldiretti, “dimezzare il tempo perso dalle imprese con la burocrazia, attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali, per l’unificazione di tutti gli adempimenti burocratici nel fascicolo aziendale” è uno degli obiettivi principali da perseguire, come illustrato nel documento “L’Italia che vogliamo”, presentato a tutti i gruppi politici.