Partita IVA all’estero: come aprirla legalmente e lavorare in italia

In questa rapida guida scopriremo come aprire partita IVA all’estero legalmente e sviluppare così una società estera redditizia con lavoro in Italia. 

Come aprire una partita IVA all’estero e poter lavorare in Italia

Dunque, per poter aprire una partita IVA all’estero in modo legale occorre collocare una vera attività all’estero, non un’attività dai contorni dell’evasione fiscale o dell’estero-vestizione, ossia che sembra estera ma che in realtà non lo è. Si possono fare affari e risparmiare sulle tasse aprendo una partita IVA estera in modo legale e sfruttare due differenti modalità che sostanzialmente dipendono dal tipo di attività svolta e dal luogo in cui si vuol vivere (che sia in Italia oppure no).

Ci sono, quindi, strumenti giuridici per aprire una partita IVA all’estero senza incorrere in spiacevoli conseguenze.

In Italia non è proibito esercitare attività imprenditoriali all’estero, così come non è vietato operare con partita IVA straniera in Italia. In pratica ci sono due modalità per aprire partita IVA all’estero in modo legale; il primo metodo utilizzabile è quello di avere la partita IVA in un Paese estero ma lavorare in Italia, il secondo metodo è trasferirsi all’estero e da lì creare una partita IVA per un’attività che poi viene svolta all’estero.

Andiamo a vedere nello specifico come fare.

Aprire partita IVA all’estero e lavorare in Italia

Come detto, poco sopra, effettuare l’apertura della partita IVA all’estero e lavorare in Italia è fattibile ed è legale, difatti i redditi saranno riconducibili ad attività svolte in Italia.

In tale modo, per aprire la partita IVA estera si dovrà dichiarare in Italia tutte le attività svolte, a prescindere da dove sono situati gli uffici e il personale della propria società all’estero. Qualora si aprisse la partita IVA all’estero e si lavori in Italia, quindi vivendo in Italia, occorrerà dichiarare il proprio guadagno della attività, poiché la società appartiene a un italiano, che spende quei soldi in Italia, dunque il Fisco ne vorrà necessariamente sapere di più.

Aprire la partita IVA all’estero e lavorare in Italia mette, dunque nella posizione in cui anche il Paese in cui è registrata la suddetta società estera vuole sapere di più sui movimenti economici del titolare. Il risultato di tale operazione è inevitabilmente quello che dovrete pagare le tasse sia all’estero che in Italia. Va, comunque detto che le imposte estere verranno detratte da quelle italiane, e all’Italia dovrà essere pagata la differenza.

Aprire partita IVA all’estero, cos’altro c’è da sapere

Prima di aprire partita IVA all’estero è bene sapere alcune cose da non fare:

  1. Avere soci italiani. Infatti, una società con partita IVA estera che presenta solo soci italiani è sconveniente e potrebbe attirare l’attenzione del Fisco. Ci sono molti vantaggi nell’avere soci residenti nel Paese in cui viene aperta la società con partita IVA estera, ad esempio un socio straniero conosce le leggi del suo Paese meglio di te che invece ti stai approcciando ora a un mondo tutto nuovo.
  2. Scegliere un centro di interessi in Italia. Il Fisco italiano ha l’occhio puntato sulle “furbate” quindi evita di scegliere un centro di interessi in Italia, per evitare che l’agenzia delle entrate ipotizzi che la tua partita IVA all’estero sia solo una estero-vestizione.
  3. Aprire un sito web in Italia intestato a soggetti residenti in Italia è una delle cose che mette l’ attività in cattiva luce agli occhi del Fisco italiano. Pure se non sembra che ci possa essere qualcosa di male, aprire un sito web in Italia che sia intestato a soggetti residenti in Italia quando l’ attività si svolge all’estero, è un controsenso che può allertare il Fisco.

Ci sono invece alcune altre cose da sapere per poter avviare con successo l’attività.

  1. Scegliere bene il Paese estero dove aprire partita IVA. Spesso gli italiani aprono la partita IVA estera in Paesi come Irlanda, Romania, Canarie, Leichtstein poiché sono ritenuti regimi fiscali favorevoli, con una pressione fiscale minore.
  2. Seguire le direttive della legge dello Stato in cui si apre la partita IVA e dimenticare come si gestisce un’azienda in Italia, siccome ogni Paese ha le proprie leggi.
  3. Occorre un professionista su cui contare che conosca le leggi del Paese estero e si informi per te, quindi si consiglia un socio del posto ed un professionista che gestisca la logistica.

Questo, dunque è quanto ci fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità di aprire partita IVA all’estero e lavorare in Italia.

Il nuovo regime dei minimi ammazza le nuove partite Iva

E dai e dai, il nuovo regime dei minimi ce l’ha fatta ad ammazzare le nuove partite Iva. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, a gennaio 2015 c’è stato un tracollo delle nuove aperture: -29,7% rispetto a gennaio 2014, la miseria di 56.717.

Secondo il ministero, “tra le nuove partite Iva di cui sono titolari persone fisiche si è rilevato un discreto numero di adesioni al nuovo regime forfettario (10.708 soggetti), introdotto dalla legge di stabilità per il 2015 in sostituzione del preesistente regime fiscale di vantaggio“.

Una constatazione fatta un po’ per ripulirsi la coscienza sulle nuove partite Iva, dato che poco dopo si legge nella nota che la diminuzione di gennaio “è stata influenzata dalla clausola prevista dalla stessa legge di stabilità che, insieme all’introduzione del nuovo regime forfettario, consentiva alle partite Iva in essere al primo gennaio 2015 di continuare a operare con il vecchio regime. È quindi probabile che diversi soggetti abbiano anticipato l’apertura della partita Iva entro la fine del 2014 (novembre e dicembre), ritenendo il regime allora in vigore più vantaggioso per la propria attività, facendo conseguentemente registrare un calo a gennaio 2015“. Ma dai! Al ministero hanno scoperto l’acqua calda.

La natura giuridica delle nuove partite Ivamostra che la quota relativa alle persone fisiche nelle aperture di partita Iva si attesta al 71,3% del totale, quella delle società di capitali al 20,5% e quella del le società di persone al 7,5%“. Senza contare che, rispetto al gennaio di un anno fa, le nuove partite Iva mostrano, per ogni forma giuridica, “un calo di aperture: modesto per le società di capitali (-3,3%), più evidente per le società di persone (-12,5%) e particolarmente accentuato per le persone fisiche (-36,2%) a seguito della novità normativa che riguarda esclusivamente le persone fisiche“. Standing ovation.

Intanto le nuove partite Iva ringraziano (ironicamente…) e quelle che avrebbero potuto essere ma non sono, devono aspettare tempi migliori. Con molta pazienza.

Aprire partita Iva, c’è ancora chi ci crede

Abbiamo visto nei giorni scorsi come, secondo la Cgia, il popolo delle partite Iva sia ormai il popolo dei nuovi poveri. Eppure c’è ancora chi ci crede e, in questo scorcio di 2014 si sta chiedendo se aprire partita Iva o no. Sempre che se ne voglia assumere i rischi, aprire partita Iva è una decisione da prendere entro il 31 dicembre.

Il Ddl di Stabilità cambierà un po’ di regole anche per i lavoratori autonomi che possono accedere alla posizione con il regime dei minimi. Aprire partita Iva dopo il 1 gennaio 2015 comporterebbe pagare un’imposta sostitutiva del 15% e non del 5% come ora. Inoltre, il monte dei ricavi non sarà più fissato a 30.000 euro, ma varieranno in base al tipo di attività svolta e la cifra sarà calcolata con un coefficiente di redditività variabile. Non sarà più uguale per tutti

Chi è scoraggiato dall’aprire partita Iva in regime dei minimi a fine anno perché dovrebbe sostenere fiscalmente i costi dell’operazione per poche settimane e pagare le imposte relative già nel 2015, può stare tranquillo se non percepisce alcun compenso, il timore è infondato. Deve anche tenere conto che, aprire partita Iva entrando adesso nel regime dei minimi, significa avere applicate le vecchie regole fino al termine del quinquennio concesso o fino al compimento del 35esimo anno di età se under 35.

Anche a fine 2014, il profilo del lavoratore che sceglie di aprire partita Iva in regime agevolato è quello di un autonomo che non ha un grande giro d’affari o investimenti cospicui da fare. Diverso il discorso per chi vuole aprire una start-up: il Ddl di Stabilità prevede per le start-up che il reddito imponibile considerato sia pari a un terzo del totale. Una spintarella per il neo imprenditore che vuole aprire partita Iva.