Imprese agricole e agroalimentari: arriva il credito di imposta del 40%

Arriva il credito di imposta del 40% per le imprese agricole e agroalimentari. Si tratta dell’incentivo per il commercio elettronico delle due tipologie di imprese agricole che può arrivare al 40% per gli anni 2021, 2022 e 2023. Il limite ammissibile è pari a 50 mila euro all’anno, secondo quanto prevede il comma 131 dell’articolo 1, della legge numero 178 del 2020 (legge di Bilancio 2021). La misura va a sostegno, in particolare, dello sviluppo del commercio elettronico e del made in Italy.

Credito di imposta del 40% per imprese agricole e agroalimentari: i riferimenti normativi

A disciplinare il credito di imposta del 40% a favore delle imprese agricole e agroalimentare per le strutture informatiche del commercio elettronico è il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate numero 174713 del 20 maggio scorso. Le risorse messe a disposizione delle imprese ammontano a 15 milioni di euro per tutto il triennio 2021-2023, pari a 5 milioni di euro all’anno.

Bonus 40% delle spese sostenute da imprese agricole e agroalimentare: per cosa si può ottenere il credito di imposta?

Ammesse al credito di imposta del 40% sono le imprese agricole e agroalimentari. Il bonus può essere richiesto anche dalle cooperative o dai consorzi che aderiscono alle “Strade del vino”, come previsto dalla lettera a), del comma 1, dell’articolo 2, della legge numero 268 del 1999. Le spese ammissibili riguardano le infrastrutture informatiche per realizzare il commercio elettronico delle imprese agricole.

Quali sono le spese ammesse al credito di imposta del 40% a favore delle imprese agricole?

Più nel dettaglio delle spese ammesse al credito di imposta, per ottenere gli incentivi è necessario fare investimenti per:

  • migliorare le potenzialità delle vendite a distanza verso compratori che si trovino al di fuori del territorio italiano;
  • creare depositi fiscali virtuali all’estero, la cui gestione è a carico di organismi associativi;
  • migliorare gli accordi con gli spedizionieri doganali;
  • infine portare avanti progetti e investimenti che possano incrementare le esportazioni mediante software, tecnologie, sistemi di sicurezza e sviluppo di database.

Credito di imposta alle imprese agricole per il commercio elettronico: come viene calcolato l’incentivo?

Il credito di imposta delle spese ammissibili sostenute dalle imprese agricole per favorire il commercio elettronico  si calcola nella percentuale del 40% per:

  • gli investimenti ammissibili effettuati nel limite di 50 mila euro per le piccole e medie imprese che operano nella produzione primaria dei prodotti agricoli;
  • le spese nel limite di 25 mila euro effettuate dalle grandi imprese che operano nella produzione primaria;
  • gli investimenti effettuati dalle piccole e medie imprese agroalimentari nel limite di spesa di 50 mila euro.

In tutti e tre i casi, la percentuale del 40% e il limite delle spese ammissibili è da ritenersi per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023.

Credito di imposta alle imprese agricole e agroalimentare: la comunicazione all’Agenzia delle entrate

Per usufruire del credito di imposta del 40% sulle spese per favorire il commercio elettronico delle imprese agricole, le imprese devono inviare comunicazione all’Agenzia delle entrate. La comunicazione per le spese sostenute nel 2021 va inviata a partire dal 20 settembre fino al 20 ottobre prossimi. Per le spese effettuate nel 2022, le imprese dovranno inviare comunicazione all’Agenzia delle entrate dal 15 febbraio al 15 marzo.

Contributi a fondo perduto Simest, apre da oggi lo sportello per gli incentivi

Apre da oggi, 27 aprile 2022, la procedura a sportello per la richiesta dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti agevolati Simest. Il perimetro dei finanziamenti per la transizione ecologica e digitale risulta esteso alle piccole e medie imprese anche con meno di 1.500 addetti, purché a vocazione internazionale. I finanziamenti possono arrivare a un milione di euro. A partire da oggi si può fare il pre-caricamento della domanda per una delle tre agevolazioni previste:

  • transizione ecologica e digitale;
  • fiere e mostre;
  • commercio elettronico.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti Simest: tutte le date per precaricare e inviare la domanda

Lo sportello per inviare le richieste dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti Simest ammetterà le domande pre-caricate nel sistema anche delle piccole e medie imprese. La fase di precaricamento sarà attiva fino a lunedì 2 maggio prossimo.  La domanda vera e propria potrà essere inoltrata a partire da martedì 3 maggio 2022, con scadenza fissata a martedì 10 maggio. La chiusura del portale di tutti i finanziamenti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) per inoltrare le domande è stata anticipata rispetto alla scadenza originaria del 31 maggio 2022.

Contributi a fondo perduto Simest: le novità di allargamento delle imprese beneficiarie e del tetto massimo di spesa

Due sono le novità dei contributi a fondo perduto Simest per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese. In primis, l’allargamento della platea delle imprese beneficiaria, comprendendo anche quelle fino a 1.500 dipendenti. In secondo luogo, cambia il tetto massimo di ammontare che passa a un milione di euro. Nel dettaglio, l’obiettivo della transizione ecologica e digitale passa da 300 mila euro di contributi a un milione di euro. Le imprese che già in precedenza avevano inviato domanda per i contributi con limite a 300 mila euro, possono presentare una nuova domanda per arrivare al nuovo tetto di incentivi.

Contributi a fondo perduto per la transizione ecologica e digitale: quali finanziamenti possono richiedere le imprese?

Nello specifico degli incentivi per l’internazionalizzazione delle imprese, i contributi a fondo perduto e i finanziamenti richiedibili dalle Pmi per la transizione ecologica e digitale prevede il seguente mix di incentivi:

  • una quota del 50% del totale dei finanziamenti è destinata agli investimenti per la transizione digitale;
  • la restante quota finanzia la competitività internazionale;
  • il finanziamento è a tasso agevolato in regime “de minimis” con cofinanziamento a fondo perduto in regime di “Temporary Framework”;
  • l’importo massimo finanziabile, fino a 1 milione di euro, non deve essere in ogni modo superiore al 25% dei ricavi medi ottenuti negli ultimi due bilanci approvati e depositati dall’impresa;
  • la quota dei contributi a fondo perduto è pari al 40% per le imprese del Sud Italia e fino al 25% per le imprese situate nelle altre zone.
  • la durata del finanziamento è di sei anni, dei quali due di pre-ammortamento.
  • alle imprese del Sud Italia è riservato il 40% della dotazione complessiva del Fondo 394 pari a 480 milioni di euro.

Finanziamenti e contributi a fondo perduto per le fiere e le mostre: in cosa consistono?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti agevolati per la partecipazione delle piccole e medie imprese a fiere e mostre internazionali, svolte anche in Italia, consistono in incentivi in regime “de minimis” con co-finanziamento a fondo perduto in regime di “Temporary Framework*”. L’obiettivo è quello di sostenere la partecipazione a un singolo evento internazionale: fiere, mostre, missioni imprenditoriali e missioni di sistema. In tal modo, l’impresa può promuovere la propria attività sui mercati esteri o in Italia. L’incentivo prevede l’erogazione di un finanziamento destinato per almeno il 30% alle spese digitali connesse al progetto. Il vincolo non si applica se l’evento internazionale riguarda tematiche digitali o ecologiche.

Quali finanziamenti possono richiedere le piccole e medie imprese per le mostre e le fiere?

Il mix di incentivi richiedibili dalle imprese per la partecipazione a mostre e a fiere consiste:

  • in aiuti fino a 150 mila euro e, in ogni modo, non superiori al 15% dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato e depositato dall’impresa;
  • una quota di contributo a fondo perduto di massimo il 40% per le piccole e medie imprese del Sud Italia e del 25% per le Pmi delle altre regioni;
  • la quota di cofinanziamento a fondo perduto è ottenibile, in ogni caso, nei limiti dell’importo massimo complessivo di agevolazione in regime di Temporary Framework per impresa. la durata dei finanziamenti agevolati è di quattro anni, dei quali uno di pre-ammortamento.

Finanziamenti per il commercio elettronico con i contributi Simest: in cosa consistono?

Tra gli incentivi ottenibili dalle piccole e medie imprese rientrano quelli per lo sviluppo del commercio elettronico in Paesi esteri. Sono previsti finanziamenti a tasso agevolato in regime de minimis con cofinanziamento a fondo perduto in regime di Temporary Framework. Gli incentivi sono destinati a realizzare progetti di investimento digitale per creare o migliorare piattaforme di commercio elettronico di proprietà (dedicata); o l’accesso a piattaforme di terzi (market place) per commercializzare beni e servizi prodotti in Italia o con marchio italiano.

Mix di incentivi per il commercio elettronico con l’estero targati Simest: cosa si può richiedere?

Gli importi massimi finanziabili con i finanziamenti e i contributi a fondo perduto Simest relativi al commercio elettronico con l’estero prevedono:

  • un tetto massimo di spesa fino a 300 mila euro per una piattaforma elettronica propria. L’importo concedibile non può eccedere, in ogni modo, il tetto del 15% dei ricavi medi ottenuti dagli ultimi due bilanci approvati e depositati dall’impresa;
  • Il limite di 200 mila euro per una piattaforma di terzi. Anche in questo caso, l’importo concedibile non può eccedere, in ogni modo, il tetto del 15% dei ricavi medi ottenuti dagli ultimi due bilanci approvati e depositati dall’impresa.
  • l’importo minimo degli incentivi è pari a 10 mila euro;
  • la quota massima dei contributi a fondo perduto è pari al 40% per le piccole e medie imprese del Sud Italia e del 25% per le imprese delle altre zone.
  • la durata del finanziamento è pari a quattro anni, dei quali uno di pre-ammortamento.

Come precaricare la domanda dei finanziamenti Simest per i contributi a fondo perduto alle piccole e medie imprese?

Per precaricare la domanda dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti è necessario andare sul portale Simest e, nella finestra di benvenuto, cliccare nella parte di “Inoltra la tua richiesta”. Il click porta direttamente all’area riservata “Sace Simest” da dove si potrà cliccare su “Accedi”. Nella stessa finestra c’è la possibilità di cliccare su “Registrati” nel caso si tratti del primo accesso alla piattaforma.

Bonus 4000 euro Pmi per le spese di digitalizzazione: click day il 16 maggio

Doppio intervento del ministero degli Esteri per la digitalizzazione e l’export delle micro e piccole e medie imprese. Da un lato l’assistenza tecnica sui servizi digitali, offerta in maniera gratuita, per le Pmi. Dall’altro un contributo minimo di 4 mila euro per l’export digitale. E due date da segnare: quella del 28 aprile prossimo per l’apertura di uno sportello telematico informativo; e quella del 16 per la richiesta dei contributi a fondo perduto per la digitalizzazione delle imprese.

Bonus per la digitalizzazione delle Pmi, la misura arriva dal ministero degli Esteri

La misura deriva dal Patto per l’export del 2020, voluta dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio per il rilancio del Made in Italy. Nello scenario attuale, la misura andrà a vantaggio delle imprese, e nello specifico delle micro e Pmi, per l’urgente necessità di digitalizzazione delle attività commerciali e per superare gli ostacoli legati agli accessi alle piattaforme internazionali di commercio elettronico. Inoltre, la misura mira a colmare il gap culturale in ambito digitale delle piccole e medie imprese rispetto ai concorrenti degli altri Paesi europei.

Servizi digitali gratis per le piccole e medie imprese: di cosa si tratta?

Il primo ambito della misura in arrivo dal ministero degli Esteri per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese comprende l’assistenza tecnica e gratuita per i servizi digitali delle imprese. Otto provider tecnologici internazionali sono stati selezionati dal bando del ministero degli Esteri sulla base delle offerte presentate per assistere le Pmi italiane nei processi di transizione digitale. Si tratta di eBay, Italia Online, Adiacent, Nexi Payments, Bonucchi e Associati, Google Ireland, Statista.com e Metagorà.

In quali attività le piccole e medie imprese riceveranno supporto dagli otto provider di digitalizzazione dell’export?

Le tipologie di servizi offerti alle piccole e medie imprese riguardano per l’assistenza nella transizione digitale dell’export riguardano:

  • la diffusione via web delle attività di formazione;
  • la conoscenza degli strumenti promozionali per l’esportazione del Maeci;
  • l’aggiornamento del digital temporary export manager;
  • gli studi e le analisi sulla promozione del Made in Italy;
  • la condivisione di provider.

Bonus digitalizzazione delle micro e Pmi: in cosa consistono i contributi a fondo perduto?

Oltre ai servizi di assistenza per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, è previsto un contributo a fondo perduto per l’export digitale. Le risorse per la misura del ministero degli Esteri ammontano a 30 milioni di euro. L’incentivo prevede un incentivo per le micro e le piccole imprese di 4 mila euro per spese ammissibili pari a non meno di 5 mila euro; il contributo può salire a 22.500 euro per i consorzi di imprese che effettuino una spesa minima in strumenti digitali di 25 mila euro.

Quali spese sono ammissibili per il bonus digitalizzazione delle Pmi da 4 mila a 22.500 euro?

Le spese ammissibili per richiedere il bonus da 4 mila a 22.500 euro comprendono:

  • la realizzazione di piattaforma di commercio elettronico verso l’estero;
  • l’implementazione o il potenziamento di applicazioni mobili o di siti internet per le operazioni commerciali;
  • l’automatizzazione delle operazioni;
  • la gestione dei prodotti in via digitale e tramite il marketing digitale.

Come e quando presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle micro e Pmi per la digitalizzazione dell’export?

Per la presentazione delle domande è necessario attendere la fine del mese. Il 28 aprile prossimo, infatti, a cura di Invitalia e Ice verrà aperto lo sportello elettronico per ricevere informazioni per usufruire dei contributi a fondo perduto per la digitalizzazione delle micro e piccole e medie imprese. La presentazione vera e propria delle domande è prevista per il 16 maggio 2022. Si tratterà di un click day e la richiesta dei contributi potrà essere presentata tramite il portale di Invitalia.

 

Vendita online con intermediario: non c’è obbligo di fatturazione

Nella vendita online è previsto che non vi sia obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi regolata dall’articolo 2 decreto legislativo 127 del 2015 e non vi è l’obbligo di fatturazione, ma molti si chiedono se la vendita online effettuata tramite un incaricato, o meglio un intermediario, sia da assimilare alla disciplina della vendita online.

Vendita online con intermediario: la questione da risolvere

A tale questione ha risposto l’Agenzia delle Entrate con l’interpello 793 del 25 novembre 2021. La questione è stata sollevata da una società, con sede in Italia e che opera prevalentemente sul territorio nazionale, che si occupa di produzione e vendita di prodotti cosmetici e alimentari. La stessa infatti propone la vendita dei prodotti attraverso un intermediario. L’Istante sottolinea nell’interpello che l’incaricato ha il solo compito di ricevere e immettere ordini e non può effettuare acquisti in proprio per poi rivendere i prodotti ad altri acquirenti. Inoltre non può effettuare ordini per il cliente che poi a sua volta intenda rivendere i prodotti. Si tratta quindi di vendita tra la società produttrice/distributrice e il consumatore finale e l’intermediario semplicemente immette gli ordini.

Il venditore, una volta ricevuto l’ordine e il pagamento anticipato con strumenti tracciabili, provvede telematicamente a inviarlo all’azienda attraverso un’area riservata del sito dell’azienda, che a sua volta recapita i prodotti direttamente all’acquirente finale emettendo lo scontrino e il documento di trasporto. La società si è quindi chiesta quali fossero gli obblighi da rispettare dal punto di vista fiscale.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate: interpello 793 del 2021

L’Agenzia delle Entrate nel fornire la risposta richiama la Risoluzione 274/E del 2009 in cui fornisce la definizione del commercio elettronico indiretto. Si tratta infatti di una transazione commerciale che avviene in via telematica sebbene l’acquirente riceva i prodotti fisici nella sede scelta secondo i canali tradizionali, cioè attraverso il vettore o spedizioniere.

Di conseguenza anche la vendita online tramite intermediario, prevedendo comunque un ordine immesso online deve essere considerato alla stregua di commercio elettronico e indiretto e di conseguenza non vi è l’obbligo di emissione della fattura, sebbene la stessa possa essere specificamente richiesta dall’acquirente e non vige l’obbligo di trasmissione telematica dell’operazione compiuta. Deve essere sottolineato che la fattura eventuale deve essere richiesta dal consumatore finale contestualmente all’effettuazione dell’operazione e non può essere richiesta in un momento successivo.

Nella risposta all’interpello l’Agenzia delle Entrate sottolinea che la società che si occupa di vendita elettronica o per corrispondenza è obbligata comunque ad adottare l’apposito registro dei corrispettivi giornalieri  dall’articolo 24 del Decreto IVA in conformità al DPR 696 del 1996 (Regolamento recante norme per la semplificazione degli obblighi di certificazione dei corrispettivi).

La risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate sottolinea che resta comunque salva la possibilità per la società di utilizzare soluzioni di memorizzazione e trasmissione telematica delle operazioni all’Agenzia delle Entrate e di fatturazione.

 

Cosa non si può fare con il commercio elettronico

I consigli su cosa si può fare per eccellere nella realizzazione di una scheda prodotto di un sito di commercio elettronico (e-commerce) non mancano mai e sono di vario genere. Ma cosa non si può fare lo dicono in pochi. Una pecca che porta i neofiti a commettere una serie di errori banali che gli impedisce di partire con il piede giusto nella loro attività di vendita online.

A questo punto, non ci resta che vedere cosa è consigliato non fare, quindi evitare di compiere su una scheda prodotto che dovrebbe consentire di invogliare il potenziale acquirente a comprare.

Cosa non si può fare con il commercio elettronico: non copiare

La prima regola per tutti coloro che praticano il copywriting o comunque che scrivono contenuti testuali sul web, è non copiare dagli altri siti. E’ risaputo che Google detesta, anzi, penalizza i contenuti duplicati, tanti da ometterli tra i risultati di ricerca o di piazzarli nelle retrovie, dove l’utente non arriva nemmeno. In casi più gravi e reiterati, il motore di ricerca di Mountain View, il più utilizzato in Italia dagli utenti per distacco, può decidere di affossare il sito e-commerce nelle ricerche.

Perché dovrebbe funzionare diversamente quando si crea una scheda prodotto per il proprio sito e-commerce? Pertanto, anche quando si parla di commercio elettronico, evitare di copiare ciò che hanno scritto i siti concorrenti, senza usare nemmeno l’accortezza di rielaborare il testo o di aggiungere qualcosa di originale, porta al medesimo risultato: un disastro. D’altronde, cosa dovrebbe leggere di diverso l’utente che non abbia già letto di quella scheda prodotto dalla casa madre?

Il danno e la beffa: copiare fa incavolare Google rendendoti quasi invisibile agli utenti, i quali non trovando niente di nuovo o che possa almeno incuriosirli, pur essendo piombati sul sito di commercio elettronico, sorvolano e non acquistano.

Evitare troppi banner e altri elementi di disturbo

Non inserire troppe pubblicità, troppi banner o altri elementi di disturbo che possano distogliere l’attenzione del potenziale cliente/acquirente sul prodotto che s’intende vendere. Tra gli elementi di disturbo ci sono anche i menù di navigazione laterali che inducono l’utente a cambiare pagina e fargli perdere completamente l’attenzione sulla scheda prodotto. Il cliente potrebbe così essere urtato da tanti elementi estranei, da scappare dal sito di commercio elettronico, nonostante fossero interessati al prodotto.

Non promettere ciò che non puoi mantenere

E’ una delle regole d’oro da rispettare per chi gestisce un e-commerce. Inserire una tot quantità di prodotto disponibile all’acquisto immediato, quando in realtà non sono nemmeno stati stoccati in magazzino, vuol dire rischiare di illudere tanti clienti di poter ordinare e ricevere velocemente un determinato prodotto che in realtà non è ancora reperibile. Si tratta di gettare l’esca per far abboccare i clienti, peccato che le aspettative saranno disattese per forza di cose e questo porterà al sito di commercio elettronico a perdere altri cliente, perché è risaputo che la pubblicità negativa, quindi le pessime recensioni, fanno allontanare chiunque voglia avvicinarsi.

La stessa cosa vale per i tempi di consegna, non solo non va indicata una disponibilità che non c’è, ma lede gli interessi del sito e-commerce anche indicare una arco di tempo di consegna impossibile o quasi da rispettare.

Il commercio elettronico deve essere ottimizzato in tutti i sensi

Non ci si può permettere di avere grandi aspettative di vendita del proprio prodotto del sito e-commerce, se non è ottimizzato per i dispositivi mobili. Ormai, la gran parte delle ricerche da parte degli utenti e nel caso specifico da potenziali clienti/acquirenti sono effettuate da mobile. Questo vale per un qualsiasi sito, anche non e-commerce.

Avere nel sito link rotti o non funzionanti che restituiscono un errore 404 all’utente, è un macigno pesante da togliersi da dosso. Non utilizzare la SEO nella scrittura, usare immagini di scarsa qualità, omettere la pagina “Chi siamo” e le recensioni dei prodotti in vendita, creare una navigazione complicata e/o un’esperienza d’acquisto difficile, non offrire incentivi di alcun tipo, tutti questi errori od omissioni indicate nell’articolo, non possono che diminuire se non azzerare il tasso di conversione.

Quindi? Se il sito di commercio elettronico è già così mal messo, non resta che affidarsi a dei professionisti esperti (consulenti, programmatori, sistemisti e similari) per correre ai ripari, ma la strada non sarà affatto breve e semplice.

La speranza è che questo articolo possa essere letto da chi ancora non ha lanciato il proprio e-commerce, in modo da capire cosa non fare!

L’ e-commerce corre veloce. E l’Italia?

A che punto è l’ e-commerce in Italia? E come sono messe le imprese italiane su questo fronte? Sono solo alcuni quesiti ai quali prova a rispondere con le proprie analisi il Consorzio Netcomm dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. E si tratta di risposte in chiaroscuro.

Intanto, secondo Netcomm nel 2016 l’ e-commerce in Italia arriverà a 19,3 miliardi in Italia, con una crescita del 140% in 6 anni, dagli 8 miliardi del 2010 e del 17% rispetto allo scorso anno (+17%).

Sono numeri figli di un’utenza dell’ e-commerce che, al momento, e di circa 20 milioni di persone (18,8) sui circa 30 che utilizzano regolarmente internet. Si tratta di circa il doppio rispetto a 5 anni fa, con un tasso di penetrazione del 61%. Se si pensa che, nel 2014, era al di sotto del 50%, si può ben intuire come, in Italia, l’ e-commerce ha finalmente cominciato a darsi una svegliata.

Questo sotto il profilo di chi acquista. Ma come è messo chi vende, o chi potrebbe vendere? Non benissimo, perché secondo Netcomm il giro d’affari del commercio elettronico in Italia potrebbe anche raddoppiare se, da noi, non ci fossero solo 40mila aziende che vendono online.

Ottimi quindi i margini di crescita, specialmente se si considera che la stima delle esportazioni di beni e servizi attraverso l’ e-commerce parlano di 3,5 miliardi, il 42% dei quali in ambito turistico e il 38% per l’abbigliamento e la moda.

Per quanto riguarda i beni acquistati tramite e-commerce dagli italiani, svettano i servizi turistici (8,5 miliardi), seguiti da elettronica e informatica (2,8 miliardi), prodotti vari (giocattoli, beauty…, 2,2 miliardi), abbigliamento e moda (1,8 miliardi), assicurazioni (1,3 miliardi), altri servizi (0,8 miliardi), food (0,5 miliardi).

Buono anche il trend degli acquisti attraverso e-commerce in mobilità. Quasi un quarto dei volumi (24%) avviene tramite smartphone (15%) e tablet (9%), con un giro d’affari che, per il solo smartphone, vale quasi 3 miliardi 2,8.

Il treno dell’ e-commerce corre veloce e, per le aziende italiane, perderlo e perdere così un mercato vastissimo di potenziali clienti sarebbe da irresponsabili, specialmente in un periodo nel quale il mercato interno è ancora in sofferenza.

Ecommerce in lenta ma costante crescita

C’è ancora chi dice che, per le imprese, l’ ecommerce è il futuro. In realtà è un presente a tutti gli effetti, anche se ancora da consolidare. Lo conferma anche Confesercenti, secondo la quale nel 2016 saranno quasi 16mila le imprese attive nell’ ecommerce in Italia.

Uno studio dell’associazione dei commercianti rileva infatti che, a fine 2016, le imprese italiane attive nell’ ecommerce saranno il 165,4% in più rispetto al 2009, per toccare le 50mila unità nel 2025.

Secondo Confesercenti, “le tecnologie digitali, web in testa, stanno rivoluzionando profondamente il modo di fare impresa. Anche nella distribuzione commerciale e nella ricettività turistica, dove sono sempre di più le imprese che usano strumenti digitali per fare business“.

Confesercenti ha provato anche a stilare un identikit degli imprenditori digitali che operano attraverso l’ ecommerce: “Sono anche più giovani della media. La caratteristica più rilevante del commercio via internet è proprio l’età degli imprenditori, di quasi 10 anni inferiore alla media del commercio al dettaglio (39,7 anni contro 48,2), tanto che la quota di imprenditori con meno di 35 anni è il 28,4% (nel commercio al dettaglio è 14,9%), così come più alta è la quota per gli under 50“.

I commercianti hanno anche stilato un profilo per nazionalità e sesso, differenziando tra ecommerce e commercio al dettaglio tradizionale: italiani nel 91,6% dei casi, contro l’83,6% e uomini nel 69,6% dei casi, contro il 60,7%.

Da ultimo, Confesercenti nota come la distribuzione geografica delle attività che praticano il commercio online sia lungi dall’essere uniforme: “Un terzo delle imprese che vendono via internet è concentrato in sole due regioni: la Lombardia, che nel 2016 dovrebbe raccoglierne quasi 3mila, e nel Lazio (1.840). Seguono la Campania, l’Emilia Romagna, il Piemonte, il Veneto e la Toscana“.

Acquisti online, che cosa vogliono i giovani

Che cosa si aspettano i cosiddetti Millennials (o Generazione Y, la generazione nata tra gli Anni ’80 e i primi anni Duemila) dagli acquisti online che effettueranno in occasione delle imminenti festività natalizie?

Una domanda, questa sugli acquisti online, alla quale ha provato a dare una risposta la società Dynatrace, che ha commissionato a Harris Poll un sondaggio su un campione composto da 5.110 adulti tra i 18 e i 34 anni, proprietari di smartphone o tablet, in 5 Paesi: Stati Uniti (2009 intervistati), Regno Unito (1.025), Francia (1090), Germania (1.071) e Australia (1.135).

Ebbene, da questa indagine è emerso che i Millennials stanno guidando una nuova richiesta di eccellenza nel campo delle prestazioni digitali, sono sempre più mobile, social e si aspettano una qualità superiore nell’esperienza web rispetto alle generazioni precedenti, specialmente in materia di acquisti online.

Nel dettaglio, la ricerca ha rivelato che:

  • Il 60% dei Millennials e il 42% di tutti gli utenti mobile hanno in programma di utilizzare il proprio smartphone o tablet per fare acquisti online in occasione del Natale 2015. Il sorpasso rispetto al negozio fisico tradizionale è vicino: globalmente il 50% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha dichiarato che farà shopping più dal dispositivo mobile che fisicamente in negozio. In UK il dato raggiunge il 60%.
  • Più di un utente mobile su quattro (27%) e quasi 4 su 10 nel caso dei Millennials (37%) userà il proprio dispositivo per fare acquisti online quando si trova in un negozio in cerca di regali. Il 62% dei Millennials utilizzerà il dispositivo per confrontare i prezzi, leggere le recensioni sui prodotti e scaricare coupon. Negli Stati Uniti in trend è più forte e il 71% dei consumatori entrerà nei negozi con il proprio smartphone per questo motivo.
  • Il 75% degli intervistati e l’81% dei Millennials abbandoneranno l’acquisto e si rivolgeranno altrove se il sito o l’applicazione mobile di e-commerce presenteranno bug, saranno lenti o soggetti a crash. Gli utenti mobile in Germania perdoneranno ancora meno e l’abbandono degli acquisti online avverrà nell’87% dei casi. Il 49% degli utenti della Generazione Y e il 47% di tutti gli intervistati dichiarano che acquisteranno altrove se un sito mobile o un’applicazione non riuscirà a caricare la pagina/i dati in meno di tre secondi. Considerando che, in caso di malfunzionamento, solo il 68% proverà in futuro a riutilizzare ancora una volta il sito mobile o l’app, la perdita dei possibili acquirenti si rivela immediata e consistente: il 32% di essi.
  • Nel mondo digitale di oggi, le applicazioni sono il brand e se offrono esperienze deludenti, tutto il mondo ne può venire a conoscenza e la fedeltà dei clienti ne risentirà. Il 51% dei Millennials ha dichiarato che si lamenterà sui social network nel caso l’esperienza di acquisti online sia stata negativa. In Australia lo farà il 59% di essi.
  • Il 54% dei Millennials preferisce utilizzare le applicazioni specifiche dell’azienda scaricate da un app store per lo shopping online, piuttosto che i siti web aziendali. La motivazione indicata dal 62% di essi è che le applicazioni mobile specifiche dell’azienda garantiscono una migliore esperienza utente rispetto alle prestazioni di un sito web. In UK anche questa percentuale è più elevata, con il 71% dei Millennials che ha indicato le mobile app come preferenza.

E-commerce e retail, una sinergia possibile

Chi ha un’attività commerciale, in franchising o meno, non può più prescindere dall’ e-commerce, specialmente se si tratta di un top retailer. Una dinamica la cui conferma arriva dalle analisi dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, secondo le quali il numero delle persone che acquistano online in Italia (17,7 milioni) è cresciuto dell’11% nel 2015 rispetto al 2014, così come è aumentato il numero di chi utilizza piattaforme di e-commerce: 38 milioni di persone, +3% anno su anno.

Il giro d’affari del commercio elettronico è cresciuto del 28% nel 2015, per un controvalore di oltre 7,2 miliardi di euro nella sola componente di prodotto, con in testa l’abbigliamento (32% sul totale dell’ e-commerce), seguito dall’informatica e dall’elettronica di consumo (27%).

Giova ricordare che l’analisi dell’Osservatorio, condotta sui primi 300 retailer per fatturato, presenti in Italia con punti vendita fisici, si è concentrata sul livello di adozione di 30 innovazioni digitali fondamentali per l’ e-commerce da parte di questi retailer nel 2015. Insieme ai propositi di adozione degli stessi per il prossimo anno.

Ebbene, per queste innovazioni (divise in customer experience, back-end e multicanalità) si è scoperto che i retailer hanno investito maggiormente nel back-end (86%), suddivise in sistemi di business analytics a sostegno dell’ e-commerce (21%), CRM (18%), fatturazione elettronica (18%).

Lato customer experience i retailer hanno investito nel 33% dei casi, con miglioramento di app e sito mobile (27%), pagamenti elettronici anche contactless (18%), sistemi di online selling in punto vendita o sales force automation (17%).

Grande attenzione anche al tema della multicanalità, vero punto di forza dell’ e-commerce. Il 29% degli intervistati ha sviluppato l’App o il sito mobile, il 22% ha sviluppato o potenziato proprio il sito di e-commerce, il 21% ha sviluppato o potenziato il sito informativo, il 18% ha investito nella strategia social.

Le Pmi del commercio diffidano dell’ e-commerce

Noi di Infoiva per l’ e-commerce abbiamo il chiodo fisso. Siamo da sempre convinti che sia un’opportunità anche per le piccole imprese, non tanto per sostituire il commercio fisico, quanto per creare un canale alternativo al retail che possa raggiungere un mercato potenzialmente sconfinato. Con ricadute vitali sul business.

A capire quanto anche le piccole imprese italiane abbiano questa percezione dell’ e-commerce ci ha provato anche Confesercenti, con uno studio sul commercio elettronico e i piccoli e le Pmi del commercio, realizzato in collaborazione con l’istituto di ricerca Swg e l’Osservatorio innovazione digitale del Politecnico di Milano.

Ebbene, dalla ricerca emerge che le piccole imprese commerciali hanno una visione non univoca delle potenzialità e degli effetti dell’e-commerce: il 55% degli imprenditori considera le vendite online un’opportunità di crescita mentre il 31% vede nell’ e-commerce una minaccia per la rete commerciale tradizionale, che rischierebbe persino di sparire.

Vincono quindi coloro i quali vedono positivo, tanto che per il 48% degli imprenditori intervistati le imprese commerciali devono implementare canali di e-commerce, magari da affiancare a un investimento sui social network per promuovere la propria attività.

Entrando nel dettaglio dei dati, la ricerca di Confesercenti rivela che solo il 12% degli imprenditori intervistati usa il web come canale di vendita, il 38% prevede di farlo e ben il 42% non è interessata a farlo in futuro.

Tra gli intervistati, il 53% ha un proprio sito indipendente di e-commerce, il 51% si appoggia a eBay, il 16% utilizza i social network, il 7% si appoggia ad Amazon e il 6% ad altre piattaforme di e-commerce.

Il freno all’investimento in e-commerce, secondo quanto risulta dallo studio, è caratteristico soprattutto delle imprese commerciali più piccole; infatti, solo il 20% delle realtà intervistate consente l’acquisto online dal proprio sito mentre ben l’80% si è limitato a promuovere la propria attività attraverso coupon, mail promozionali, sms promozionali o social network.

Rimane, alla fine dello studio di Confesercenti, un dato poco incoraggiante. Secondo l’associazione, infatti, il sentimento che prevale è lo scetticismo, poiché la maggior parte degli intervistati esclude di attivare una piattaforma di e-commerce a causa di investimenti che ritiene troppo elevati (specialmente quelli in logistica), a fronte di ricavi non sicuri. Speriamo che il vento cambi…