Chiarimenti dell’Inps sul congedo parentale

Dall’Inps arrivano importanti puntualizzazioni in tema di congedo parentale. L’istituto, con il messaggio 6704 del 3 novembre 2015, dà importanti informazioni relativamente alla cumulabilità del congedo parentale, quando fruito in modalità oraria con altri permessi o riposi.

L’Inps precisa che c’è incumulabilità, con il fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro, utilizzando il congedo in modalità oraria nei casi in cui il lavoratore vuole assicurare al datore di lavoro una parziale prestazione lavorativa nella medesima giornata.

Ne deriva quindi che il genitore, qualora sia assunto come lavoratore dipendente, se si astiene dal lavoro fruendo di un congedo parentale a ore non può fruire nella stessa giornata di congedo parentale a ore per altro figlio, né di riposi orari per allattamento anche nel caso siano richiesti per bambini differenti.

Analogamente, se il congedo parentale è fruito in modalità oraria non è cumulabile con i riposi orari giornalieri previsti per i figli disabili gravi alternativamente al prolungamento del congedo parentale, anche se richiesti per figli differenti.

La sfida della conciliazione vita-lavoro

La conciliazione vita-lavoro è una delle grandi problematiche del lavoro contemporaneo e una tematica che sempre più imprese si trovano ad affrontare. La sensibilità su questo fronte è molto aumentata se i dati dicono che negli ultimi 5 anni sono cresciute del 39% in Italia le imprese (circa 6mila per 53mila dipendenti e un giro d’affari di 400 milioni) nei settori dell’istruzione, tempo libero, servizi alla persona, che aiutano nella conciliazione vita-lavoro.

Un tema di cui si è parlato nei giorni scorsi a Milano e che è stato l’occasione per fare il punto sulla conciliazione vita-lavoro in Lombardia +174% in regione in cinque anni delle imprese che aiutano la conciliazione vita-lavoro, pari a circa 1300 soggetti, rispetto ai 471 del 2010, che danno lavoro a 13mila addetti, +3% rispetto al 2014. Un addetto su quattro in Italia si concentra in Lombardia e una impresa su cinque, per un giro d’affari di 100 milioni.

Secondo un’indagine della Camera di commercio di Milano realizzata su circa 300 imprese a settembre-ottobre 2015, la conciliazione vita-lavoro per le donne non è facile nel 65% delle imprese, è invece già ora possibile nel 20%. Secondo l’indagine, una città a misura di donne e famiglia nei ritmi, orari e servizi, genererebbe un vantaggio economico per il territorio che gli operatori stimano di 40 miliardi. Prima modalità indicata sarebbe la flessibilità di tempi e orari della città per il 52%, poi la crescita delle pari opportunità per il 10%, gli aiuti economici alla maternità per l’8%, una maggiore vivibilità e attenzione a verde e ambiente per l’8%.

Per Federica Ortalli, presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di commercio di Milano, la conciliazione vita-lavoro è una tematica non più rimandabile per le aziende: “Il lavoro femminile è una risorsa centrale nella nostra economia. C’è un bisogno crescente di servizi per aiutare l’integrazione delle attività tra lavoro e famiglia, con un possibile impatto in termini di vantaggi economici”.

Confassociazioni e la conciliazione vita-lavoro

Confassociazioni torna sul decreto attuativo del Jobs Act che riguarda la conciliazione vita-lavoro. “Lo scorso 11 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto attuativo del Jobs Act sulla conciliazione vita-lavoro in vigore a fine giugno – ha dichiarato Federica De Pasquale, vicepresidente di Confassociazioni con delega alle pari opportunità -. Ancora una volta, però, dobbiamo registrare il fatto che il decreto non contribuisce in alcun modo ad aiutare chi è iscritto alla Gestione separata dell’Inps, non potendo accedere alle agevolazioni previste per il lavoratore dipendente in caso di maternità, malattia o assistenza a un famigliare disabile“.

Auspicavamo maggiore coraggio da parte del Governo nei confronti del mondo delle partite Iva che rappresentiamo – ha proseguito De Pasquale di Confassociazionima, ancora una volta, dobbiamo prendere atto che si continuano a discriminare i professionisti e i lavoratori autonomi pure quando si parla di famiglia e di diritto alla maternità. Il provvedimento va a modificare anche alcune parti del testo unico a tutela della maternità (n. 151 del 26 marzo 2001) e si impegnerebbe a rendere più flessibile il congedo di maternità/paternità, sia quello facoltativo (sei mesi) sia quello parzialmente retribuito al 30% prorogandolo fino all’età di 6 anni del bambino. Pur avendo esteso l’erogazione dell’indennità ‘anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95, non iscritti ad altre forme obbligatorie e anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi’, per questa categoria di mamme e di papà nei fatti non cambia nulla, permanendo l’assurdo vincolo di astenersi dall’attività lavorativa per tutto il periodo in cui si usufruirebbe del congedo”.

Sia chiaro: non è obbligatorio, ma lo diventa perché a questa astensione è subordinato il pagamento dell’indennità. Ancora una finta agevolazione per la nostra categoria visto che le professioniste iscritte alla gestione separata possono accedere all’indennità di maternità a condizione che l’astensione effettiva dall’attività lavorativa sia attestata da apposita dichiarazione. Così, nei fatti, si continua a impedire a tante donne di usufruire della tutela prevista alle loro omologhe iscritte a casse professionali private o alle gestioni speciali Inps (come artigiane, commercianti)”.

Porre l’aut-aut, indennità o lavoro, è una discriminazione insopportabile – puntualizza la vicepresidente di Confassociazioni -. Infatti, se la professionista scegliesse di percepire l’indennità nessuno può garantirle di riuscire a mantenere la sua attività, anzi c’è il rischio di doverla chiudere per l’automatica diminuzione del giro d’affari e del numero clienti, portafoglio costruito nel tempo con professionalità. Di contro, se scegliesse il lavoro, dovrebbe rinunciare all’indennità di maternità per la quale ha, nel corso della sua vita lavorativa, regolarmente pagato i contributi all’Inps e che continuerebbe a versare anche nel periodo della maternità se optasse per il congedo”.

L’altra assurdità che infine rileviamo – conclude la vicepresidente di Confassociazioniè, comunque, la durata delle nuove disposizioni in materia di congedo parentale. Il recente decreto sarà valido in via sperimentale solo per il 2015, in pratica per sei inutili mesi. Un finto bonus temporale che non potrà essere prorogato per il 2016 mancando la copertura finanziaria. In tutto questo è doveroso ricordare che sono già scaduti i termini per iscrivere i bambini agli asili nido comunali e, che, spesso il reddito ISEE del nucleo familiare di un libero professionista supera, anche se non di molto, la soglia minima prevista per ottenere gli assegni familiari del comune, così come il voucher di 600 euro al mese per baby sitter e asili nido (valido per 6 mesi se si tratta di neo mamme dipendenti e per soli 3 mesi per le neo mamme iscritte alla gestione separata Inps). Con l’ottimismo che ci contraddistingue, informiamo il Governo che la nostra battaglia per garantire pari trattamento ai genitori liberi professionisti non si ferma: il diritto alla maternità deve essere uguale per tutte le categorie di lavoratori come avviene in tutta Europa“.