Le industrie di Confapi Piacenza chiedono l’aiuto dei politici

In occasione dell’Assemblea Generale di Confapi Industria, Cristian Camisa, presidente di Confapi Industria Piacenza, ha voluto mettere in risalto il notevole sforzo da parte delle industrie di rimanere sul mercato, nonostante i tempi avversi attraversati durante la crisi economica, ed è stato chiesto, a questo punto, l’intervento del Governo per poterle sostenere in questo tortuoso e complesso cammino.

Queste le parole di Camisa: “Siamo un vulcano di idee e abbiamo una squadra molto unita: se l’associazione è cresciuta in questi anni è merito degli imprenditori che ne fanno parte, ne vado orgoglioso perché essere cresciuti così in un momento come questo è un piccolo miracolo. La crisi ci ha messo a dura prova negli ultimi dieci anni, ma ogni imprenditore ha messo in discussione se stesso per rimettersi sul mercato. Tuttavia non basta: deve essere coinvolta anche la politica. Noi abbiamo 2260 miliardi di debito pubblico: questo significa che finanziare la spesa per gli investimenti risulta difficile e altrettanto lo è competere in maniera pari con gli altri Paesi europei. Le imprese si sono messe in discussione ed è ora che lo facciano anche i politici”.

Inoltre, in occasione del ballottaggio del prossimo 25 giugno, che deciderà chi tra Patrizia Barbieri e Paolo Rizzi diventerà nuovo sindaco della città, è stato chiesto ai due candidati, entrambi presenti all’assemblea, di firmare un documento redatto proprio da Confapi Industria Piacenza, con una serie di punti programmatici che devono essere rispettati anche e soprattutto dalla nuova amministrazione: “Chiediamo a chi amministrerà Piacenza di proseguire la nostra battaglia della Tari e di passare dai 48 regolamenti provinciali tuttora vigenti a uno solo, ma chiediamo anche una mappatura degli edifici industriali del territorio, un’impegno per favorire la sburocratizzazione e soprattutto ribadire che Piacenza è una città manifatturieradato che grazie alla manifattura abbiamo “tenuto” sul mercato. Se logistica deve essere lo sia maintegrata con le aziende del territorio. Infine chiediamo di definire assieme attraverso dei forum mensili che Piacenza vogliamo nei prossimi anni: non mi rassegno a pensare alla nostra città come a una periferia di Parma e finora il discorso sull’area vasta ci ha portato in questa direzione. È giunto il momento di capire cosa resti ancora all’interno dell’area vasta e prevedere quello che deve essere destinato a Piacenza. In questo senso non possiamo prescindere dalla politica perché una politica debole è un danno per le imprese: è vero dunque che Confapi Industria ha bisogno di Piacenza, ma lo è altrettanto anche il contrario. Piacenza ha bisogno di Confapi Industria”.

L’assemblea è stata anche occasione di dare spazio a quattro aziende associate a Confapi Industria Piacenza che hanno ricevuto un premio speciale: Nordmeccanica Spa di Antonio Cerciello ha ricevuto il premio come industria globale, mentre a Gam Raccordi Spa e Omr Spa di Massimiliano Righi è stato attribuito il premio come medio/grande industria; Escar Srl di Massimo Franchia ha ricevuto il premio destinato all’industria medio/piccola e Molinari Srl di Ivana Molinari è stata premiata come impresa femminile.

Vera MORETTI

Galassi: “Fallimenti record? Finito il tempo degli slogan, bisogna agire”

Con oltre 3 mila industrie associate – distribuite in tutti gli ambiti produttivi dal metalmeccanico all’edile, dal chimico al plastico, dal tessile al grafico e cartotecnico -, dal 1946 CONFAPI INDUSTRIA lavora al servizio della piccola e media impresa che, secondo il presidente Paolo Galassi che oggi abbiamo incontrato, “sono sempre più fiaccate da anni di crisi economica in cui la loro capacità di resistenza è messa ogni giorno più alla prova”.

Nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa. Come leggere questi dati?
La capacità di resistenza delle imprese, provate da anni di andamenti negativi, è ai limiti. Sia le imprese di piccole sia quelle di grandi dimensioni risentono in modo significativo delle variazioni e delle oscillazioni di medio termine della domanda dovute anche a fattori esterni,come la recessione economica e la situazione socio politica. Le aziende fiaccate oramai da anni di crisi economica sono quindi più esposte al rischio di insolvenza.

Nel Mezzogiorno e nelle Isole i fallimenti sono saliti del 15% rispetto ai primi sei mesi 2013, nel Nord Ovest del 10,7% e nel Centro Italia del 10,4%. Le imprese sono le vittime privilegiate di una crisi che non sembra avere fine…
La situazione è drammatica ovunque. Nel Nord Italia però dove è presente il maggior numero di imprese l’impatto è stato più rilevante. Bisogna tenere conto infatti che il dato del PIL pro capite delle imprese del Nord è molto più elevato di quelle del Sud. Va evidenziata inoltre la drammatica percentuale di inoccupati al Sud tuttora in aumento.

Quale può essere la soluzione?
I piccoli e medi imprenditori da troppo tempo attendono un segnale forte, convinti che la disoccupazione si possa combattere solo finanziando lo sviluppo delle imprese. In assenza di interventi significativi e di misure strutturali di politica economica, aumenteranno sempre più mobilità e fallimenti, andando a depauperare un territorio che si prepara ad accogliere un evento internazionale dove l’eccellenza dovrebbe essere la protagonista. Lo Stato, infatti, continua a far ricadere sulle imprese il costo del welfare e delle proprie inefficienze attraverso l’aumento delle imposte e dei var i gravami burocratici. Per competere a livello europeo è necessario agire.

D’accordo, ma in che modo?
Una ricetta efficace passa attraverso la deregulation e il taglio delle imposte sulla produzione, come la TASI – che ricordo colpisce i metri quadri dedicati alla attività, anche se improduttivi – e l’IRAP che congloba nella propria base di calcolo anche il costo del lavoro. Inoltre non è più tempo di anacronistiche presunzioni di reddito basate sui costi, come gli studi di settore. È necessario facilitare la penetrazione commerciale all’estero, agevolare l’accesso al credito, sostenere gli investimenti. Alcune di queste iniziative sono presenti nello Sblocca Italia, ma sono ancora inattuate. Non basta fermarsi ai proclami, bisogna agire subito!

Jacopo MARCHESANO

Galassi: “Debiti Pa? Siamo ai limiti dell’emergenza sociale”

Il ministero dell’Economia nei giorni scorsi ha reso noto che per le imprese fornitrici è stata avviata “la terza tranche delle risorse finanziarie aggiuntive che lo Stato mette a disposizione degli enti locali per il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012″. La dotazione finanziaria di questa terza tranche ammonterebbe a circa 1,8 miliardi di euro, assegnata agli enti locali in sede di ripartizione delle risorse stanziate per il 2014 dal decreto legge n. 102/2013, ma le ombre rimangono. Dopo l’intervista di ieri con Edoardo Boccalini, segretario nazionale INT, oggi abbiamo incontrato Paolo Galassi, presidente di Confapi Industria, l’associazione delle piccole e medie imprese manifatturiere e di servizio alla produzione.

Presidente Galassi, a proposito di debiti della Pa: sblocco o spot da campagna elettorale?
Le Pmi rappresentano a livello territoriale le prime fornitrici di servizi per Comuni, Province, Regioni, Asl e tutto ciò che costituisce la pubblica amministrazione. I ritardi nei pagamenti, che possono arrivare anche dopo due anni, creano disagi enormi. In tempi di crisi, e non solo, i ritardi possono costare la vita di un’impresa. Da un nostro sondaggio risulta che sei pmi su dieci hanno riscontrato un allungamento dei tempi medi per i pagamenti negli ultimi quattro anni e una su due denuncia ritardi superiori ai 12 mesi. Confapi Industria è molto attenta a questo problema e sta sensibilizzando il mondo politico sulla gravità della questione. La politica deve agire e in tempi brevi, non servono spot elettorali, imprenditori e lavoratori chiedono scelte rapide ed efficaci; infatti da una parte le imprese rischiano il fallimento, dall’altro i prezzi praticati potrebbero risentire del carico degli oneri finanziari che le imprese devono sopportare. In questo senso accelerare i pagamenti potrebbe anche far scendere i prezzi dei servizi, attivando un circolo virtuoso. La vera svolta sarebbe comunque sempre quella di accelerare i pagamenti, solo così le aziende potrebbero avere la liquidità per investire e davvero uscire dalla morsa del credito bancario.

Quali sarebbero i provvedimenti più urgenti per il bene delle piccole e medie imprese?
Difficile scegliere, dato il momento che stiamo attraversando, sono diversi i provvedimenti significativi e improcrastinabili. Agire sull’eccessiva fiscalità, ridurre il costo del lavoro per poter creare occupazione e rilanciare i consumi, ridurre e semplificare la burocrazia,aprire i rubinetti del credito bancario che restano chiusi, ampliare i margini di contribuzione ridotti di un mercato che è diventato quasi insostenibile, la difficoltà di competere a pari condizioni con le imprese estere, i continui aumenti nei costi delle materie prime sono macigni che gravano sulle pmi. Le aziende auspicano inoltre la riduzione della spesa pubblica, oltre al già citato sbocco dei debiti della Pubblica amministrazione e il rispetto della normativa Europea.

Da troppo tempo l’industria denuncia, infatti, la mancanza di una visione di insieme e la capacità della politica di dare vita a progetti a medio e lungo termine. Va attuato concretamente il rilancio della manifattura italiana.
Riforme sociali, rilancio dell’economia, consolidamento delle scelte a favore della libertà d’impresa devono essere le parole d’ordine. Nonostante le imprese mettano in campo nuove strategie, come l’ampliamento e il miglioramento della gamma dei prodotti, la razionalizzazione dei costi di produzione, la ricerca di nuovi canali, forme distributive e mercati di sbocco, una considerevole fascia di imprenditori (oltre il 43%) afferma che produzione, ordini, fatturato hanno registrato un calo negli ultimi mesi e che le prospettive non sono favorevoli. Altri dichiarano stabilità (36%). Pochi gli ottimisti. Ho voluto con qualche dato, tratto dall’indagine congiunturale di CONFAPI INDUSTRIA, dare il polso della situazione e il perché delle nostre richieste. Quello che più mi impressiona è la situazione delle pmi lombarde che, rispetto alla scorsa rilevazione congiunturale, è rimasta pressoché invariata. Questo ci dimostra che l’industria manifatturiera, pur continuando duramente a “tenere” e in qualche caso a “sopravvivere” stenta ancora ad uscire dalla crisi. Però, gli imprenditori continuano caparbiamente a sostenere e a sviluppare il proprio business, l’ottimismo innato lo aiuta nelle scelte quotidiane e nella pianificazione strategica.

Intanto nel primo trimestre dell’anno il Pil italiano è tornato a scendere, facendo indietreggiare l’economia di 14 anni, vanificando in un istante le aspettative su una ripresa ormai imminente…
Anche se tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, il Governo dovrebbe stare in prima linea perché si tratta di una vera e propria emergenza sociale. Il mondo istituzionale dovrebbe darci delle risposte, perché questa condizione di disagio è terribilmente diffusa. Troppi parlano di ripresa, o di ripresina, ma ci vorranno anni prima che la nostra economia ritorni ad essere florida.

La capacità di resistenza delle imprese lombarde, provata da anni di andamenti negativi, è ai limiti.
Dobbiamo lavorare per la vera ripresa, per ottenere risultati concreti – creazione di posti di lavoro, riduzione della pressione fiscale, strategie chiare per le aziende – e vanno messe in campo politiche precise e condivisibili tese a sostenere le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, che rappresentano il 97% del tessuto produttivo italiano e sono il vero motore di una crescita per l’intero Paese ancor prima che per la Lombardia. Lavorare per riattivare un circolo virtuoso nel mercato interno è la base per il rilancio del sistema: la ricchezza generata dalle imprese deve restare in Italia.

Jacopo MARCHESANO