Crescita zero, chiudono 302 imprese al giorno

 

A leggere i dati relativi ai primi sei mesi del 2014 del commercio al dettaglio, appena resi noti dall’Osservatorio Confesercenti, anche quel briciolo d’ottimismo che aveva iniziato a serpeggiare nelle settimane scorsi svanisce di colpo. Da gennaio a giugno di quest’anno, il saldo tra aperture e chiusure d’impresa nei settori del commercio al dettaglio e del turismo è stato negativo per 20.244 unità: un bilancio decisamente peggiore rispetto a quello del 2013 quando a chiudere erano state 13.813. In media, nel primo semestre del 2014 ci sono state 302 chiusure al giorno, a fronte di 109 aperture. Food, abbigliamento e sigarette elettroniche sono i settori che hanno pagato maggiormente la crisi economica nella prima metà del 2014.

“Dopo la crisi del 2013, tutti speravamo in un rallentamento della caduta – si legge nel comunicato diffuso nei giorni scorsi dalla Confesercenti – invece il 2014 sembra essersi avviato verso un peggioramento. Le chiusure continuano, e si registra un’allarmante diminuzione di nuove aperture rispetto al 2013: siamo sempre stato un popolo ad alto tasso di imprenditorialità, ma adesso sembra aver preso piede un diffuso clima di sfiducia, causato dalla stretta del credito, ottenere un prestito per avviare un’impresa è sempre più difficile, e da un mercato che sta cannibalizzando le imprese più piccole che sono schiacciate da oneri troppo alti e una domanda interna ancora debole. Chiediamo al governo di favorire l’autoimprenditorialità attraverso un’adeguata formazione, ma anche di prevedere un regime fiscale ad hoc per le start up di impresa”.

JM

Bussoni: “Rimettiamo i soldi in tasca agli italiani, così ne beneficerà il turismo”

 

In questa nostra settimana dedicata all’approfondimento dei dati resi noti nei giorni scorsi dall’Osservatorio Confesercenti sulla crisi del settore turistico, oggi abbiamo incontrato il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni, per un commento a caldo.

Dott. Bussoni, sia il commercio sia il turismo registrano più cessazioni che aperture: nel commercio il saldo di natimortalità delle imprese è pari a -12.016. Come leggere questi (drammatici) dati?
Purtroppo, il saldo negativo dimostra che la crisi non è ancora del tutto terminata. Nella prima parte dell’anno abbiamo continuato a scontare gli effetti della recessione nel 2013, come testimoniano non solo i dati delle chiusure, ma anche quelli relativi al Pil nel primo trimestre ed ai consumi. In particolare, non è terminata la crisi del mercato interno italiano: l’aumento della disoccupazione e le politiche d’austerity hanno ridotto drammaticamente durante la crisi la capacità di spesa delle famiglie italiane.

Un crollo di consumi che continua a travolgere tutte le imprese che, come nel commercio e nei pubblici esercizi, fanno riferimento per antonomasia al mercato interno.
Il calo della domanda delle famiglie italiane ha pesato anche sul turismo, che ha visto ridursi moltissimo la presenza di italiani ‘in vacanza’. Dobbiamo recuperare il terreno perduto, rimettendo i soldi in tasca agli italiani: il bonus fiscale per i lavoratori dipendenti previsto dal Governo va nella direzione giusta, anche se sarebbe stato più efficace se tra i beneficiari fossero stati inclusi anche autonomi e pensionati.

Le vendite commerciali, secondo le vostre stime, sono calate di altri 1,8 miliardi. Quando saranno riscontrabili le prime inversioni di tendenza?
Ci auguriamo che già da Giugno la contrazione possa terminare: il bonus, combinato con il periodo di saldi, potrebbe dare una mano in questa direzione. Ma per una vera ripresa – cioè un ritorno strutturale in territorio positivo delle vendite – dovremo aspettare la fine dell’anno. Anche se sarà una ripresa molto esile: riteniamo che la spesa delle famiglie possa salire, a fine 2014, circa dello 0,4-0,5%. Il bonus riuscirà ad aggiungere, secondo le nostre stime, un +0,3% a questa crescita, pari a circa 3,1 miliardi di consumi in più.

Analizzando la situazione del commercio, questo sembra essersi avviato verso una fase di destrutturazione, che premia i comparti che presentano meno spese di impresa.
E’ la nostra tesi, confermata dall’analisi dei flussi di aperture e chiusure come rilevato dall’Osservatorio Confesercenti. I comparti per cui l’onere delle spese fisse – affitti ma anche, nel caso della proprietà dell’immobile strumentale d’impresa, l’IMU – è molto elevato, come il commercio al dettaglio in sede fissa, mostrano i saldi tra aperture e chiusure peggiori. Al contrario, i comparti in cui le spese di impresa sono meno pesanti mostrano addirittura segnali di crescita. E’ il caso del commercio online, che si mostra stabile, ma anche – e soprattutto – del commercio ambulante, che ha messo a segno un saldo strutturalmente positivo durante tutta la crisi, in controtendenza con il commercio in generale: ma la crescita di questi settori comunque non basta a recuperare quanto perso nella distribuzione tradizionale. Parrebbe comunque ormai superato il modello delle grandi concentrazioni commerciali, in crisi anch’esso.

Jacopo MARCHESANO