La detrazione Iva decade solo a certe condizioni

Ecco un chiarimento da parte dei giudici comunitari sul come deve essere esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva e quando deve essere negato nel caso in cui non siano stati rispettati i limiti di tempo previsti. La controversia in esame verte sull’interpretazione degli articoli 179, 180 e 273 della direttiva 2006/112/CEE (direttiva Iva) nell’ambito di un ricorso presentato da una società bulgara. Il ricorso è stato presentato in risposta a un avviso di rettifica fiscale emesso in seguito al diniego, da parte dell’Amministrazione fiscale bulgara, del diritto di detrarre l’Iva versata a monte. In particolare, una società di trasporti con sede in Spagna ha venduto degli autocarri e mezzi pesanti ad una società bulgara; il fornitore spagnolo, in tale occasione ha emesso dieci fatture e dichiarato una cessione intracomunitaria. La società bulgara ha emesso dieci verbali di acquisto intracomunitario, ha versato l’imposta dovuta e ha esercitato il suo diritto alla detrazione.

La posizione del Fisco bulgaro
L’Amministrazione fiscale bulgara ha ritenuto che l’acquisto intracomunitario, effettuato dalla società, non riguardando mezzi di trasporto nuovi, non rientrava nella deroga contemplata dal paragrafo 5 dell’articolo 99 del codice bulgaro, al regime di obbligo di registrazione di chi effettua un acquisto intracomunitario di beni. Il diritto alla detrazione è stato poi negato per inosservanza del termine di decadenza, in quanto esercitato dopo la scadenza del termine previsto dall’articolo 72, vale a dire per il periodo di imposta in cui tale diritto è sorto, ovvero in uno dei tre periodi di imposta successivi. Inoltre, per effetto delle modifiche apportate a questa ultima disposizione normativa dal 2010, il periodo entro cui è possibile far valere il diritto alla detrazione è stato elevato ai dodici periodi fiscali successivi.

La normativa comunitaria
L’articolo 179 della direttiva IVA stabilisce che il soggetto passivo opera la detrazione globalmente, sottraendo dall’importo dell’imposta dovuta per un periodo d’imposta l’ammontare dell’Iva per la quale il diritto a detrazione è sorto, nello stesso periodo, ed esercitato secondo quanto previsto dall’articolo 178; il successivo articolo 180 prevede invece che gli Stati membri possono autorizzare un soggetto passivo a procedere ad una detrazione non effettuata ai sensi degli articoli 178 e 179. Secondo l’articolo 273 della direttiva, gli Stati membri possono stabilire altri obblighi necessari ad assicurare la riscossione dell’Iva ed evitare evasioni d’imposta.

La questione pregiudiziale
Tutto ciò premesso, l’autorità giurisdizionale bulgara, investita della questione in esame, ha sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: se gli articoli 179, 180 e 273 della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che ammettono un termine di decadenza come quello previsto dall’articolo 72 del codice bulgaro, tenendo conto di alcune circostanze peculiari della fattispecie.

Le valutazioni della Corte
In base a quanto previsto dagli articoli 167 e 179, in linea di principio, il diritto alla detrazione va esercitato durante lo stesso periodo in cui è sorto, vale a dire nel momento in cui l’imposta diviene esigibile. Del resto la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione senza limiti di tempo contrasterebbe con il principio di certezza del diritto, che invece richiede che la situazione fiscale del soggetto passivo non possa essere messa in discussione indefinitamente.
Tuttavia, il giudice ‘a quo’ chiede di conoscere se un termine di decadenza, quale quello della fattispecie in oggetto (pari a 3 periodi fiscali oltre a quello nel quale è sorto il diritto alla detrazione, con periodi fiscali pari ad un mese) non renda praticamente impossibile o molto difficile, l’esercizio del diritto alla detrazione da parte del soggetto passivo.
In via generale, sembra che il termine in esame non renda impossibile l’esercizio del diritto alla detrazione; tuttavia, la valutazione va effettuata sulla base delle circostanza ricorrenti nel caso di specie. Al riguardo, la Corte osserva che il legislatore bulgaro ha stabilito un prolungamento del termine di decadenza prevedendo, nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 73, la facoltà di esercitare il diritto alla detrazione a prescindere dall’osservanza del termine di cui all’articolo 72, e d’altra parte modificando l’articolo 72, per consentire l’esercizio del diritto alla detrazione durante uno dei 12 periodi fiscali successivi a quello iniziale.
Quanto alla registrazione, condizione per l’esercizio del diritto alla detrazione, è considerata effettuata a partire dalla data del rilascio e non dalla domanda di registrazione; da ciò deriva che il fatto che l’esercizio del diritto alla detrazione nei limiti del termine di decadenza non sia reso praticamente impossibile, dipende dalla durata della procedura di registrazione. Nel caso di specie, la società bulgara avrebbe avuto a disposizione soltanto un mese dopo la data di rilascio della sua registrazione. La Corte rileva altresì che l’obbligo per il soggetto passivo di dichiarare l’inizio della sua attività non è elemento costitutivo del diritto alla detrazione, ma rappresenta un requisito formale a fini di controllo. Il principio di neutralità dell’IVA esige che la detrazione sia accordata se sono soddisfatti gli obblighi sostanziali, anche nell’ipotesi in cui siano stati omessi alcuni obblighi formali; non possono pertanto essere imposte, ai fini della detrazione dell’imposta, condizioni supplementari che sortiscano l’effetto di vanificare l’esercizio dello stesso.
Da ciò deriva che, una volta soddisfatte le condizioni sostanziali, la mancata registrazione non può privare il soggetto passivo del diritto alla detrazione.

Il pronunciamento della Corte
Secondo la Corte gli articoli 179, 180 e 273 della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che non ostano all’esistenza di un termine di decadenza che limita l’esercizio del diritto alla detrazione, purchè tale termine non renda eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio di tale diritto. La valutazione spetta al giudice nazionale che può tener conto della successiva proroga del termine di decadenza, nonché della durata di una procedura di registrazione ai fini Iva, che deve essere effettuata in tale termine, per potere esercitare il diritto alla detrazione.

Corte UE: “Esentato dall’Iva chi cede azioni societarie”

I giudici della Comunità Europea si sono espressi su una operazione di trasferimento di partecipazioni che determina il passaggio del diritto di proprietà di beni immobili La questione controversa riguarda l’applicazione della normativa Iva su talune operazioni di cessione di quote societarie. Nello specifico si tratta di un trasferimento di azioni che comporta il trasferimento della proprietà di beni immobili che costituiscono parte dell’attivo patrimoniale della società di riferimento delle azioni. Il dubbio interpretativo riguarda la possibilità di esentare dall’imposta una tale operazione di trasferimento delle azioni.

La vicenda controversa
Una società con sede in Svezia deteneva indirettamente talune quote azionarie di un’altra società il cui attivo patrimoniale era costituito essenzialmente da beni immobili. La società ricorrente, nel 1999, vera incaricata dalla società, a prevalente carattere immobiliare, di cercare acquirenti che, attraverso l’acquisto delle quote societarie, sarebbero divenuti proprietari del complesso immobiliare riferito indirettamente alle azioni cedute. La società ricorrente per la sua attività di consulenza per la compravendita ha ritenuto che l’operazione sottesa al trasferimento delle azioni non rientrasse nel campo di applicazione dell’Iva in quanto esente. A seguito di controlli fiscali, invece, un ispettore ha proceduto alla rettifica della dichiarazione Iva della società ricorrente presentata per il 2000. Contro la decisione dell’ispettore, la società ricorrente ha presentato istanza dinanzi al tribunale distrettuale che ha respinto la richiesta. Non trovando parere favorevole, anche facendo ricorso alla Corte di appello, veniva presentato ricorso per cassazione. Questa volta, però, il giudice del rinvio, avendo dubbi circa l’inquadramento ai fini della disciplina Iva dell’operazione di trasferimento di azioni societarie, che comportavano il trasferimento della proprietà di beni immobili, decideva di appellarsi alla interpretazione giurisprudenziale dei togati europei.

Le questioni pregiudiziali
Il dubbio interpretativo riguarda due questioni pregiudiziali, che per opportunità sono state affrontate congiuntamente. Pertanto, occorre stabilire se, alla luce dell’articolo 13, parte B), lettera d), punto 5, debba essere interpretato nel senso di riconoscere l’esenzione, ai fini Iva, dell’operazione di trasferimento di quote societarie che riguardano sostanzialmente diritti di proprietà di beni immobili. Esenzione che deve essere riconosciuta anche a quegli Stati membri che non si siano avvalsi della facoltà prevista dall’articolo 5, paragrafo 3, lettera c) di considerare come beni materiali le azioni direttamente connesse a diritti di proprietà.

L’analisi degli eurogiudici
Procedendo per gradi, in primo luogo i giudici europei sottolineano che le fattispecie di esenzione previste dall’articolo 13 mirano a una armonizzazione, nei vari Stati membri, dell’ applicazione delle disposizioni Iva. Inoltre, costante giurisprudenza della Corte conferma che, misure come quelle in discussione, debbano essere interpretate restrittivamente in quanto costituiscono deroghe al principio generale di riscossione dell’Iva. Non di meno conto è il fatto che, una corretta interpretazione della normativa, nella fattispecie dell’Iva, deve necessariamente tenere conto del principio di neutralità fiscale in un sistema comune di norme come è stato delineato il diritto dell’Unione. In secondo luogo, poi, la lettura dell’articolo 13, deve tenere conto che i termini utilizzati definiscono, da una parte, il contenuto principale dell’esenzione ma, dall’altra, mirano a estendere tale esenzione alle attività di negoziazione. Quello che occorre chiarire, invece, è la portata esatta del termine di negoziazione. Su questo aspetto non si possono avere dubbi che un’attività come quella svolta dalla società ricorrente di ricerca di acquirenti per la compravendita di immobili, attraverso la cessione di quote azionarie, rientri nel termine di negoziazione. In terzo luogo, resta da affrontare se l’attività controversa rientri nel novero di quelle attività per le quali gli Stati membri hanno la facoltà di avvalersi, a norma dell’articolo 5 della sesta direttiva Iva, di una deroga alla concessione dell’esenzione in questione. Da quanto risulta, non sembra che ci si sia avvalso della facoltà di derogare all’esenzione. Infine, sottolineano i giudici, sebbene alle misure in deroga si debba dare una interpretazione restrittiva è per altro verso vero che una esenzione non può essere limitata in quanto, altrimenti, non si riuscirebbe a garantire la certezza nel diritto.

La sentenza della Corte Ue
Secondo gli articoli 5, paragrafo 3, lettera c), e 13, parte B), lettera d), punto 5), della sesta direttiva Iva le questioni pregiudiziali, sollevate dinanzi alla Corte europea, vanno risolte seguendo una interpretazione che ammette la possibilità di beneficiare della esenzione dall’Iva. E questo per una operazione, come quella di cui alla vicenda principale, in cui il trasferimento di quote azionarie comporta il trasferimento del diritto di proprietà di beni immobili insito nelle azioni cedute.

Sì per l’agevolazione all’acquisto di immobili a uso abitativo

La questione controversa riguarda la compatibilità del sistema di calcolo dell’imposta sull’acquisto di beni immobili con le varie normative comunitarie a tutela delle principali libertà sancite nei Trattati CE. In altri termini la Commissione, sottolinea la disparità di trattamento, a sfavore per quei soggetti passivi con immobili ubicati fuori dal territorio nazionale,  e chiede al governo ungherese di adottare i necessari provvedimenti per fare in modo che la normativa tributaria tratti parimenti le due fattispecie impositive.
L’imposta sui redditi
L’imposta sui redditi ungherese, prevede una riduzione sui proventi derivanti dalla vendita di immobili utilizzati poi per successivo acquisto di immobile ad uso abitativo. Tale agevolazione, poi rivista, sussiste se l’immobile ceduto è situato nel territorio nazionale.
La causa principale
Con lettera di diffida la Commissione europea sottolineava come  la normativa fiscale ungherese in merito al trattamento tributario relativo alla cessione di beni immobili sia in contrasto con taluni diritti garantiti dal diritto dell’Unione. Questa normativa è tale da discriminare l’acquisto, nel territorio nazionale, di un bene immobile a uso abitativo in concomitanza alla vendita di altro immobile parimenti destinato ad abitazione principale ubicato in un altro Stato membro. Nel caso di vendita di immobile ubicato nello stesso territorio nazionale, infatti, la controversa normativa fiscale prevede un trattamento di favore. Non sussistono, come espressamente dichiarato dalla Commissione, valide motivazioni o ragioni, specialmente di interesse generale, tali da giustificare il regime tributario previsto in caso di acquisto e vendita di immobile ad uso abitativo.
La questione pregiudiziale
La questione pregiudiziale, riguarda sostanzialmente il diverso regime impositivo, ungherese, riservato all’acquisto di immobili, per fini non strumentali ma di abitazione principale rispetto al trattamento riservato allo stesso tipo di operazione con riferimento, però, a unità immobiliari situate oltre il confine nazionale. La controversia nasce dal fatto che in questo secondo caso non si ha diritto a nessun tipo di beneficio nel calcolo della base imponibile. Per tutta risposta, l’Ungheria, rendeva nota l’intenzione e poi comunicava di aver apportato modifiche ad alcune disposizioni dell’imposta sui redditi proprio per evitare una disparità di trattamento, dei soggetti passivi, dovuto a un calcolo della base imponibile differente in luogo della diversa ubicazione dell’immobile oggetto di vendita. Non ritenendo la Commissione tali modifiche rispondenti a quanto espresso nella lettera di diffida decideva di avanzare ricorso innanzi ai giudici della Corte europea.
Le argomentazioni dei giudici 
Una prima considerazione, fatta dai giudici, è quella di sottolineare come le parti non siano d’accordo sulla qualificazione dell’imposta controversa ovvero se debba intendersi quale imposta indiretto o diretta. A prescindere dal carattere dell’imposta, essa non è soggetta al processo di armonizzazione ricadendo, quindi, nella competenza dei singoli Stati membri. Ma una differenza di trattamento, tra le due categorie di contribuenti di cui alla causa principale, sussiste soltanto laddove le situazioni di tali categorie siano comparabili. Ma secondo costante giurisprudenza della Corte, in materia di imposte dirette, residenti e non residenti si trovano in situazioni differenti in quanto il reddito percepito dal residente in uno Stato, il più delle volte è soltanto parte del reddito complessivo dell’interessato. L’esistenza di una discriminazione deve, altresì, essere stabilita alla stregua di una diversa lettura, quella data dall’ottica di legiferazione delle disposizioni nazionali. Come in precedenza stabilito dalla Corte, la necessità di tutelare la coerenza di un regime fiscale può giustificare una normativa impositiva come quella oggetto della controversia. Infatti, l’imposizione ungherese sugli immobili, considerato il sistema impositivo nel suo insieme, è volto a tassare la sola parte delle risorse investite per l’acquisto del bene immobile che non sono già state colpite da altra imposizione. Estendere l’applicazione del beneficio fiscale anche alla compravendita di immobili situati oltre confine rischia di compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di evitare la doppia imposizione nell’ambito del territorio comunitario. Ecco che allora i togati europei, sulla base di queste motivazioni, hanno respinto gli addebiti in merito alle violazioni che l’applicazione della legge controversa causerebbe.
La pronuncia della Corte
I giudici della prima sezione della Corte di giustizia UE alla luce delle argomentazioni apportate dalle parti e dalle considerazioni da essi stessi svolte si sono pronunciati respingendo le richieste della parte ricorrente. Questo vuol dire, in altri termini, che il regime impositivo sull’acquisto degli immobili adottato nella Repubblica di Ungheria è da ritenersi lecito e conforme alla normativa europea. L’esclusione dal beneficio della riduzione della base imponibile fiscale nell’ambito delle compravendite di immobili, non strumentali, deve essere basata su considerazioni oggettive di interesse generale.
Fonte: fiscooggi.it