Conciliazioni e arbitrati, boom di domande

In questi ultimi anni sono circa 100 mila all’anno le domande di conciliazioni e arbitrati, tra cui gli arbitrati internazionali. Con un valore di circa 200 mila euro all’anno per gli arbitrati (altrettanti presso le Camere di commercio) e circa 30 mila per la mediazione amministrata. Il 28 novembre 1986, nasceva l’Isdaci, per l’Italia iniziava un processo di innovazione culturale ed organizzativa che vedeva diffondersi la giustizia alternativa, fino ad allora quasi inesistente, già diffusa in Europa e a livello internazionale.

Un percorso in rapida crescita grazie ai vantaggi di costi limitati e alla giustizia veloce con procedure di circa 160 giorni per l’arbitrato e 65 per la mediazione amministrata. Dal 2010 il tentativo di conciliazione obbligatoria prima di arrivare ai tribunali è diventato obbligatorio in molte materie: liti condominiali, affitto, sanità, contratti bancari, finanziari ed assicurativi. In media ogni impresa milanese fa tre litigi importanti ogni anno con conseguenze costose.

Le imprese, nella loro totalità, litigano quasi un milione di volte all’anno (da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su un’indagine sulle imprese milanesi). Litigare comporta affari bloccati e spese sostenute: si parla di circa un miliardo e duecentocinquanta milioni di euro all’anno. E con la crisi una impresa su quattro cerca di essere più accomodante per ridurre questi costi.

L’Istituto per lo Studio e la Diffusione dell’Arbitrato e del Diritto Commerciale Internazionale (ISDACI) – oggi a convegno – nasce nel 1986 su iniziativa della Camera di commercio di Milano e altre istituzioni pubbliche e private, con il compito di promuovere la cultura dell’arbitrato e delle altre procedure extragiudiziali. “ISDACI e la Camera di commercio sono fortemente collegate – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio – Lo sono grazie alle persone essendo stato Bassetti fondatore di ISDACI. Ma siamo uniti anche da una missione, con la collaborazione con la nostra Azienda Speciale, la Camera Arbitrale, ma penso anche all’obiettivo comune di rendere più facile la vita delle imprese, con effetti positivi per l’economia. Quest’occasione particolare, però, ha un valore in più: perché oggi ricordiamo i 25 anni di attività di ISDACI”.

“La nostra – ha dichiarato Giovanni Deodato, presidente di Isdaci – è una storia che ha visto premiata la convinzione di un settore che si è mostrato in continua crescita e che ha contribuito a cambiare il modo di fare giustizia in Italia.

Fonte: Agenparl.it

In Europa i costi del lavoro sono più elevati

Il tasso di occupazione, e della disoccupazione, di un Paese, non dipende solo dalla discrepanza tra domanda ed offerta, ma anche da una serie di altri fattori e, tra questi, non è da sottovalutare il costo che implica, per un’azienda, assumere un dipendente.

Non si tratta solo di erogare lo stipendio mensile, perché nella busta paga, oltre alla retribuzione netta, appaiono le trattenute fiscali e previdenziali, oltre al Tfr, trattamento di fine rapporto, che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare quando la collaborazione si interrompe.

Prima di assumere nuova forza lavoro, quindi, ogni impresa deve prendere in considerazione l’entità dei costi che deve sostenere. E in parecchi casi, soprattutto in Europa, tali costi sono molto elevati.

Nel vecchio continente, infatti, i salari lordi, ovvero i costi del lavoro, sono più altri che altrove e, facendo una stima più dettagliata, la Svizzera è in testa a questa particolare classifica, poiché la retribuzione lorda mensile è di 4.650,5 euro, per un Pil procapite annuo pari a 47.182,2 euro. Al secondo posto c’è un Paese membro dell’Unione europea, la Danimarca, dove le buste paga del lavoratori sono, sempre considerando la cifra lorda, di 4.332,8 euro, con un Pil pro capite di 41.141,6 euro. Al terzo posto, il Lussemburgo, con uno stipendio medio di 4.255,9 e un Pil di 78.935,4 euro, molto più elevato rispetto a quello dei primi due Paesi della classifica in virtù del numero di abitanti.

Al quarto e al quinto posto troviamo, rispettivamente, Norvegia, con una cifra lorda di 4090,6 euro e un Pil di 57.142,6, il che lascia intendere una retribuzione netta molto elevata. Dietro la nazione scandinava, ecco l’Irlanda, dove la paga mensile di un lavoratore è in media di 3.938,4 euro e il Pil di 35.659, anche se, in questo caso, considerando che si tratta di rilevazioni risalenti al 2009, la situazione potrebbe essere molto cambiata. Ricordiamo, a questo proposito, che l’isola celtica è stata colpita pesantemente dalla crisi globale, con un conseguente aumento del debito pubblico triplicato in pochi anni.

Questi dati, provenienti dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e della Commissione statistica dell’Onu (UNSD), dimostrano come, tra i primi posti, non ci sia nessuna potenza economica europea, la prima delle quali, la Francia, si trova in decima posizione, dove i salari lordi sono in media di 2.902,3 euro e il Pil pari a 29.905,3 euro.

I cugini d’Oltralpe sono seguiti dal Regno Unito, che comprende Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, dove imprese e enti pubblici sborsano in media 2.850,8 euro per la retribuzione dei loro dipendenti al lordo delle trattenute. Rispetto ai “rivali” transalpini, anche il Pil pro capite è più basso e ammonta a 25.562,3.

La maggiore potenza economica europea, la Germania, si trova al dodicesimo posto della graduatoria. In proporzione al reddito pro capite, piuttosto elevato, 29.399 euro annui, il costo del lavoro è relativamente basso: ogni dipendente percepisce in media uno stipendio lordo 2.686,1 euro al mese.

E l’Italia? In base ai dati dell’Onu rilevati nel 2009, il nostro Paese occupa la quindicesima posizione della classifica. I salari lordi sono in media di 2.321,2 euro al mese. I costi del lavoro sono quindi inferiori rispetto agli altri Paesi più industrializzati d’Europa. Ma il dato sul reddito pro capite annuo, pari a 25.598,6 euro, dimostra che anche la retribuzione netta è piuttosto bassa. Ciò significa che i costi che le imprese italiane devono sostenere per pagare i dipendenti sono alquanto elevati.

E da ciò si potrebbe spiegare anche l’alto tasso di disoccupazione e l’esercito dei lavoratori in nero, circa 3 milioni, nel nostro Paese.

Vera Moretti