No grande azienda, no credito

Si chiameranno anche piccole imprese, ma questo non significa che il fatto non essere grandi debba metterle nelle condizioni di beccarsi sempre e solo fregature. Prendiamo ancora una volta l’esempio dell’accesso al credito. Oltre a essere problematico per la maggior parte delle Pmi, questo fa rilevare anche una palese e sconcertante asimmetria. Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, l’81% circa degli oltre 1.335 miliardi di prestiti che vengono erogati dalle banche agli italiani è concesso al primo 10% degli affidati, vale a dire alla clientela a loro avviso migliore. Il 19% che resta è distribuito alle famiglie, alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi che, in realtà, costituiscono la quasi totalità (90%) dei clienti delle banche.

Secondo l’associazione mestrina questa anomalia grida vendetta soprattutto in questa fase di “credit crunch” e Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, non ha dubbi: “Al di là delle difficoltà legate alla crisi, il nostro sistema creditizio presenta dei nodi strutturali che vanno assolutamente affrontati. E’ chiaro a tutti che questo 10% di maggiori affidati non è costituito da piccoli imprenditori, da famiglie o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali. In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questo 10% fosse costituito da soggetti solvibili. Invece, dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza emerge che il 78,3% è concentrato nelle mani del 10% dei migliori affidati. In buona sostanza, nei rapporti tra banche e imprese tutto è clamorosamente rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta livelli di affidabilità bassissimi, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce“.

I dati sono corroborati da una elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia mestrina, dalla quale risulta che il primo 10% degli affidatari riceve l’80,9% del totale dei prestiti erogati dalle banche e tecnicamente definiti come finanziamenti per cassa. Una tipologia di finanziamento che copre quasi il 70% del totale dei finanziamenti erogati dal sistema bancario italiano e che, nel caso delle grandi imprese rappresentano una generosità non ricambiata: le sofferenze a carico di questi clienti è pari al 78,3% del totale. Pur non essendo dei buoni pagatori, continuano a essere premiati dalle banche.

Se è vero che le sofferenze totali sono in forte aumento e si attestano attorno ai 115 miliardi di euro, “tuttavia – secondo Bortolussiil comportamento delle nostre banche è quanto meno sorprendente. Ricevono più soldi dalla clientela, ne erogano sempre meno, ma privilegiano i grandi capitani di industria a scapito delle famiglie e delle piccole imprese. Oggettivamente c’è qualcosa che non va“.

Costo del denaro, perché va a danno delle imprese italiane

Una domanda se la pongono in tanti da tempo, famiglie e imprese. Se la Banca Centrale Europea ha prestato denaro alle banche a un tasso all’1% tra il 2011 e il 2012 per una cifra totale di circa 250 miliardi, che fine hanno fatto? Sono rimasti lì o sono serviti per acquistare titoli di Stato e obbligazioni bancarie. Altra domanda. Se le medesime banche hanno ricevuto denaro a quei tassi, perché a imprese e famiglie poi lo riprestano a tassi 6-7 volte maggiori?

Di fatto, le banche italiane possiedono oggi circa 390 miliardi di bond governativi che hanno permesso loro di guadagnare non poco, considerando il differenziale di rendimento tra l’1% a cui hanno ricevuto i soldi dalla Bce e il 3-4% di rendita dei BTp. Una tendenza che per le banche si è dimostrata comoda e remunerativa, assai più che il finanziamento delle imprese, a causa dell’accumularsi delle sofferenze bancarie. E così si è chiuso il flusso del denaro verso le aziende.

Sono circa 127 i miliardi di crediti a rischio accumulati dagli istituti, i quali, perciò, non vogliono prestare nuovi soldi alle imprese, men che meno alle Pmi, per non stressare ulteriormente il loro smaltimento e affaticare i bilanci. Insomma, più la recessione si fa dura, più cresce il rischio per le banche e, di conseguenza, il costo al quale erogano il credito, più la stretta sul credito si fa stringente.

In più, c’è i grandissimo problema rappresentato dal divario dei tassi applicati dalle banche. Se il tasso medio sugli impieghi è del 3,4%, per i prestiti fino al milione di euro si sale al 4,4%; una percentuale che, per durate da 1 a 5 anni, tocca persino il 6%. Una percentuale nella quale ricade circa l’80% delle imprese italiane le quali si mangiano ulteriormente le mani se pensano che oggi il tasso Bce è allo 0,5%. Se poi si considera che le banche marginano parecchio nella raccolta del denaro (secondo l’Abi il tasso per la raccolta da clientela è al 2,03%) la domanda si trasforma in certezza e monta la rabbia: il denaro costa relativamente poco, rincara nel passaggio dalle banche alle imprese.

Alla faccia poi di chi dice che lo spread è solo una trovata economico-elettorale per cacciare o richiamare governi, ricordiamo che il maggior costo che le imprese, in Italia, sostengono per indebitarsi con le banche va a tutto svantaggio competitivo per loro rispetto alle concorrenti estere. Per esempio, tra Italia e Germania il differenziale di rischio/rendimento e il rischio conseguente di credito è, secondo uno studio di Morgan Stanley, di 300 punti base, vale a dire del 3% in più a sfavore dell’impresa italiana. Indovinate chi ci smena… E poi ci vengono a dire che la banca è amica dell’impresa…

La banca non fa credito? Tutti alla Cdp

Se le banche non erogano più prestiti e le imprese non sanno dove sbattere la testa, gli Enti locali e le amministrazioni pubbliche aguzzano l’ingegno e vanno a bussare direttamente alla porta delle istituzioni per avere un po’ di soldi in cassa per pagare le imprese creditrici ed evitare di farsi complici del collasso della nostra economia. Visto che per il rimborso dei debiti della PA la strada appare ancora lunga, meglio provare direttamente con la Cassa Depositi e Prestiti. Risultato: alla Cdp sono arrivate oltre 1.500 domande di anticipazione di liquidità, per un importo complessivo di circa 6 miliardi di euro.

La valanga di richieste è infatti arrivata proprio nell’ambito della procedura prevista dal decreto relativo allo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione.

Considerando che le cifre richieste superano l’importo delle somme del Fondo dedicato agli Enti locali da 4 miliardi di euro (2 miliardi per il 2013 e 2 miliardi per il 2014), su cui la Cassa Depositi e Prestiti opera per conto del Ministero dell’Economia e delle finanze, si procederà ad un riparto delle somme richieste. Le anticipazioni di liquidità, come previsto dal dl 35 del 2013, saranno concesse entro il 15 maggio e le erogazioni delle stesse saranno effettuate a seguito del perfezionamento dei relativi contratti.

Passando alla composizione delle domande: 1500 sono le richieste pervenute dalle Amministrazioni Comunali, per un importo complessivo pari a circa 5,8 miliardi di euro; 15 sono le domande presentate dalle Amministrazioni provinciali, per un controvalore di circa 110 milioni di euro; 25 sono le richieste degli altri Enti locali, per circa 53 milioni di euro.

Una pioggia di miliardi che dovrebbe servire a sanare una situazione intollerabile. Vedremo se riusciranno a non perdersi tra le pastoie della burocrazia.

Prestiti alle imprese, dopo un 2012 da dimenticare un 2013 a picco. Che fare?

di Davide PASSONI

Ormai per le imprese italiane la crisi di nervi è conclamata. Mentre da una parte il decreto che dovrebbe sbloccare i debiti della Pubblica Amministrazione verso di loro incontra mille ostacoli e farraginosità nell’essere applicato, dall’altra si fa sempre più drammatica la situazione dei prestiti erogati (o, per meglio dire, non erogati…) da parte degli istituti di credito.

Secondo i dati diffusi da Bankitalia, i prestiti erogati a marzo alle società non finanziarie sono diminuiti del 2,8% (contro un -2,7% a febbraio). In termini assoluti il calo di marzo è stato di 10 miliardi, mentre nel 2012 l’ammontare dei prestiti concessi dalle banche alle imprese è stato di 40 miliardi inferiore a quello dell’anno precedente, su uno stock di 895 miliardi. E se solo a marzo siamo a -10 miliardi, la situazione è tutt’altro che incoraggiante.

La contrazione che si sta registrando oggi è molto peggiore di quella del 2009, anno orribile nel quale la recessione produsse un calo del Pil del 5%. Usciamo da un anno, il 2012, nel quale la ricchezza è calata del 2,4% e viviamo un anno nel quale, si stima, il Pil calerà dell’1,3%. Ma dove sono le cause di tutto questo?

Innanzitutto nell’aumento spropositato delle sofferenze bancarie, ossia i prestiti erogati che non vengono restituiti. A marzo le sofferenze lorde sono arrivate a quota 131 miliardi, dai 60 che erano nel terribile 2009. Una situazione che ha portato le banche a chiudere quasi del tutto i rubinetti del credito generando recessione su recessione.

In questa settimana Infoiva cercherà di comprendere un po’ più in profondità la situazione e, soprattutto, di capire quali sono le possibili vie di uscita. La sensazione delle imprese, però, è che la partita si stia giocando a un livello ben più alto del loro e sul quale loro stesse poco possono incidere. Speriamo che si tratti di una sensazione destinata a rimanere tale…

Credit crunch: spada di Damocle per le imprese italiane

Unioncamere ha effettuato un’indagine per capire come si sta evolvendo il rapporto tra le banche e le imprese italiane.
Ciò che è emerso è preoccupante e riguarda anche le imprese esportatrici.

Se, infatti, finora erano state risparmiate dal razionamento del credito, ora il credit crunch è diventato un temibile nemico anche per loro, segnale che la crisi è tutt’altro che diminuita, come ha confermato anche Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere: “La crisi che ancora attanaglia il Paese e la legittima domanda di credito delle imprese hanno bisogno di risposte che non possono essere più rinviate. E’ indispensabile una visione che chiami in causa un sistema integrato di garanzia dove operatori pubblici e privati lavorino in sinergia”.

La flessione dell’erogazione di credito bancario che ha interessato il periodo tra giugno 2011 e giugno 2012 è pari al 2,5% ed ha portato gli impieghi del settore produttivo ad una contrazione da 1.003 a 978 miliardi di euro.
Se, da un lato, la concessione di crediti è diminuita, soprattutto al Nord, sia nelle regioni orientali (-3,1%) che occidentali (-3,4%), dall’altro è aumentata la rischiosità del credito in tutto il Paese.
In particolare, il volume delle sofferenze delle imprese è passato da circa 73 miliardi di euro di giugno 2011 ad oltre 85 miliardi a giugno 2012 (+16,4%).

Un altro dato allarmante, che si basa su un campione di 2.500 aziende su tutto il territorio nazionale, mostra che meno della metà delle imprese riesce sempre a far fronte al proprio fabbisogno finanziario: il 49,3% dichiara di poterlo fare, ma a volte con difficoltà o ritardo.

La causa principale di ciò è la riduzione del fatturato, ma anche la presenza di entrate irregolari o imprevedibili, oppure sicure ma in ritardo.
Proprio la difficoltà nel far quadrare i conti ha portato il 25,6% delle imprese a rivolgersi con più assiduità alle banche, anche se ciò non ha certo portato ad un incremento dell’ammontare del credito.
Ad ottenere quanto richiesto è stato solo il 13,9% delle imprese.

Per far fronte alla mancanza di liquidità, sono arrivati a sostegno delle pmi i contributi a fondo perduto per l’incentivo dello sviluppo imprenditoriale e quelli in conto interessi per l’abbattimento degli oneri bancari.
Sono questi gli strumenti di sostegno che il sistema produttivo mostra di apprezzare di più. Il gradimento per questi strumenti nasce anche dalla mancata conoscenza delle misure di sostegno pubblico (in particolare i Fondi di garanzia per i pagamenti della PA e i Fondi di rotazione per la patrimonializzazione delle aziende).

Alto anche il consenso all’attività dei consorzi di garanzia fidi (il 77,5% delle imprese interpellate si dichiara infatti soddisfatto dell’attività dei Confidi), senza i quali, afferma il 28% del campione, non sarebbe stato possibile ottenere il finanziamento bancario richiesto.
I Confidi inoltre, per il 15,8% delle imprese, consentono di “spuntare” costi ed oneri più vantaggiosi, assicurano maggiore trasparenza nel rapporto con la banca (7,6%), e consentono di ridurre i tempi di attesa del finanziamento (8,6%).

Anche il comparto agrario è in grave affanno e anche in questo settore il credit crunch si fa sentire.
A confermare questa preoccupante tendenza è Cia-Confederazione italiana agricoltori, che ha commentato i dati resi noti da Ismea, che segnalano una flessione di oltre il 22% del credito agrario nel 2012, pari in termini assoluti a 613 milioni in meno assegnati nell’anno alle aziende del comparto.

Era dal 2008 che non si registravano valori così bassi, e colpevoli di ciò, oltre la difficoltà di accesso al credito, sono l’introduzione dell’Imu e i sempre maggiori obblighi fiscali.
A queste problematiche si aggiungono l’aumento dei costi produttivi e la stretta creditizia, che costringono le aziende a ridurre gli investimenti e l’innovazione, ma fanno sempre più fatica a pagare salari e fornitori.

E quando la situazione diventa insostenibile, le imprese, soprattutto se piccole, sono costrette ad alzare bandiera bianca e chiudere: soltanto nel 2012 l’agricoltura ha perso 17 mila imprese, schiacciate dall’impossibilità di far fronte agli oneri tributari e contributivi, ma soprattutto ai rincari di tutte le principali voci di spesa agricole.

Vera MORETTI

Lo stipendio? Difficile pagarlo…

Non è certo una novità il fatto che questa crisi feroce sta mettendo in ginocchio soprattutto la piccola impresa italiana. Una difficoltà crescente, che non ha solo il volto dell’imprenditore che non riesce più a fatturare ma, anche e soprattutto, quella dell’imprenditore che non riesce a onorare gli impegni con i propri dipendenti. Impegni che significano, in primo luogo, pagare gli stipendi.

Secondo un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, le imprese fanno sempre più fatica a onorare assegni bancari o postali, cambiali, vaglia o tratte e così i protesti hanno subito un aumento molto consistente. Dall’inizio della crisi i titoli di credito che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti del 12,8%, mentre le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno fatto registrare un’impennata a tre cifre: + 165%. Alla fine del 2012 l’ammontare complessivo delle insolvenze ha superato i 95 miliardi di euro.

Queste tendenze, secondo l‘Ufficio studi della Cgia di Mestre, dimostrano che l’aumento dei protesti bancari ha concorso – assieme al calo del fatturato e al blocco dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione – a mandare in rosso i conti correnti di numerosi imprenditori, non consentendo a molti di questi la possibilità di restituire nei tempi concordati i prestiti ottenuti dalle banche.

Amaro il commento del segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi: “Il disagio economico in cui versano le piccole imprese è noto a tutti, con risvolti molto preoccupanti soprattutto per i dipendenti di queste realtà aziendali che faticano, quando va bene, a ricevere lo stipendio con regolarità. Purtroppo, sono aumentate a vista d’occhio le aziende che da qualche mese stanno dilazionando il pagamento degli stipendi a causa della poca liquidità. Stimiamo che almeno una piccola impresa su due sia costretta a rateizzare le retribuzioni ai propri collaboratori“.

Fondi europei, per non perderli arriva Abi Banche 2020

Entra ora nella sua fase operativa il progetto Abi Banche 2020, pensato per rendere più agevole l’uso dei fondi strutturati europei disponibili, attraverso un supporto operativo concreto.

Si tratta di una iniziativa alla quale aderiscono nove gruppi bancari – Banca Popolare di Bari, Carige, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Federcasse, Ubi Banca, Banco Popolare, MedioCredito Centrale, Unicredit, Gruppo Intesa SanPaolo -, promossa dall’Abi con il supporto di Warrant Group e finalizzata a mettere a punto un sostegno formativo/informativo per le banche italiane e favorire un maggiore utilizzo delle risorse comunitarie da parte degli stessi istituti e delle imprese loro clienti.

Secondo una nota di Abi, il primo passaggio per l’effettivo utilizzo dei fondi strutturati è avere conoscenza degli strumenti e delle metodologie efficaci per il loro uso e fornirli a banche e imprese. Secondo i dati forniti Ministero per la Coesione Territoriale per il periodo 2007-2013 sono stati stanziati a favore dell’Italia 28 miliardi di euro di fondi europei, cui se ne aggiungono 26,4 di cofinanziamento nazionale per una dotazione complessiva di 54,4 miliardi. Queste disponibilità vanno usate entro dicembre 2015, ma occorre presentare i progetti e partecipare all’assegnazione dei fondi entro il dicembre 2013. Sempre secondo i dati del Ministero, aggiornati al 26 ottobre 2012, l’Italia aveva effettivamente speso soltanto poco più di un quarto della cifra assegnata.

Entro il dicembre 2013 è possibile presentare progetti di investimento per gli oltre 40 miliardi ancora disponibili per non perdere questa disponibilità.

Banca e impresa, prove di dialogo online

di Davide PASSONI

Da qualche settimana a questa parte, Bnl spinge la comunicazione pubblicitaria sulla propria iniziativa Mestiere Impresa. Radio, tv, internet, affissioni, con messaggi nei quali passano le storie di piccoli imprenditori “veri” che raccontano di come hanno potuto sviluppare il proprio business grazie al supporto della banca. Niente da dire, gli spot sono ben fatti e i 6 video che raccontano altrettante storie d’impresa, ancora meglio: nulla di strano se alle spalle ci sono Tbwa\Italia e Shootin’Gun. Però… Però la voglia di capirne di più ci è venuta; del resto, tutti i giorni noi di Infoiva scriviamo d’impresa, parliamo con gli imprenditori e sappiamo quanto, in questo momento, per molti di loro i rapporti con le banche siano tutt’altro che rilassati… Possibile che per Bnl e le sue imprese clienti sia tutto rose e fiori? Che strategie commerciali ci sono dietro all’iniziativa? Insomma, viva le storie d’impresa ma, alla fine… Bnl che cosa vuole venderti?

Nulla. Siamo noi che, come al solito, pensiamo male, pare. Dall’ufficio stampa di Bnl precisano subito che Mestiere Impresa nasce come una “piattaforma” realizzata per aprire un canale di sostegno e di relazione con l’impresa: quello che la banca fa normalmente, ci dicono. Il passaggio in più è la creazione di una via di comunicazione strutturata, nella quale alcuni esperti (per ora interni a Bnl, poi anche esterni) possono rispondere alle domande che l’imprenditore pone attraverso la rete. Domande molto pratiche, di business, per le quali ci si aspettano risposte pratiche, di business. Il fine di Mestiere Impresa non è vendere un prodotto ma aprire un canale privilegiato di ascolto, comunicazione e confronto tra banca e impresa. Anche verso aziende non clienti di Bnl nonostante, per ovvi motivi, i protagonisti dei video siano clienti dell’istituto.

Delusi? No, stupiti. Perché, come detto, quando si parla di rapporto banche-imprese siamo portati a pensare male e l’uscita di Mestiere Impresa, in un momento delicato come l’attuale, ci sembrava un’operazione “simpatia” messa in campo da un grosso istituto di credito per reagire a un clima di diffidenza e sfiducia che caratterizza le banche agli occhi delle aziende. Del resto, sono molti gli istituti di credito che hanno delle business unit dedicate specificamente alle piccole imprese con a portafoglio prodotti finanziari ad hoc, salvo poi applicare delle condizioni molto pesanti, quando non proibitive, per l’accesso al credito. E invece no, da Bnl ci invitano a mettere da parte la malizia e a pensare a Mestiere Impresa solo come a “un luogo virtuale, ma con l’obiettivo reale e concreto di offrire agli imprenditori informazioni ed aggiornamenti, appuntamenti di loro interesse e tutto quello che può essere utile per renderli sempre più consapevoli anche per affrontare le sfide che il mercato italiano e quelli internazionali presentano loro quotidianamente“. Già la qualità dei video (non certo realizzabili in pochi giorni) fa capire che il progetto era in gestazione da tempo.

Bene, tutto molto chiaro. Ma, a fronte di 6 storie “a lieto fine”, quanti saranno gli imprenditori che con la banca hanno avuto problemi più o meno grandi e si sentiranno in dovere di dire la loro, sul sito o nei forum, contestando la linea editoriale di Mestiere Impresa? Accontentare tutti è impossibile, nella vita come nell’impresa. Un consiglio amichevole a Bnl; si attivi in maniera seria anche su questo fronte, come ha fatto con profitto su quello della promozione dell’iniziativa: un solo feedback negativo può fare più danni di quanti benefici possano portare 50 video con storie positive. Visto l’investimento in termini di creatività e, pensiamo, in termini finanziari, sarebbe un peccato per la banca, se succedesse.

Credem fa “Gran Cassa” per le imprese

Buone notizie per le piccole imprese italiane in crisi di liquidità. Credem ha infatti attivato un plafond di finanziamenti di 1,1 miliardi di euro a loro favore. Una iniziativa che, secondo la banca, costituisce un forte segnale di fiducia verso il mondo delle piccole aziende, che costituiscono la struttura portante del nostro sistema economico.

La cifra messa sul piatto è consistente e, per una iniziativa del genere, ci voleva un nome altisonante: Gran Cassa. L’iniziativa è rivolta a un bacino di 36mila aziende già clienti della banca, in particolare artigiani, agricoltori, liberi professionisti e piccole imprese, interessate a gestire esigenze di liquidità, generalmente accentuate verso fine anno per il pagamento di tredicesime, e acconti per imposte di fine novembre, anticipi di Iva, saldo Ici, oltre ad altre necessità finanziarie quali il finanziamento del magazzino o il pagamento anticipato dei fornitori. I finanziamenti sono chirografari e saranno erogati senza particolari formalità e senza ulteriori garanzie.

Le imprese, potenzialmente interessate a questa iniziativa, attiva sino a fine dicembre 2012, appartengono al segmento small business del Gruppo, i cui impieghi, nel primo semestre di quest’anno, ammontano ad oltre 4 miliardi di euro e rappresentano il 21% circa del totale degli impieghi del gruppo Credem. Nel primo semestre 2012 gli impieghi totali di Credem hanno raggiunto i 19,8 miliardi di euro, con una crescita dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il plafond complessivo di 1.130 milioni di euro è ripartito in più regioni italiane, in relazione al tessuto economico e al numero di aziende clienti: oltre 300 milioni di euro sono riservati al mercato Emiliano-Romagnolo, 147 milioni alla Lombardia, 85 milioni alla Toscana, 56 milioni al Veneto, 45 milioni al Piemonte, 40 milioni al Lazio, 93 milioni alla Campania, 111 milioni alla Puglia, 122 milioni alla Sicilia solo per citare le principali Regioni.

Secondo Massimo Arduini, responsabile Marketing e Business Imprese di Credem, “questa importante iniziativa si inquadra nel costante impegno di Credem a favore delle imprese e segue altri precedenti progetti attivati in favore delle piccole imprese. Gran cassa è un’ulteriore chiara dimostrazione, anche in questo periodo di particolare congiuntura economica, di concretezza dell’offerta Credem agli imprenditori finalizzata a consolidare sempre più il legame banca-impresa“.

d.S.

Imprese italiane: meno prestiti e più debiti

Cornute, tassate e mazziate. Sono le imprese italiane fotografate dalla Cgia di Mestre quando prova a fare il punto sulla loro situazione patrimoniale in questo disastrato 2012. E il risultato di questa fotografia sta tutto nelle parole di Giuseppe Bortolussi, segretario dell’associazione mestrina: “Ricevono sempre meno prestiti e nel contempo fanno sempre più fatica a restituire quelli ricevuti. Tra l’agosto del 2011 e lo stesso mese di quest’anno, la contrazione degli impieghi erogati dalle banche alle imprese italiane è stata di circa 27 miliardi di euro, mentre le sofferenze in capo al sistema imprenditoriale sono aumentate di 12,3 miliardi di euro. Ormai l’ammontare complessivo delle insolvenze sfiora gli 88 miliardi di euro: un vero e proprio record mai raggiunto dopo l’avvento dell’euro“.

Parole che esplodono dopo che la Cgia ha analizzato l’evoluzione dei prestiti e delle sofferenze registrate dal sistema imprenditoriale italiano negli ultimi 12 mesi dell’anno (agosto 2011-agosto 2012). A livello territoriale, è il Centro ad aver subito la più significativa variazione di crescita delle sofferenze: tra il luglio 2011 e lo stesso mese di quest’anno (ultimo dato disponibile) l’incremento è stato dell’17,3%, contro il +16,9% registrato nel Nord Est, il +15,1% del Nord Ovest e il +14,6% del Sud.

Lato prestiti, invece, è il Nord Ovest l’area che ha subito la flessione più evidente: sempre tra luglio 2011 e luglio 2012, la contrazione è stata del 2,67%, rispetto al -1,67% fatto segnare dal Nord Est, al -1,58% registrato nel Sud e al -1,50% maturato nel Centro. Ancor più significativa la situazione che si è verificata dall’inizio di novembre del 2011, mese in cui lo spread italiano ha raggiunto il livello record di 558 punti base: in questi ultimi 10 mesi (novembre 2011 – agosto 2012) i prestiti hanno subito un forte rallentamento. Rispetto al periodo agosto 2011-agosto 2012, la contrazione è quasi raddoppiata, mentre la crescita delle sofferenze ha subito una decisa frenata.

Dopo quattro anni di crisi – dice ancora Bortolussisoprattutto le piccole imprese stanno soffrendo per la mancanza di liquidità. Per soddisfare gli ordini e la domanda, le piccole imprese devono pagare le forniture, acquistare le materie prime e i servizi, pagare le utenze, onorare gli impegni economici assunti con i propri dipendenti, versare le tasse e i contributi ed è chiaro che senza liquidità molte esperienze imprenditoriali rischiano di cessare l’attività. Ricordo che dall’inizio della crisi ad oggi sono quasi 50mila le imprese italiane che hanno fallito e circa un terzo di queste hanno chiuso i battenti per mancati pagamenti“.

Con le due operazioni effettuate dalla Bce nel dicembre 2011 e nel febbraio di quest’anno gli istituti di credito italiani hanno ricevuto 132 miliardi di liquidità netta, ad un tasso d’interesse dell’1%. E’ vero che gran parte di questi soldi sono stati impiegati per l’acquisto di titoli di Stato al fine di evitare il crac finanziario del nostro Paese, ma adesso bisogna evitare che a collassare sia l’economia reale, ovvero le imprese e i propri dipendenti. Per questo è auspicabile che le banche ritornino a fare il loro mestiere, vale a dire rischiare assieme alle imprese“, è l’amara conclusione di Bortolussi.