La debolezza delle banche è un rischio per le imprese?

La bufera che da diverse settimane sta imperversando sulle banche italiane potrebbe avere dei riflessi anche sulle imprese che, proprio nei confronti delle banche, sono maggiormente esposte? Secondo l’agenzia di rating Moody’s, la risposta alla domanda è no.

In un suo studio Moody’s sostiene che gran parte delle imprese italiane cui è assegnato un rating ha un’esposizione “modesta” nei confronti banche e che i prestiti concessi dagli istituti di credito sono generalmente a lungo termine e non soggetti a discrezionalità.

Attenzione però. Moody’s mette in guardia da una eventuale riduzione del credito bancario che, secondo l’agenzia, avrebbe un impatto sulle piccole imprese senza rating, mentre tra le aziende con rating sarebbero più esposte a rischi quelle con la valutazione più bassa.

Anche in questo caso, il problema più grosso arriverebbe dalle sofferenze bancarie. Se, infatti, le banche italiane che le devono ridurre non lo facessero, questo “potrebbe portare alla revoca o alla riduzione delle linee di credito ‘uncommitted’, creando problemi di liquidità per le imprese che si affidano a tali linee“, sostiene Moody’s.

Un rischio al quale sarebbero più esposte le aziende con rating in area B, anche se gran parte delle 16 aziende con rating B analizzate nello studio possono contare su un numero sufficiente di fonti di liquidità di sicurezza, che le aiuterebbero anche in caso di una stretta delle banche.

Tutti i limiti del Quantitative Easing

Quante sono le aziende italiane che, a oggi, hanno ancora problemi di liquidità a causa della stretta dei prestiti alle imprese da parte delle banche? Moltissime, e questo nonostante il famigerato Quantitative Easing – l’acquisto massiccio di titoli da parte della Bce per riportare il tasso di inflazione al 2% e far respirare l’economia – messo in opera dalla Banca Centrale Europea da quasi un anno, dal 9 marzo 2015.

I 60 miliardi al mese (oltre 713 miliardi da un anno a questa parte) acquistati dalla Bce sembrano dunque non bastare, come testimonia anche una ricerca dell’Ufficio Studi della Cgia sul Quantitative Easing i cui risultati a un anno dall’avvio sarebbero “deludenti”.

Dallo studio della Cgia emerge che, nonostante il Quantitative Easing, nell’ultimo anno il livello medio dei prezzi nell’Eurozona è aumentato solo dello 0,1% e i prestiti alle società non finanziarie (le imprese)sono calati dello 0,7%.

Entrando nel dettaglio dei vari Paesi, lo studio evidenzia gli scarsi effetti del Quantitative Easing anche in Paesi con prospettive di crescita più forti come Germania e in Francia, che registrano tassi di inflazione del +0,2% e del +0,1%.

Nel nostro Paese, nonostante l’acquisto da parte della Bce di oltre 87 miliardi di titoli di Stato italiani, l’inflazione nell’ultimo anno ha fatto segnare un +0,2% e i prestiti alle imprese un -2,3%. Per non parlare dei Paesi deflazione: Slovenia (-0,8% per i prezzi), Spagna e Lituania (-0,5%), Slovacchia (-0,4%) e Finlandia (-0,1%).

Al momento, insomma, la soglia del 2% ipotizzata dalla Bce rimane irraggiungibile e il Quantitative Easing si dimostra tutt’altro che efficace.

Cna Abruzzo: micro imprese regionali dimenticate dalle banche

All’interno di Infoiva cerchiamo di solito di dare spazio a tematiche di interesse più nazionale che locale, ma il grido di dolore e di allarme che si alzato dalla Cna Abruzzo nei giorni scorsi merita di essere ascoltato. Perché è un grido che più o meno tutte le regioni sono nelle condizioni di alzare.

Il grido della Cna Abruzzo è partito a seguito di un’analisi effettuata dal ricercatore abruzzese Aldo Ronci, il cui esito è lapidario: se da un lato le banche non sostengono più la micro impresa, dall’altro i tassi di interesse sui prestiti a imprese e famiglie in regione sono volano al di sopra della media nazionale.

La ricerca di Ronci per la Cna Abruzzo ha preso in esame l’andamento del credito nei primi sei mesi dell’anno e ha rilevato che in regione le banche chiudono sempre più i finanziamenti alle micro imprese (meno di cinque dipendenti): 7 milioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2014. Peccato però che per le altre imprese vi sia un andamento opposto.

Queste le cifre messe da Ronci a disposizione della Cna Abruzzo: a fronte dei 7 milioni in meno alle micro imprese di cui sopra, da gennaio a giugno 2015, le grandi imprese hanno avuto 261 milioni e le famiglie ben 346. Tra le imprese, le più sostenute dalle banche sono state le attività manifatturiere (+145 milioni), le imprese del commercio (+82) e quelle dell’agricoltura (+36).

Il sostegno maggiore assicurato al mondo dell’impresa – commenta Ronciè stato appannaggio dei mezzi di trasporto, con un incremento di 91 milioni. Ma buone performance sono state assicurate anche a carta e stampa (+38), prodotti in metallo (+35). Penalizzate, al contrario, le imprese del comparto alimentare, che perdono 25 milioni di euro”.

Finanziamenti alle imprese giù nonostante i soldi della Bce

Siamo alle solite. La Bce dà camionate di soldi alle banche, ma queste si guardano bene dal trasformarli in finanziamenti alle imprese. L’amara verità è stata ancora una volta spiattellata dalla Cgia, che ha rilevato come, grazie all’operazione Tltro, da settembre 2014 a marzo 2015 la Bce ha erogato 94 miliardi di euro alle banche italiane, obbligandole a trasformare questo denaro in sostegno all’economia reale e finanziamenti alle imprese entro la fine del 2016.

Cosa che non è successa o, almeno, in minima parte. Secondo la Cgia, infatti, se da una parte le famiglie hanno visto crescere gli impieghi di 3,4 miliardi, dall’altra le imprese hanno subito una contrazione degli impieghi di 13,2 miliardi. Un calo, tra privati e imprese, di 9,8 miliardi.

Ricordiamo che le Tltro sono operazioni di rifinanziamento a termine più lungo messe in atto dalla Bce per contrastare il fenomeno del credit crunch, grazie alle quali le banche europee possono chiedere finanziamenti alla Bce da riversare poi nell’economia reale sotto forma di finanziamenti alle imprese e alle famiglie.

In buona sostanza – ha però sottolineato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussinonostante le iniezioni di liquidità messe sul mercato dalla Bce i soldi arrivano alle famiglie con il contagocce, mentre il rubinetto del credito alle imprese continua a rimanere chiuso“.

Finanziamenti alle imprese giù negli ultimi 5 anni

Quando si parla di finanziamenti alle imprese in Italia, bisogna sempre fare i conti con dei dati in altalena. Qualche giorno fa, l’Abi ha parlato di una crescita dei finanziamenti alle imprese nel primo trimestre del 2015. Se invece si amplia l’orizzonte, come fa il Centro studi di Unimpresa, si registra che negli ultimi cinque anni i finanziamenti alle imprese sono calati di 36,2 miliardi (-4,28%).

Secondo Unimpresa, da marzo 2010 a marzo 2015 i finanziamenti alle imprese sono diminuiti su tutte durate: quelli a breve termine (fino a 1 anno) sono scesi di 16,7 miliardi (-5,28%), quelli a medio termine (fino a 5 anni) di 10,7 miliardi (-7,49%), quelli a lungo termine (oltre 5 anni) sono diminuiti meno, 8,7 miliardi (-2,26%) ma sono diminuiti.

A un calo dei finanziamenti alle imprese corrisponde, anche in questo caso, un aumento delle sofferenze bancarie (le rate di prestiti non rimborsate da parte delle imprese). Nello stesso periodo, infatti, Unimpresa sottolinea il balzo in avanti di queste ultime, cresciute del 207,74% e passate da 48,8 miliardi a 150,3 miliardi.

Secondo le rilevazioni di Unimpresa, le società non finanziarie hanno avuto le maggiori difficoltà a rimborsare i finanziamenti alle imprese: +223,54%, da 41,7 miliardi a 134,9 miliardi. Raddoppiate le sofferenze per le imprese familiari, passate da 7,1 miliardi a 15,4 miliardi (+115,65%).

Amaro il commento del presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Le eventuali fusioni e aggregazioni – ha detto a chiosa dei dati presentati – non siano mosse o condizionate da interessi e giochi di potere, ma siano finalizzate a razionalizzare i costi e a rendere più efficiente l’industria del credito“.

Brillano i conti di Intesa Sanpaolo

Mentre nei confronti delle imprese continua certa stretta del credito, i conti delle banche migliorano. Questo, almeno, è il caso di Intesa Sanpaolo, che ha da poco pubblicato i conti relativi al primo trimestre 2015. Buoni. E buon per loro.

Intesa Sanpaolo ha infatti più che raddoppiato l’utile netto rispetto al primo trimestre 2014: dai 503 milioni dello scorso anno ai 1064 del 31 marzo. Un utile netto pari a oltre il 50% dei dividendi annunciati per l’esercizio 2015 e, contemporaneamente, il dato trimestrale più elevato dal primo trimestre 2009 per Intesa Sanpaolo.

Con questi numeri aumenta il risultato della gestione operativa, che sale a circa 2.647 milioni di euro che, secondo la nota diffusa dall’istituto bancario, è “il dato trimestrale più elevato dal secondo trimestre 2007, +48,6% rispetto al quarto trimestre 2014 e +30,9% rispetto al primo trimestre 2014“.

Parallelamente calano gli interessi netti, pari a circa 1,9 miliardi contro i 2,1 del primo trimestre 2014, mentre il complesso degli accantonamenti e delle rettifiche di valore nette per Intesa Sanpaolo è pari, nel primo trimestre 2015, a 890 milioni di euro, rispetto ai 1.412 milioni del quarto trimestre 2014 e ai 1.144 milioni del primo trimestre 2014.

Gongola Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: “Gli ottimi risultati raggiunti nel primo trimestre rappresentano la miglior base di partenza del 2015 e la conferma del ruolo svolto da Intesa Sanpaolo a sostegno della ripresa italiana. Si tratta di una performance che posiziona il nostro gruppo ai vertici europei in termini di crescita dei ricavi e di solidità patrimoniale“.

Le imprese di immigrati hanno fame di credito

Le imprese di immigrati in Italia, lo abbiamo visto nei giorni scorsi, sono centinaia di migliaia, creano posti di lavoro e ricchezza tanto per il nostro Paese quanto per le terre d’origine degli imprenditori. Però, come le imprese italiane, anche quelle di immigrati sono spesso alle prese con problemi di accesso al credito, in questi anni di spietato credit crunch.

Se n’è accorto anche il governo, particolarmente sensibile, in questi giorni di tragedia, a tutto ciò che ha a che fare con il tema immigrazione. Tanto che il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi ha sottolineato come servano più soldi per le imprese di immigrati, liquidità da erogare sotto forma di prestiti bancari o di agevolazioni fiscali concesse dallo Stato.

L’intervento del ministro Guidi è avvenuto davanti Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen. Una presa di coscienza tardiva ma importante, perché non si può fingere di ignorare che su 6 milioni di imprese in Italia, quasi 400mila sono imprese di immigrati extracomunitari, il 9,5% in più da 5 anni a questa parte.

Considerando che, stando ai dati relativi al 2013, la richiesta di credito da parte delle imprese di immigrati è stato dell’11% rispetto al totale del credito chiesto dalle imprese italiane, la Guidi ha affermato che “un primo, importante intervento è quello relativo alla facilitazione per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese. Si rende necessario vigilare con attenzione per evitare sovra-indebitamenti o il ricorso a canali di finanziamento meno controllabili, legati ad attività poco tracciabili e quindi di natura illecita“.

Detto questo, che è un discorso che vale tanto per le imprese gestite da italiani quanto per le imprese di immigrati, il ministro auspica poi che da parte degli imprenditori stranieri siano attivati “processi di aggregazione anche con imprese autoctone, al fine di evitare una competizione al ribasso tramite il contratto di rete, strumento molto apprezzato dalle imprese, in particolare di micro e piccole dimensioni“.

Non manca un riferimento alle start up, molto diffuse tra gli immigrati: “Un ulteriore efficace strumento – ha concluso la Guidi – potrebbe essere rappresentato dall’estensione delle agevolazioni previste per le start up anche alle ‘Nuove imprese di cittadini extra Ue’, al fine di favorire la diffusione e la crescita di competenze e innovazione, non solo di processo e di prodotto, ma anche commerciale, finanziaria e organizzativa“.

Nuova gelata sui finanziamenti alle imprese

Ci risiamo. Tornano a crescere le sofferenze bancarie e, parallelamente, si restringono i finanziamenti alle imprese. Secondo il rapporto mensile sul credito del Centro studi di Unimpresa, da febbraio 2014 a febbraio 2015 le sofferenze hanno superato i 187 miliardi di euro (+25,2 miliardi, per un incremento del 15,56%).

Ne hanno sofferto i finanziamenti alle imprese perché proprio le imprese sono state quelle che hanno fatto più fatica a rimborsare i prestiti alle banche per 133,1 miliardi (+16,51%). E siccome qualcosa di vero ci sarà nel detto secondo cui le banche ti danno l’ombrello quando c’è il sole e se lo riprendono quando piove, ecco che, a fronte di questa situazione, i finanziamenti alle imprese sono stati tagliati di 28,7 miliardi.

Una stangata per le aziende, che hanno visto calare sia i prestiti a breve termine di 10,7 miliardi (-3,48%) sia quelli di lungo periodo di 26,3 miliardi (-6,52%) con in calo complessivo dei finanziamenti alle imprese da 834,6 a 805,9 miliardi. Un’ennesima gelata che ha tagliato le radici di moltissime aziende e che ha spinto Unimpresa a lanciare il consueto allarme da quando è partito il credit crunch.

Secondo il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, “quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Negli scorsi mesi i rappresentanti delle banche e quelli delle grandi industrie hanno parlato di un nuovo rapporto tra il mondo del credito e quello delle imprese, ma non se n’è fatto più nulla”.

Accordo per il Credito 2015

Ogni tanto anche il sistema bancario si accorge delle difficoltà delle imprese con il credito e prova ad andare a loro incontro. Come dimostra l’ Accordo per il Credito 2015 siglato tra l’Abi e le principali associazioni d’impresa.

Un accordo che ha come obiettivo quello di ridare liquidità e slancio alle Pmi italiane, principalmente attraverso tre strumenti che costituiscono le tre direttrici lungo le quali si muove l’ Accordo per il Credito 2015: Imprese in Ripresa, Imprese in Sviluppo, Imprese e Pa.

  • Imprese in Ripresa. In base a questo strumento, le Pmi cosiddette “in bonis” (ossia quelle che non hanno problemi di pagamenti) possono sospendere la quota capitale delle rate di mutui e leasing eventualmente accesi, o allungare il piano di ammortamento dei loro mutui e delle loro scadenze del credito a breve termine, oltre che del credito agrario.
  • Imprese in Sviluppo. Le banche che aderiscono a questo strumento costituiscono plafond individuali per finanziare i progetti imprenditoriali delle Pmi; il finanziamento può essere esteso anche all’aumento del circolante per finalizzare investimenti realizzati o in corso, oppure alla capacità operativa che servisse alle imprese per far fronte a nuovi ordinativi.
  • Imprese e Pa. Aggiorna i contenuti delle recenti disposizioni legislative in tema di smobilizzo dei crediti delle imprese verso la Pa.

L’ Accordo per il Credito 2015 impegna anche l’Abi e le associazioni d’impresa a sottoscrivere un accordo con l’Agenzia delle Entrate che consenta alle imprese che hanno richiesto il rimborso di un credito di natura fiscale di ottenerne l’anticipazione bancaria.

Dopo la sottoscrizione da parte dell’Abi e delle associazioni d’impresa, l’ Accordo per il Credito 2015 è stato trasmesso al ministero dell’Economia e delle Finanze e al ministero dello Sviluppo Economico e resterà in vigore fino al 31 dicembre 2017.

Prestiti alle imprese, a quando la ripresa?

Anche il mese di gennaio conferma che il momento difficile per i prestiti alle imprese e famiglie non è ancora passato. Secondo il Centro studi Unimpresa, da gennaio 2014 a gennaio 2015, le sofferenze bancarie (dati Bankitalia) sono aumentate del 15% arrivando a oltre 185 miliardi di euro (+25 miliardi).

Secondo l’osservatorio di Unimpresa, la maggior parte dei finanziamenti non rimborsati arriva dai prestiti alle imprese, per un totale di 131 miliardi, e anche le cosiddette imprese familiari risultano in forte difficoltà, con un totale di insoluto che tocca i 15 miliardi.

Unimpresa rileva però che, nello stesso periodo, le banche hanno diminuito i prestiti alle imprese e alle famiglie per complessivi 30 miliardi (pari a un calo del 2%), ma i prestiti alle imprese per il medio periodo sono cresciuti di 9 miliardi.

Secondo lo studio di Unimpresa, nell’anno in esame le sofferenze sono passate dai 160,4 miliardi di gennaio 2014 ai 185,4 di gennaio 2015 (+16,6%). Di queste, la quota delle imprese è aumentata di ben il 17,3%, da 112,3 a 131,7 miliardi, mentre per le imprese familiari la crescita è stata più contenuta ma sempre preoccupante: +11,08%, da 13,6 a 15,1 miliardi.

A fronte di queste sofferenze, la stretta al credito e i tagli ai prestiti alle imprese e alle famiglie è fisiologica: nell’ultimo anno sono calati di 2,5 miliardi al mese, per un totale, da gennaio 2014 a gennaio 2015, di -30,6 miliardi (da 1.439,6 a 1.409,1).

I prestiti alle imprese sono scesi di 27,4 miliardi e del 2,13% nell’ultimo anno; sono calati quelli a breve termine per 9,8 miliardi (-3,16%) e quelli di lungo periodo di 26,5 miliardi (-6,55%). In controtendenza quelli fino a 5 anni: +8,9 miliardi (+7,50%).

Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, non ha mancato di commentare questa situazione: “Quella del credito resta una situazione gravissima e di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Ci sono le risorse del quantitative easing della Bce e non vanno sprecate”.