Intesa Sanpaolo preferita da Credit Suisse

Credit Suisse ha effettuato un’indagine particolareggiata sulle banche italiane e ne è emerso, che, se da una parte i progressi sono molto lenti, dall’altra non sono stati registrati passi indietro.

Nel report, tra le altre cose, si auspica ad una flessione del 20-30% dei costi di finanziamento nel 2014-2016 ed anche un graduale calo degli accantonamenti su crediti.

Facendo i nomi degli istituti di credito del Belpaese, in cima al rating c’è ancora Intesa Sanpaolo, saldamente al comando grazie ai più forti ritorni e ad una maggiore flessibilità del capitale.

Sempre secondo Credit Suisse, Ubi Banca è considerata a buon mercato e rappresenta una valida alternativa nel lungo termine mentre Unicredit rimane neutral data l’incertezza nell’area dei paesi Cee compensata sia dalla ripresa italiana sia da una posizione di capitale della banca rafforzata.

Tra i fanalini di coda, ecco Monte dei Paschi di Siena, sebbene rimanga neutral in scia al ridotto rischio di ulteriori requisiti di capitale.

Vera MORETTI

“L’economia non va così male”, parola di Crédit Suisse

Dal rapporto degli analisti finanziari di Crédit Suisse, dopo il downgrade sul credito, emerge che l’Italia non è così grave come sembrava.

Stando a quanto dichiara il report, il rischio di default è inferiore a quanto si possa pensare. In Europa, solo la Norvegia e la Svizzera vantano un avanzo primario.

Il problema principale in Italia è la crescita molto bassa e l’unica via d’uscita che possa funzionare è una ripresa vigorosa globale, un euro più debole o più debole dei prezzi internazionali delle materie prime (in Italia le importazioni delle materie prime al netto sono circa il 4% del Pil) o, naturalmente, una caduta molto forte dei costi di finanziamento.

L’indebitamento complessivo in Italia risulta inferiore al livello medio della zona euro e questo, spiegano, perché i livelli molto elevati di debito pubblico (121% del pil) sono compensati da un basso debito privato“, spiegano gli analisti di Crédit Suisse, che sostengono inoltre che la perdita di competitività in Italia e la bassa crescita sono un problema “ma con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% del Pil, la perdita di competitività sembra essere più piccola di quella di Grecia e Portogallo (dove il disavanzo delle partite correnti è rispettivamente al 9,6% e all’8,9% del Pil)“.

Per quanto riguarda poi il debito sovrano, circa la metà è di proprietà di investitori nazionali. Inoltre, la scadenza media è di 7,2 anni.

Ciò significa che, secondo il ministro delle Finanze italiano, ogni aumento dell’1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento.

In definitiva, sostengono gli analisti di Crédit Suisse, l’Italia è stata disponibile ad adottare alcune misure fiscali dolorose, con un nuovo pacchetto di austerità di 60 miliardi di euro (3,8% del pil) tra il 2011 e il 2014.

Quindi, conclude l’istituto elvetico, “riteniamo che il rischio di insolvenza prezzato sul mercato dei Credit default swap (le assicurazioni contro un eventuale crac) è troppo alto (20% ipotizzando un tasso di recupero pari a zero, il 32% assumendo un tasso di recupero 40%).”

La stima del mercato del rischio di default si esprime anche nella index linked del mercato obbligazionario, con i 10 anni indicizzato al 4,7% di rendimento, rispetto al -0,2% nel Regno Unito e prossimo allo zero negli Stati Uniti.

Marco Poggi