Insinuazione al passivo azienda fallita, come fare

Le imprese che sono in dissesto finanziario possono accedere, in presenza di determinati requisiti, ad una procedura concorsuale liquidatoria che è rappresentata dall’istituto giuridico del fallimento. In tal caso i creditori, al fine di ricevere i pagamenti, devono presentare la domanda di insinuazione al passivo fallimentare. A gestire la procedura fallimentare è il Tribunale che nomina il curatore fallimentare proprio al fine di gestire il fallimento.

A chi presentare la domanda di insinuazione al passivo azienda fallita

La domanda di insinuazione al passivo, da parte dei creditori, si presenta proprio al Tribunale che valuterà, insieme al curatore fallimentare, se il credito per il quale si richiede il pagamento è effettivamente dovuto. Essendo inoltre un’impresa fallita in una condizione di dissesto finanziario, salvo rare eccezioni i creditori quasi mai vengono pagati interamente. E questo anche in base alle somme dovute in quanto, all’interno della procedura fallimentare, non tutti i crediti sono considerati allo stesso modo.

Crediti privilegiati e crediti chirografari quando l’azienda è fallita

All’interno della procedura concorsuale liquidatoria attivata per un’azienda fallita, infatti, ci sono i crediti che vengono pagati sempre prima degli altri. Si tratta, nello specifico, dei cosiddetti crediti privilegiati che vengono pagati prima degli altri in quanto, ai sensi di legge, godono di una corsia preferenziale.

Solo dopo il pagamento dei crediti privilegiati, se c’è ancora disponibilità, si procederà con il pagamento dei crediti non privilegiati che sono detti chirografari in quanto non sono assistiti da privilegio. Per rendere l’idea, sono crediti privilegiati quelli che l’azienda fallita deve pagare ai lavori dipendenti, mentre sono crediti chirografari quelli di un fornitore di beni o di servizi che ha emesso la fattura per la prestazione resa, ma questa non è stata pagata.

Come presentare la domanda di insinuazione al passivo se l’azienda è fallita

Se l’azienda è fallita, come sopra accennato, il creditore deve presentare la domanda di insinuazione al passato al Tribunale anche senza avvalersi dell’assistenza di un avvocato. E indicando, nello specifico, la natura e la causa del credito unitamente agli importi dovuti.

Nell’istanza, inoltre, bisogna indicare l’azienda fallita, l’azienda creditrice, il tribunale che ha in cura la procedura fallimentare, nonché tutti i documenti fondanti ed accertanti il credito, per esempio la busta paga oppure la fattura.

La domanda, debitamente firmata, dovrà poi essere scansionata in formato PDF e inoltrata, insieme a tutta la documentazione attestante il credito, all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del curatore fallimentare. Nella domanda, inoltre, occorre indicare l’indirizzo PEC al quale ricevere eventuali comunicazioni.

Se il creditore è un’impresa, l’istanza di insinuazione al passivo deve essere firmata dall’amministratore o dal legale rappresentante. Ed in ogni caso, per tutta la documentazione allegata, occorre sempre dichiarare, sotto la propria responsabilità, che questa risulta essere conforme all’originale.

In più, se il credito non è rappresentato da una busta paga o da una fattura, ma per esempio da assegni o cambiali, allora questi dovranno essere depositati in originale presso la cancelleria del Tribunale entro e non oltre il giorno in corrispondenza del quale è stata fissata l’udienza.

Concordato fallimentare: la procedura da seguire per ottenerlo

Il concordato fallimentare è una procedura volta a determinare la chiusura di una procedura di fallimento attraverso un accordo con i creditori, ma come funziona?

Concordato fallimentare: a cosa serve?

La crisi economica ha determinato difficoltà per molte imprese e società, non tutte sono riuscite a far fronte agli impegni economici e per molte si è aperta la porta del fallimento. Naturalmente un’impresa in difficoltà, che si avvia alla chiusura, ha sicuramente accumulato dei debiti ed è necessario comunque utilizzare i beni della società/impresa per liquidare i creditori (lavoratori, fornitori…).

Per velocizzare le procedure è possibile chiudere con un concordato fallimentare, solitamente questo si attua quando i beni sono insufficienti a coprire tutti i passivi accumulati  e consente al “fallito” di sanare definitivamente i propri debiti, sebbene non tutti i creditori siano stati interamente soddisfatti. La disciplina è contenuta nella Legge Fallimentare (legge 267 del 1942 e s.m.i.) e nel codice civile. La prima all’articolo 1 stabilisce che possono essere soggetti a concordato fallimentare gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, la formula è quindi ampia.

L’obiettivo è ridurre i tempi rispetto alla procedura ordinaria di fallimento che, per poter avviare le procedure del concordato fallimentare (da non confondere con quello preventivo) deve essere già iniziata, infatti come vedremo per poter procedere è necessario che sia stato già determinata l’entità della situazione debitoria (art 97). Ciò implica che siamo in una fase in cui l’imprenditore non può salvarsi dal fallimento, ma semplicemente si possono semplificare le procedure tramite un concordato volto anche a evitare che con il trascorrere del tempo il valore dei beni possa diminuire.

La proposta di concordato fallimentare

La procedura per il concordato fallimentare è distinta in diverse fasi, la prima è la proposta, qui c’è la prima cosa da sottolineare, l’articolo 124 della Legge Fallimentare stabilisce che può essere presentata “da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo” ciò a condizione che il curatore fallimentare possa predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito, oppure può essere proposta dal “fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo se non dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”. Ci sono quindi due strade percorribili, con tempi però diversi, infatti i debitori possono chiedere il concordato in modo anticipato rispetto al fallito.

Contenuto della proposta

La proposta di concordato fallimentare deve avere un contenuto ben determinato con:

  • Suddivisione dei creditori in classi definite (devono essere adottati criteri omogenei per la definizione delle classi);
  • possono essere indicati trattamenti diversi per i vari crediti vantati, ma tale differenziazione deve essere giustificata. Non può essere alterato l’ordine delle classi di prelazione, ad esempio un creditore assistito da un’ipoteca su un bene immobile ha diritto ad essere soddisfatto in via principale sul ricavato della vendita di quel determinato bene rispetto ad altri creditori. Se sullo stesso immobile sono presenti più ipoteche comunque si tiene in considerazione la data di iscrizione, per il semplice fatto che i creditori successivi potevano sapere dell’esistenza di una causa di prelazione su quell’immobile. Vedremo nel prosieguo che i creditori assistiti da causa di prelazione possono rinunciarvi;
  • il concordato fallimentare deve prevedere la ristrutturazione dei debiti, ciò anche attraverso la vendita di beni, attraverso l’accollo e altre operazioni straordinarie volte a liquidare il patrimonio, ad esempio cessione di azioni e obbligazioni ai creditori.

Deve essere sottolineato che in base al piano è possibile che i creditori non siano totalmente soddisfatti, sebbene siano assistiti da cause di prelazione, è però essenziale che siano rispettate determinate condizioni e cioè che l’ordine delle cause di prelazione sia rispettato e che la soddisfazione sia in misura non inferiore rispetto a quanto ricavabile in relazione al valore di mercato del bene indicato in una relazione giurata stilata da un professionista nominato dal tribunale. Questa misura è volta a proteggere i creditori assistiti da garanzia da manovre poco corrette volte a ledere i diritti da questi acquisiti.

A chi viene presentata la proposta

La proposta di concordato fallimentare deve essere presentata al giudice delegato che a sua volta deve:

  • valutarne la correttezza;
  • chiedere un parere al comitato dei creditori (parere vincolante) e uno al curatore fallimentare (parere non vincolante);
  • predisporre la comunicazione ai creditori indicando loro una data entro la quale far pervenire il loro dissenso o consenso. Il termine non può essere inferiore a 20 giorni e superiore a 30 (art 125 Legge Fallimentare).  Il silenzio ha valore di assenso (art.128).

Il concordato fallimentare è approvato nel caso in cui ottenga il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Non sono ammessi al voto i creditori assistiti da causa di prelazione (pegno/ipoteca), tranne nel caso in cui rinunciano a tale causa di prelazione. In base all’articolo 127 L.F la rinuncia può essere anche parziale purché non inferiore a 1/3 e comunque il voto è ammesso solo per la quota non coperta da prelazione. Se però la proposta iniziale di concordato comunque non prevede l’intero soddisfacimento dei crediti assistiti da prelazione, i creditori con prelazione possono partecipare al voto anche senza la rinuncia formale alla prelazione.

Il curatore al termine delle operazioni di voto trasmette una relazione sull’esito dello stesso al giudice. Se la proposta risulta approvata, il giudice cura che ne sia data comunicazione con PEC ai creditori (anche dissenzienti), al proponente, che può richiederne l’omologazione, e al fallito ( in questo caso anche con raccomandata con avviso di ricevimento). Il giudice in tale sede stabilisce anche il termine per proporre opposizione al concordato fallimentare.

Omologazione del concordato fallimentare

Se non vengono proposte opposizioni, il giudice procede all’omologazione del concordato preventivo con decreto. Avverso tale decreto è possibile proporre ricorso davanti alla Corte di Appello entro 30 giorni dalla notificazione del decreto. Se nessuno propone ricorso nei termini, oppure nel caso in cui le impugnazioni siano state esaurite,  il concordato diviene obbligatorio e quindi iniziano le procedure per l’effettivo pagamento dei vari crediti. Il concordato è obbligatorio per il fallito e per tutti i creditori antecedenti all’inizio della procedura.

Annullamento e risoluzione del concordato

Il curatore o i creditori attraverso un’istanza possono chiedere l’annullamento del concordato fallimentare, ciò  nel caso in cui si rendano conto che l’attivo è stato in parte occultato oppure è stato dolosamente esagerato il passivo. Si ha invece la risoluzione nel caso in cui non siano effettivamente costituite le garanzie previste all’interno del concordato stesso. Sulla corretta esecuzione del concordato vigilano giudice delegato, curatore e comitato dei creditori. Nel caso in cui i creditori attraverso il concordato non riescano ad ottenere una soddisfazione totale dei crediti, possono comunque agire verso eventuali coobbligati, ad esempio fideiussori.

Morire d’impresa. Ora basta.

di Davide PASSONI

Ne abbiamo già parlato, purtroppo, sulle nostre pagine. Morire d’impresa è l’estrema, intollerabile, bastarda conseguenza di questa crisi che non ci vuole mollare, nonostante l’impegno di imprenditori e professionisti che, ogni giorno, ce la mettono tutta per far quadrare bilanci, pagare stipendi, dare lavoro, permettersi il lusso di vivere e non di sopravvivere. Ogni giorno, fino a quando non ce la fanno più. E allora posano la chiave inglese, il mouse, le chiavi dell’auto e afferrano una pistola, un flacone di antidepressivi o infilano un tubo di gomma nel tubo di scappamento, chiudono lo sportello dall’interno e soffocano se stessi e la propria speranza di dare e darsi un futuro.

Dicono le cronache che durante queste festività non ancora terminate, tra molti casi di suicidio alcuni hanno riguardato imprenditori che… non ce l’hanno fatta più. Si sa, quando è d’obbligo festeggiare ed essere felici, chi non ha più uno straccio di motivo per unirsi al coro della bontà un tanto al chilo si sente ancora più schiacciato dalla depressione e dalla solitudine; e allora viene ancora più facile tirare quel grilletto, ingollare quelle pasticche, girare quella chiave nel quadro dell’auto.

Parlano le cronache di Antonio Losciale, 49 anni, di Trani che si è impiccato nel box che utilizzava come deposito della sua piccola ditta di climatizzatori.

Parlano le cronache di Roberto Manganaro, 47 anni di Catania, che insieme al fratello Giuseppe gestiva un concessionario di moto Honda e che si è tolto la vita ingoiando un’intera scatola di antidepressivi. Il suo ufficio stampa ha subito precisato che “contrariamente a quanto infondatamente riportato da alcuni media, la propria situazione economica, patrimoniale e finanziaria è ad oggi sana e trasparente e per nulla compromessa dalla pur nota congiuntura economica” e che “era purtroppo affetto da molto tempo da una grave forma di depressione, aggravatasi negli ultimi mesi, che lo ha privato di una lucida considerazione della realtà che lo circondava“.

Ma intanto parlano le cronache… E parlano di Roberto De Tullio, pensionato barese 74enne la cui famiglia gestisce in città diversi negozi, che si è gettato dal quarto piano del suo palazzo, lasciando una lettera firmata dall’Inps nella quale, dopo aver ricalcolato i versamenti, l’istituto chiedeva la restituzione di 5mila euro.

Parlano le cronache di un elettricista 64enne di Robecco sul Naviglio, che si è sparato alla tempia nel suo furgoncino.

Parlano le cronache di un agricoltore 54enne dell’Ascolano che si è impiccanto nel magazzino dove teneva gli attrezzi per i campi. A detta dei familiari, “temeva di non farcela, di non superare le difficoltà del 2012“.

Parlano le cronache di imprenditori forse più fragili di altri, ma che lanciano comunque un segnale forte di disperazione che VOI, istituzioni, politiche ed economiche, non potete più tardare a raccogliere. Perché VOI, prima che i mercati, avete gli strumenti per dare speranza, prima che ossigeno, a chi quotidianamente tiene in piedi questo Paese bello e disperato. Siamo stufi di andare alla conta dei morti.

Morire di debiti. Le imprese dicono no

Non è passata nemmeno una settimana da quando Giovanni Schiavon, imprenditore edile del Padovano, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua azienda per l’impossibilità di riscuotere i crediti per lavori già eseguiti (350mila euro) e saldare dipendenti e fornitori. Ora le imprese venete alzano la voce e scrivono al premier Mario Monti chiedendo la rapida applicazione della norma europea contro i ritardi nei pagamenti; una normativa  non ancora recepita dal governo italiano attraverso la legge comunitaria perché troppo onerosa per i bilanci dello Stato.

La lettera porta la firma anche della moglie e della figlia di Schiavon ed è molto chiara: se il governo dice di lavorare a un pacchetto di misure per salvare l’Italia, il recepimento della direttiva europea ne deve assolutamente fare parte. Una direttiva che fissa un tetto di 30 giorni (fino a un massimo di 60, ma solo in casi eccezionali) al saldo dei debiti, pena il pagamento degli interessi di mora progressivi che scattano già dal 30esimo giorno e partono dall’8% per aumentare man mano che aumenta il ritardo.

Un meccanismo che sarebbe ossigeno per le imprese e per chi le dirige, che in questi mesi balla giorno dopo giorno sul filo del baratro, stretto tra la morsa dei creditori e delle banche, e con l’impossibilità di avere ciò che gli spetta di diritto ed è frutto della più sacrosanta delle attività: il lavoro.