Ritardo nei pagamenti causa crisi

La crisi si abbatte fortemente sulle imprese che, per tirare avanti invece di chiudere, si vedono costrette a ritardare i pagamenti ai propri fornitori.

Dall’analisi Studio Pagamenti 2013, condotta da Cribis D&B, la società del gruppo Crif specializzata nelle business information, emerge infatti che i ritardi nel pagamento delle fatture vanno ben oltre i 30 giorni canonici, arrivando, in qualche caso, a sforare i 90 giorni.

I ritardi superiori al mese rispetto ai termini concordati riguardano il 12% delle aziende, contro una quota pari all’11,1% del periodo precedente e al 10,5% dell’intero 2012, ma nel 2010 le imprese che si caratterizzavano per inadempienze gravi ammontavano al 5,5% del totale.
Nell’ultimo trimestre del 2013, meno di 1 impresa ogni 2 (pari al 45,8%) risulta invece in piena regola con gli impegni verso i propri fornitori.

Entrando nel dettaglio, assunto che quasi il 50% delle imprese risultano totalmente affidabili, il 42,2% ha pagato con un ritardo inferiore ai 30 giorni medi rispetto ai termini contrattuali, il 5,1% ha saldato le fatture tra i 30 e i 60 giorni medi oltre i termini pattuiti, il 3,3% tra i 60 e i 90 giorni, il 2,1% tra i 90 e i 120 giorni, l’1,5% oltre i 120 giorni.

Se, da una parte, le imprese virtuose rimangono tali anche in periodi di crisi, dall’altra sono in forte crescita quelle che saldano i propri debiti con 90 giorni di ritardo, e anche di più, passando dallo 0,6% del totale nel 2010 al 3,6% attuale, con un incremento del +118,2%.

Marco Preti, ad di Cribis D&B, ha dichiarato: “L’analisi dei ritardi nei pagamenti commerciali nel secondo trimestre dell’anno di fatto mostra un’accentuazione delle dinamiche già osservate nei trimestri precedenti. In particolare, stiamo assistendo ad una polarizzazione dei comportamenti di pagamento, con le imprese in affanno o quelle che operano nei settori che maggiormente stanno soffrendo per la crisi ancora irrisolta che ritardano sistematicamente il saldo delle fatture. Al contempo, però, prosegue il processo di istituzionalizzazione dei ritardi, cioè la trasformazione dei ritardi in termini contrattuali, proprio perché le imprese in questa fase di incertezza preferiscono accettare tempi di pagamento più lunghi piuttosto che rischiare di perdere un cliente“.

Per quanto riguarda i settori commerciali più puntuali, quello dell’Agricoltura si conferma come il più efficiente, con il 54,4% delle imprese che pagano regolarmente. La percentuale si abbassa notevolmente nel Commercio, con pagamenti alla scadenza solo per il 35,7% delle imprese.

Se invece si considerano le dimensioni dell’azienda, rimangono anche nel II trimestre le micro imprese, affidabili al 49,7%, ma a questo settore appartengono anche i pagatori più ritardatari, poiché il 12,5% salda con ritardo di oltre un mese.
In questa graduatoria seguono le piccole imprese, puntuali nel 39% dei casi, e le medie, con il 26,9%. Le grandi imprese, invece, mostrano la performance peggiore tanto che solo il 15,4% del totale onora gli impegni con i propri fornitori entro i termini concordati mentre oltre il 76% del totale salda le fatture con un ritardo non superiore al mese.

Pagamenti diversificati anche per quanto riguarda le aree geografiche del Paese, con il Nord Est in testa quanto a puntualità, con il 52,4% di pagamenti regolari, seguito dal Nord Ovest con il 49,2%.
Più problematica la situazione del Centro, con il 41,9% di buoni pagatori, ma lo scenario peggiore si ritrova nuovamente nel Sud e Isole, dove appena il 37% di imprese risulta totalmente affidabile.
Al Sud e Isole appartiene il record di ritardi, con pagamenti oltre il mese nel 18,9% dei casi.

A livello regionale, nel II trimestre del 2013 le imprese più puntuali sono risultate essere quelle del Trentino-Alto Adige, con il 53,9% di pagatori regolari, e dell’Emilia Romagna, con il 53,7%. Il ranking dei buoni pagatori vede poi Friuli-Venezia Giulia (52%), Veneto (51,1%), Valle D’Aosta (51%), Lombardia (50,4%).
Con meno del 50% di buoni pagatori si collocano Piemonte (48,5%), Marche (48,4%), Umbria (48,3%), Toscana (46%), Basilicata (44,7%), Abruzzo (43,8%), Liguria (43,5%) e Puglia (41,2%) mentre, al di sotto del 40%, Molise (39,7%), Sardegna (37,2%), Calabria 35,2%. Chiudono la classifica, con percentuali inferiori al 35%, Lazio (34,2%), Sicilia e Campania.

Vera MORETTI

Nel 2012 stanno fallendo quasi 35 imprese al giorno in Italia

Da quanto emerge dall’analisi dei fallimenti in Italia relativa al secondo trimestre 2012, realizzata da Cribis D&B, la società del Gruppo Crif specializzata nella business information, nei primi 6 mesi del 2012 sono quasi 35 le imprese che ogni giorno sono costrette a chiudere nell’arco del territorio nazionale. Più di 1000 al mese, per un totale di 6.321 fallimenti. Dopo i 3.212 casi rilevati nel primo trimestre, infatti, da aprile a giugno sono fallite altre 3.109 imprese. E dal 1 gennaio 2009 alla rilevazione attuale sono complessivamente 39.159 le imprese che hanno portato i libri in Tribunale, con un trend di aumento costante.

Il numero di fallimenti registrato in Italia nel secondo trimestre 2012 appare tuttavia in calo rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno (-9% la variazione rispetto al secondo trimestre 2011), ma in crescita nel confronto con lo stesso periodo del 2010 (+4%) e del 2009 (+30%). Con riferimento al secondo trimestre di ogni anno si è passati dai 2.391 casi del 2009, ai 3.001 del 2010, ai 3.411 del 2011, fino ai 3.109 attuali.

Il numero dei fallimenti rimane molto al di sopra dei livelli pre-crisi – spiega Marco Preti, ad di Cribis D&B -. La crisi economica ancora irrisolta e le difficoltà sul mercato del credito fanno sì che oggi insoluti anche non gravi possano mettere seriamente in difficoltà anche aziende solide, soprattutto quando provengono dalla clientela storica dell’impresa e alla quale, magari, si sono concessi tempi lunghi di pagamento e fidi commerciali elevati”.

Micro imprese: 1 su 10 non può pagare i fornitori


Ritardi nei pagamenti, casi di insolvenza, rischio fallimento. Le aziende italiane, soprattutto la piccola e micro impresa, rischia di non riuscire a far fronte agli oneri nei confronti dei propri fornitori. E’ quanto denuncia lo studio realizzato dall‘Osservatorio sulla rischiosità commerciale di Cribis D&B, societa’ del Gruppo Crif.

Il grado di affidabilità delle imprese italiane è a rischio declassamento. Un’azienda su dieci infatti, non riesce a pagare i propri fornitori. Le aziende maggiormente esposte al rischio sono le micro imprese, mentre le difficoltà maggiori emergono nel settore del commercio all’ingrosso.

Qualche dato: a fine 2011 il 10,93% delle imprese italiane ha registrato un’alta rischiosità di generare insoluti commerciali nei confronti dei propri fornitori per i 12 mesi successivi. Se si confronta il medesimo dato a fine 2010 il tasso scende al 9,96% delle imprese italiane. Facendo un ulteriore salto indietro, nel marzo 2008 le imprese italiane caratterizzate da un’elevata rischiosità di insolvenza erano l’8,89%.

Le percentuali di rischio nel 2012 appaiono poi così suddivise: un livello di rischiosità media per il 45,56% delle imprese, mentre nella fascia medio-bassa il valore scende al 37,68%. Una fetta piccolissima occupa poi la percentuale di aziende che si collocano nella fascia di rischiosità bassa: appena il 5,83% del totale.