La Cgia chiede al Governo di riabbassare l’Iva

Con la crisi di Governo scongiurata, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, se non altro pensando al destino del Paese se ancora una volta lo scenario politico fosse stato ribaltato, ora si chiede ai Ministri, e al loro Presidente, di tornare nei ranghi, tirarsi su le maniche e trovare soluzioni convincenti in merito ai tanti problemi ancora esistenti.

Primo fra tutti è l’aumento dell’Iva, avvenuto ahimè in concomitanza con l’inizio del mese di ottobre, al quale, però, non è giusto arrendersi ma, anzi, chiedere a gran voce che l’aliquota venga riportata al 21%, dall’attuale 22.

A questo proposito, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia Mestre, è stato piuttosto esplicito e non si è fatto “intenerire” dalle spinose questioni che il Consiglio dei Ministri deve affrontare. Nonostante il problema degli esodati, il rifinanziamento della Cig in deroga, la seconda rata dell’Imu, il rientro del rapporto deficit/Pil sotto il 3%, secondo lui occorre ripartire dall‘Iva, per permettere all‘Italia di riprendersi dalla crisi buia nella quale ancora si trova.

A questo proposito, Bortolussi ha infatti dichiarato: “La riduzione dell’aliquota dal 22 al 21% non dovrà avvenire attraverso l’introduzione di nuove tasse. La bozza di decreto in circolazione venerdì scorso prevedeva che il mancato aumento dell’Iva fosse coperto da un ritocco all’insù delle accise sui carburanti e da un aumento degli acconti Ires e Irap in capo alle imprese. Bisogna assolutamente trovare nuove coperture agendo sulla spesa pubblica improduttiva: il Paese non è più in grado di sopportare un ulteriore incremento del carico fiscale”.

La CGIA ricorda che l’aumento dell’Iva scattato martedì scorso graverà sulle tasche dei consumatori per un importo di circa 1 miliardo di euro per il 2013 e di 4,2 miliardi per il 2014. Di questi ultimi, 2,8 miliardi circa saranno a carico delle famiglie, i rimanenti da attribuire agli Enti non commerciali, alla Pubblica Amministrazione e alle imprese.

Vera MORETTI

Dimessi i ministri Pdl, è crisi di governo

E crisi fu. Dopo settimane di avvertimenti e minacce, la decisione è stata presa: Silvio Berlusconi, dopo 5 mesi di governo Letta, apre la crisi di governo, pretendendo ed ottenendo le dimissioni del 5 ministri del Popolo delle Libertà. Il premier, che oggi salirà al Quirinale, vuole comunque verificare i numeri alle Camere «dove ognuno si prenderà le proprie responsabilità» forse già domani.

Il casus belli, almeno sulla carta, è la mancata approvazione del decreto legge per evitare l’aumento dell’Iva. Ed è proprio in nome di un’imposta, definita letteralmente «un’odiosa vessazione», che il Cavaliere ritira la truppa dei suoi ministri aprendo di fatto l’inevitabile crisi di governo.

«L’irresponsabilità sta salendo a livelli che non erano razionalmente valutabili, siamo ad una crisi al buio che non si vedeva dal dopoguerra», sono le dichiarazioni a caldo del segretario del Pd Guglielmo Epifani. A questo punto, però, il ritorno alle urne, pur messo in conto dal Partito Democratico, deve fare i conti con la necessità imprescindibile di cambiare la legge elettorale e anche il congresso previsto per inizio dicembre, per eleggere il nuovo segretario dopo il traghettatore, torna in forse. La speranza dei massimi dirigenti del partito di maggioranza relativa alla Camera è un governo di scopo, della durata di qualche mese, per portar approvare la legge di stabilità e, magari, la nuova legge elettorale.

Una nuova maggioranza in realtà sembra impossibile da costruire, nonostante Nichi Vendola si dichiari disponibile ad un governo che, prima di tornare alle elezioni, cambi il Porcellum ed approvi la Legge di Stabilità. Improbabile, invece, contare sull’apporto dei parlamentari grillini: «Bisogna andare al voto, anche con l’attuale legge elettorale, per vincere e salvare l’Italia. È l’ultimo treno. Napolitano non si opponga. I prossimi mesi saranno per cuori forti».

Jacopo MARCHESANO

Trefiletti: “Segnali di ripresa? Nemmeno l’ombra”

Tutti ne parlano, ma pochi finora riescono a toccarla per mano. Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, parla di «segnali di ripresa evidenti» e di una ripresa possibile «verso la fine dell’anno»,  ma i commercianti e i consumatori non sembrano intravedere nessuna luce alla fine del tunnel della crisi economica. Per ragionare in merito abbiamo chiesto il parere di Rosario Trefiletti, Presidente nazionale di Federconsumatori, non proprio in sintonia con le recenti dichiarazioni del governatore.

Presidente Trefiletti, ormai da settimane si parla di timidi segnali di ripresa economica, ancora però impercettibili per i commercianti e i consumatori nostrani.

Noi non vediamo nessun segnale di ripresa. Se per segnale si intende che ci sia una sorta di rallentamento della contrazione dei consumi, allora la questione mi sembra leggermente forzata. Non ravvisiamo segnali di miglioramento dato che il tasso di disoccupazione continua ad aumentare e il Prodotto interno lordo rimane stabile sui precedenti livelli. Sinceramente non capisco  come si possano trarre queste conclusioni del tutto irrazionali.

Il presidente di Confcommercio Sangalli ha dichiarato che la ripresa è solo un «annuncio propagandistico» e che «le famiglie e le imprese rimangono ancora in attesa». 

Credo che in questo caso abbia ragione. Del resto con Sangalli, ed è una novità, siamo in sintonia anche sul discorso Iva. Crediamo che il primo provvedimento necessario per imprese e famiglie sia quello di scongiurare l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, soprattutto in un periodo di contrazione economica come questo credo sia ai limiti del demenziale. Avrebbe un effetto dirompente sul tasso d’inflazione anche sui beni di prima necessità con aliquota fissa al 4%. I provvedimenti da attuare per una reale ripresa economica sono molti, dall’installazione della banda larga ad un vero decreto legge in materia di disoccupazione.

Non crede che il governo Letta stia lavorando in questa direzione?

Mi auguro che si continui a far tutto il possibile per aumentare la platea dei lavoratori, cominciando a dare risposte concrete sul fronte lavoro. Continuare con il taglio dei privilegi e degli sprechi, con una più serrata lotta all’evasione fiscale per trovare risorse da destinare a nuovi e innovati investimenti, attraverso i quali passa il potere d’acquisto delle famiglie. Le intenzioni da parte del governo Letta sembra che ci siano, ma noi pretendiamo i fatti, reali e concreti.

 

Jacopo MARCHESANO

L’eterno ritorno

 

IERI

Post Montim: a  due giorni dalle dimissioni rassegnate dal Presidente del Consiglio Mario Monti si paventa già una data per le prossime elezioni politiche anticipate: dovrebbero svolgersi il 24 febbraio 2013. E se il Cavaliere, che ha ormai annunciato la sua ridiscesa in campo a destra e sinistra, considera le dimissioni di Monti “doverose”, si dice pronto però dall’altra parte ad accogliere a braccia aperte il candidato perdente delle Primarie del Pd, Matteo Renzi. E l’alleanza con la Lega? Il Cavaliere è pronto a promettere il feudo lombardo se Maroni dirà sì all’alleanza con il Pdl. E’ il futuro che avanza. L’eterno ritorno o l’eterno riposo?

Addio a Riccardo Schicchi: è morto ieri nel tardo pomeriggio a Roma, all’ospedale Fatebenefratelli, Riccardo Schicchi, noto soprattutto come imprenditore del porno italiano. Ex marito dell’attrice Eva Henger, da cui aveva avuto due figli, Schicchi era nato in Sicilia, ad Augusta, il 12 marzo 1952. La causa del decesso è dovuta ad alcune complicanze legate al diabete, di cui l’uomo soffriva da alcuni anni, e a causa del quale aveva perso la vista. Nel 1985 Schicchi firma il primo film hardcore italiano in pellicola, “Telefono Rosso”, con protagonista Cicciolina, al secolo Ilona Staller. Ma il suo sodalizio più celebre è quello con l’attrice Moana Pozzi, scomparsa nel 1994 a Lione.

Trionfo Inter: ha battuto il Napoli 2 a 1 superandolo in classifica e piazzandosi al secondo posto come l’anti Juve. L’Inter di Stramaccioni corre veloce: nel 16mo posticipo di Serie A i nerazzurri conquistano il secondo posto della classifica, a -4 punti dai campioni d’Italia. Al primo posto infatti c’è la Juventus ritornata a Conte con 38 punti, seguita dall’ Inter (34), stacca di un solo punto il Napoli (33) al terzo posto, e poi ancora Fiorentina, Lazio e Roma tutte a 29 punti e la rimonta dei rossoneri con il Milan a 24 punti.

Il ritorno di Conte: “mi siete mancati”. Ha esordito così ieri Antonio Conte, al suo ritorno nella panchina della Juve dopo i 4 mesi di squalifica: “Mi è mancato l’odore dell’erba. Questi quattro mesi sono stati un dolore. Ma è stata un’esperienza formativa”.

OGGI

Premio Nobel all’Unione Europea: Herman Van Rompuy,  José Manuel Barros e Martin Schultz ritireranno quest’oggi a Oslo il premio Nobel per la Pace all’Unione Europea. Il riconoscimento è stato attribuito alla Ue per il ruolo attivo avuto nella trasformazione “di un continente in guerra in un continente in pace”. “L’Unione europea attraversa un periodo difficile – ha commentato Van Rompuy – ma usciremo da questo periodo di incertezza e di recessione più forti di prima”. Alla cerimonia sarà presente anche Mario Monti, a due giorni dalla rassegnazione delle sue dimissioni da Presidente del Consiglio, assieme a François Hollande e Angela Merkel. A Oslo è attesa anche Elena Nicoletta Garbujo, la studentessa di 16 anni che ha incantato con il suo tweet la Commissione dell’unione Europea che aveva indetto il concorso “Cosa significa per te la pace in Europa?”. Elena, che vive a Novate Milanese e frequenta il liceo scientifico, aveva risposto con un acrostico in 140 caratteri: Pace: Ponte Avente Comuni Estremità.

Febbre da spread: è salito oltre i 350 punti, toccando un record storico, il differenziale tra il Btp e il Bund tedesco a 10 anni. Conseguenza delle dimissioni del Premieri Monti e dell’annunciata ridiscesa in campo di Berlusconi. L’Europa ci osserva. E intanto c’è già chi ironizza sulle prossime elezioni politiche, non risparmiando nè destra né sinistra…

Bacio amaro per Muccino: la vita non è facile ad Hollywood, nemmeno quando per la tua pellicola hai scritturato un cast di star. “Quello che so sull’amore”, il film made in Usa di Gabriele Muccino, ha raccolto magri incassi al botteghino americano (solo 6 milioni di dollari) e meglio non gli è andata sulle pagine dei giornali, stroncato dal “Los Angeles Times” (non c’è ragione di vederlo, a meno che non vogliate fare sesso con Gerard Butler) “. Nel cast del film, il terzo a stelle e strisce per Muccino, dopo “La ricerca della felicità” e “Sette anime”, hanno sfilato Gerard Butler e Cathrine Zeta-Jones, Uma Thurman, Dennis Quaid e Jessica Biel. Tutta colpa della macchina infernale di Hollywood aveva già sentenziato il regista romano, troppa ingerenza della produzione sullo sviluppo della sceneggiatura e sul finale del film. Ecco fatto, il nuovo titolo del suo prossimo film: Quello che so su Hollywood.

DOMANI

Egitto contro Morsi: islamici egiziani e opposizione di sinistra e liberale hanno proclamato una manifestazione per domani per le strade de Il Cairo in vista del referendum del prossimo 15 dicembre sul progetto della Costituzione. L’Egitto è a ferro e fuoco ormai da 2 settimane, dopo la decisione del Presidente Mohamed Morsi di ampliare i propri poteri: ieri sera, una coalizione di 13 partiti islamici, tra cui i Fratelli Musulmani, ha lanciato un appello per invitare il popolo egiziano a manifestare sotto lo slogan “sì alla legittimità, si al consenso nazionale” – “Non riconosciamo il progetto per la riforma della costituzione perché non rappresenta il popolo egiziano”.

Sciopero benzinai: sembra confermato lo sciopero dei benzinai indetto per questa settimana. Pompe di benzina chiuse dalle 19 di domani sera, 11 dicembre, e fino alle 7 del 14 dicembre, mentre per quanto riguarda le autostrade, la chiusura delle stazioni di servizio è prevista dalle 22 dell’11 alle 22 del 13. I benzinai scioperano contro il calo dei consumi da parte degli italiani e per fermare gli accordi delle multinazionali e per protestare contro il conto salato delle accise che gravano sui costi della benzina.

Fiom in sciopero a Genova: 4 ore di sciopero dalle ore 9.30 alle 12.30 davanti al palazzo di Confindustria a Genova. E’ la manifestazione indetta per domani dalla Fiom (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) che si svolgerà in mattina a Genova.

 

Alessia CASIRAGHI

Il Presidente Silvio Berlusconi si è dimesso.

Dopo un breve colloquio con il Presidente Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi si è dimesso. Prima di recarsi al Colle, il Premier si è chiuso in una lunga consultazione con gli stati generali del Popolo delle Libertà, quindi poco prima delle 21:00 al Colle, per rasseganre le dimissioni e discutere alcune condizioni per la nascita del nuovo governo Monti (?).

Prima delle dimissioni però c’è stato il sì del Parlamento alla legge di stabilità. È stato questo l’ultimo atto parlamentare del Governo Berlusconi prima delle dimissioni, decise martedì scorso al Quirinale dal Presidente del Consiglio dopo il voto della Camera sul Rendiconto generale della Camera su cui la maggioranza a Montecitorio si è fermata a 308.

I voti favorevoli alla Camera alla legge di stabilità, sono stati 380, i contrari 26 e 2 le astensioni. Subito dopo, a chiudere definitivamente a tempo di record la sessione annuale di bilancio, è arrivato il sì definitivo al ddl di Bilancio e alla Nota di variazione, con 379 voti a favore, 26 contrari e 2 astensioni. Oltre a Lega e Pdl i sì sono arrivati dall’opposizione del terzo polo, i no da Italia dei Valori. Il Pd non ha partecipato al voto. Ora Berlusconi è pronto a passare il testimone a Mario Monti. La palla adesso passa al Presidente Napolitano.

I bene informati dicono cheBerlusconi, forte di una maggioranza parlamentare, potrebbe chiedere al Capo dello Stato alcune garanzie prima della nomina di Monti come suo successore: che il nuovo Governo tecnico resti in carica per la sola attuazione dei punti chiesti dall’Europa; la non candidatura dei futuri ministri del Governo tecnico; la presenza di Gianni Letta come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Sarà Vero?

 

 

 

Berlusconi: prima la legge di stabilità, poi dimissioni

Nel pomeriggio l’approvazione da parte della Camera del disegno di legge di rendiconto generale dello Stato per il 2010, con 308 voti a favore, nessun contrario, un astenuto e 321 non votanti. Uno schiaffo per Berlusconi e per la sua non-più-maggioranza. Il Premier ha preso atto e, dopo un breve vertice con la Lega, è salito al Quirinale e, dopo un colloquio con Napolitano, la decisione: prima l’approvazione della legge di stabilità per garantire gli impegni presi con l’Ue, poi dimissioni e voto anticipato.

Dopo il varo della legge di stabilità ci saranno le mie dimissioni in modo che il capo dello Stato possa aprire le consultazioni e decidere sul futuro: non spetta a me decidere, ma io vedo solo la possibilità di nuove elezioni. Il Parlamento è paralizzato“, ha detto Berlusconi al Tg5.
 
Ritengo che sia importante dare la prcedenza all’approvazione di queste misure e quindi intendo chiedere all’opposizione di consentire il varo urgente di queste misure di stabilità che conterranno tutte le richieste dell’Europa“, ha proseguito.
 
Alla domanda se le elezioni siano più vicine, Berlusconi ha risposto: “Sì, mi sembra logico perché il Parlamento è paralizzato per quanto riguarda la Camera dei deputati, al Senato il centrodestra ha ancora una buona maggioranza. Invece con la defezione di 7 membri della maggioranza il governo non ha più quella maggioranza che noi credevamo di avere e quindi dobbiamo con realismo prendere atto di questa situazione e preoccuparci della situazione italiana e di ciò che sta accadendo sui mercati“.
 
Secondo Casini, l’esito dell’incontro tra Napolitano e Berlusconi “dimostra che una via d’uscita c’era, ma sono convinto che Berlusconi abbia la consapevolezza che la situazione economica e finanziaria non ci consente una lunga ed estenuante campagna elettorale“.
 
L’annuncio delle dimissioni del presidente del Consiglio “è una svolta, che salutiamo con grande soddisfazione“, ha invece commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che guardando alla crisi sottolinea come sia “urgente che le dimissioni del presidente del Consiglio consentano di aprire una nuova fase“. “Ci riserviamo un esame rigoroso del contenuto dell’annunciato maxiemendamento alla legge di stabilità per verificare le condizioni che ne permettano, anche in caso di una nostra contrarietà, una rapida approvazione. Il Pd – conclude Bersani – ritiene sconcertante che con le sue prime dichiarazioni il presidente del Consiglio, battuto alla Camera e dimissionario, cerchi di condizionare un percorso che è pienamente nelle prerogative del Capo dello Stato e del Parlamento“.

Voto sul rendiconto, la maggioranza non c’è. Governo a casa a ore

Il rendiconto dello Stato passa alla Camera con 308 sì, ma quello che fa più rumore sono i 321 non votanti e la certificazione anche numerica che la maggioranza non c’è più. Lo ha detto in aula anche il segretario del Pd Bersani: “Io non oso credere che lei (Berlusconi, ndr) non faccia questo passo e sia chiaro che se lei non lo dovesse fare le opposizioni valuteranno mosse ulteriori“. Ora la parola spetta al presidente Giorgio Napolitano.

Ragazzi, stringiamoci e decidiamo subito cosa fare“. Sono queste le parole che il presidente del Consiglio Berlusconi avrebbe riferito ai suoi subito dopo la proclamazione del voto sul rendiconto dello Stato e prima di riunirsi in un incontro con Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Roberto Maroni. Lo stesso Bossi prima della votazione  aveva detto: al premier “abbiamo chiesto che faccia un passo laterale“. Alla domanda se i leghisti spingano per l’indicazione di Angelino Alfano come successore a Palazzo Chigi, il ministro delle Riforme aveva replicato: “Sennò chi mettiamo, il segretario del Pd?“.

La crisi politica rischia di lasciare sole l’Italia e la sua economia

di Gianni GAMBAROTTA

I numeri sono quelli che sono. Lo spread fra il bund tedesco e i titoli di Stato italiani ha ormai superato i 2,4 punti. Peggio di noi sta la Spagna (ma di poco) e, in ordine crescente, il Portogallo, l’Irlanda e la Grecia. Il che vuol dire due cose. La prima: collocare sui mercati il debito pubblico italiano sarà sempre più difficile e costoso. E trattandosi di un debito di oltre 1800 miliardi di euro, si capisce che la vicenda è assai delicata. La seconda: la speculazione finanziaria internazionale, prima o poi, rischia di affacciarsi anche dalle nostre parti.

L’estate scorsa ha colpito la Grecia, provocando una crisi quasi fatale dell’euro. Ora si è concentrata sull’Irlanda, sta assaggiando il Portogallo e prende le misure anche alla Spagna. E soprattutto la speculazione sta a guardare quale sarà la reazione dell’Europa, se interverrà a difesa dei Paesi deboli o se lascerà che le cose vadano seguendo un corso naturale. Con particolare attenzione vengono seguite le mosse della Germania: le banche tedesche sono le più esposte verso l’Irlanda, così come lo erano con la Grecia. Comunque, in questa aria di crisi permanente e di potenziale caos monetario, l’Italia è tenuta sotto stretta vigilanza. Sia per l’enormità del suo debito (il terzo al mondo, ma l’Italia non è la terza economia mondiale), sia per la situazione politica in cui Roma è finita e che viene guardata con crescente sospetto dalla finanza internazionale.

Lo scenario non incoraggiante. È vero che i contendenti politici hanno trovato, per lo meno, l’accordo per far passare la Finanziaria. Ma poi? Molto probabilmente si andrà alle elezioni anticipate che si terranno a marzo-aprile. Quindi per quattro-cinque mesi il Paese affronterà una delle campagne elettorali più dure della sua storia recente e tutti saranno concentrati a vincere le elezioni, a qualsiasi costo. Nessuno darà un’occhiata a quello che succede nel mondo, sui mercati. E se la bufera monetaria aumenterà di intensità (evento per nulla improbabile) chi prenderà, assieme agli altri Paesi europei, delle misure per contrastarla? Un premier e un ministro dell’Economia dimissionari e impegnati (soprattutto il primo) in estenuanti comparsate tv, comizi, incontri per conquistare consensi e voti?

Così l’Italia e la sua economia saranno lasciate da sole, le decisioni che contano saranno prese altrove. Ci si sveglierà a marzo-aprile con un Parlamento nuovo, passerà ancora parecchio tempo per formare un governo. E poi ci si occuperà del debito, dell’aumento degli spread. Sperando non sia troppo tardi.

Instabilità politica e crisi, anche la Costituzione ha le sue responsabilità

di Gianni GAMBAROTTA

Forse questa crisi politica che si è aperta di fatto, anche se non ancora ufficialmente, con il discorso di Gianfranco Fini, è davvero diversa dalle altre. Questo interminabile braccio di ferro fra due dei fondatori del Popolo della Libertà, ha messo sotto gli occhi di tutti che c’è qualcosa di profondo, di storico, di radicato che non funziona nel sistema italiano. Per l’ennesima volta un governo cade (a quello attuale non è ancora successo, ma basterà aspettare e non a lungo) non perché l’opposizione lo abbia stretto in un angolo e obbligato a gettare la spugna, ma per la litigiosità interna alla maggioranza che lo sostiene.

Gli episodi del recente passato sono indicativi. Vi ricordate il primo governo di Silvio Berlusconi? Ottenne la fiducia il 10 maggio del 1994 e cadde il 17 gennaio del ‘95, quando il premier fu costretto a dimettersi per l’uscita della Lega dalla maggioranza. In tutto rimase in carica 252 giorni, neppure un anno. Oppure prendete il secondo governo formato da Romano Prodi, quello che batté Berlusconi alle elezioni politiche del 2006. Nato il 17 maggio di quell’anno, sorretto da una maggioranza composita formata da tanti partiti e partitini, non riuscì neppure a compiere i due anni e si dimise il 7 maggio 2007 perché la coalizione che avrebbe dovuto sostenerlo era in disaccordo su tutto.

Nella prima Repubblica questo copione si ripeteva con sistematicità. I governi, in media, duravano un anno e cadevano anche per motivi molto banali. Si pensava che il passaggio alle seconda Repubblica, l’avvio del bipolarismo avrebbe cambiato la situazione, portato a una maggiore governabilità. I due precedenti citati di Berlusconi e Prodi, e quanto sta avvenendo in questi giorni dimostrano che non è così.

L’Italia deve accettare l’idea che le servono riforme profonde se vuole raggiungere quel minimo di efficienza politica indispensabile per un Paese che aspira a essere moderno. Molti osservatori, giornalisti, editorialisti sostengono che quella italiana è una bellissima Costituzione, che va difesa, che non bisogna dare spazio a chi vuole modificarla. In parte è vero: la Costituzione nata nel 1948 introduce dei principi, dei valori che sono assolutamente positivi e vanno difesi. Ma è anche vero che ha disegnato un meccanismo di gestione del sistema politico che non funziona e difficilmente si metterà a funzionare in futuro. Già in passato si è accettato il principio che una riforma è indispensabile: la Bicamerale era stata concepita per questo, ma senza risultati. Oggi penso che quel cammino andrebbe ripreso.