Lavoratori autonomi, i nuovi poveri

Quando ci sono di mezzo studi e ricerche della Cgia sui lavoratori autonomi, spesso i temi vengono affrontati in maniera volutamente provocatoria e “sopra le righe”, ma in questo caso la tematica è brutalmente cruda nel suo essere semplice ed evidente: secondo l’Ufficio Studi dell’associazione, tra i lavoratori autonomi 1 su 4 è a rischio povertà.

Il dato emerge da una ricerca secondo la quale nel 2013 il 24,9% delle famiglie in cui i lavoratori autonomi portano a casa il reddito principale ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui, che è la soglia di povertà calcolata dall’Istat.

Per le famiglie con reddito da pensioni, il 20,9% ha percepito entro la fine dell’anno un reddito inferiore della soglia di povertà, mentre per quelle dei lavoratori dipendenti il tasso si è fermato al 14,4%, ossia quasi la metà rispetto al dato riferito alle famiglie dei lavoratori autonomi.

Secondo la Cgia, dal 2008 al primo semestre di quest’anno i lavoratori autonomi che hanno chiuso l’attività sono stati 348.400, pari a una contrazione del 6,3%. Il numero dei lavoratori dipendenti, invece, si è ridotto di 662.600 unità, in termini percentuali un -3,8%. Sempre paragonando lavoratori autonomi e dipendenti, la Cgia fa notare che il reddito delle famiglie dei primi ha subito in questi ultimi anni un taglio di oltre 2.800 euro (-6,9%), mentre quello dei dipendenti è rimasto pressoché identico.

I lavoratori autonomi hanno sofferto specialmente al Sud. Tra il 2008 e il primo semestre di quest’anno la riduzione delle partite Iva nel Mezzogiorno è stata del 9,9% (pari a -160.000 unità), nel Nord Ovest del 7,8% (-122.800 unità), nel Nord Est del 4,3% e nel Centro dell’1,3 per cento.

Allarmato il commento del segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: “A differenza dei lavoratori dipendenti quando un autonomo chiude definitivamente bottega non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Ad esclusione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione in deroga e/o ordinaria/straordinaria. Una volta chiusa l‘attività ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di un nuovo lavoro. Purtroppo non è facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento costituiscono una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero”.

È quindi evidente che, a quasi sette anni dallo scoppio della crisi, il cosiddetto ceto medio è sempre più in difficoltà: oggi, quello composto dai lavoratori autonomi è il corpo sociale che più degli altri è scivolato verso il baratro della povertà e dell’esclusione sociale.

La crisi abbatte il lavoro, in 5 anni crollati i contratti a tempo indeterminato

 

Mai che dagli studi del Servizio Politiche del Lavoro della Uil arrivassero buone notizie… Ma per quanto drammatici siano i dati comunicati nei giorni scorsi segretario confederale Guglielmo Loy, coordinatore dello studio, mai numeri furono più scontati: in 5 anni di violenta crisi economica i contratti a tempo indeterminato sono crollati del 46,4% con un progressivo e inevitabile spostamento dell’offerta verso i contratti a tempo determinato, aumentati del 19,7% nell’ultimo quinquennio.

Nell’ultimo anno preso in considerazione dallo studio, il 2013, è il Lazio la regione in cui si concentra il maggior numero di attivazioni, circa 1,4 milioni, sorpassando così la Lombardia che ne denuncia 1,3 milioni seguita dalla Puglia con 1 milione di contratti a tempo determinato.

Il trend non si interrompe nel primo trimestre di quest’anno: addirittura il 67% dei contratti sono a termine, circa 1.600.000. Sono state invece, tra gennaio e marzo di quest’anno, solo 420mila le assunzioni con contratti a tempo indeterminato e quasi 190mila, quelle con contratti di collaborazione, mentre i rapporti di apprendistato sono stati poco più di 50mila, il 2,4% del totale.

JM

Le banche italiane schiacciate dalla pressione fiscale

Nel dossier consegnato da Abi al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è emerso che la pressione fiscale sulle banche italiane e sulle banche estere operanti in Italia è superiore almeno del 15% rispetto agli altri mercati europei.

Alla luce di questi dati, ma soprattutto in vista dell’Unione bancaria e della maggiore integrazione del mercato finanziario europeo, i banchieri chiedono che venga garantito :”un terreno di gioco livellato per le banche che operano in Italia, rimuovendo le numerose penalizzazioni che oggi contribuiscono gravemente a comprimere la redditività delle banche e, per questa via, la loro capacità di svolgere il loro ruolo di sostegno all’economia e alla crescita“.

Antonio Patuelli, presidente di Abi, ha precisato, nel messaggio contenuto nel dossier, che non sono privilegi quelli che la categoria richiede, ma, piuttosto, che non ci siano discriminazioni, neppure di natura fiscale, tra banche italiane ed europee. Questo perché “con forti difformità fiscali in Europa esploderebbero contraddizioni con ricadute gravi per economia ed occupazione“.

Tra i nodi fiscali che maggiormente pesano sulle banche c’è l’applicazione di una addizionale Ires di 8,5 punti percentuali per il periodo di imposta 2013, che ha portato l’aliquota complessiva Ires dovuta dalle banche al 36%, rispetto alla misura ordinaria prevista per le altre imprese che è rimasta ferma al 27,5%.

Dito puntato anche contro le penalizzazioni che riguardano i prodotti, ricordando che dal primo luglio di quest’anno sarà applicata la nuova aliquota del 26%, destinata a sostituire quella del 20% applicabile alla generalità dei prodotti di risparmio, con l’eccezione dei titoli di stato e di quelli ad essi equiparati ai fini fiscali.

A questo proposito, si legge nel documento: “La nuova maggiore aliquota rischia inevitabilmente da un lato, di amplificare alcune criticità dell’impianto normativo, e dall’altro, di disincentivare sempre di più l’afflusso di capitali esteri nel nostro Paese“.

L’Abi si chiede infine se non siano maturi i tempi per una vera riforma “che abbandoni il meccanismo della tassazione secca proporzionale per riportare i redditi di natura finanziaria nella base imponibile con tassazione ad aliquote progressive“.

C’è inoltre da ricordare che le banche italiane, contrariamente a quelle europee, negli anni della crisi non hanno beneficiato di aiuti pubblici, per non pesare sui contribuenti.
In Italia gli aiuti sono ammontati a 6,3 miliardi di euro, lo 0,4% del pil, cifra ben inferiore rispetto agli 83 miliardi della Gran Bretagna, 63,7 miliardi della Germania, 62 miliardi dell’Islanda e 60 miliardi della Spagna.

Nonostante la crisi, lo sforzo di ricapitalizzazione, che é volto in ultima analisi a mettersi in condizioni di poter erogare maggior credito quando qualità e quantità della domanda lo consentiranno, è stato interamente sostenuto dal settore e dai suoi azionisti: nel complesso, negli ultimi sei anni, oltre 40 miliardi di euro di incremento di capitale tra operazioni realizzate e in corso.

Vera MORETTI

Crisi commercio e turismo: senza fine

Per la serie “cornuti e mazziati”, la crisi continua a mordere pesantemente e ne fanno le spese commercio e turismo. La crisi di turismo e commercio continua infatti anche nel 2014. Secondo i dati dell’Osservatorio Confesercenti, nei primi quattro mesi dell’anno, nei due settori hanno cessato l’attività 44.813 imprese: nello stesso periodo, le nuove aperture nel commercio e nel turismo sono state 28.016, il che porta a un saldo finale negativo di 16.797 unità.

Sia il commercio sia il turismo registrano più cessazioni che aperture: nel commercio il saldo di natimortalità delle imprese è pari a -12.016, mentre nel turismo va un po’ meglio (si fa per dire…): -4.781 attività. Secondo Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti, “commercio e turismo scontano duramente la crisi del mercato interno italiano, tuttora in atto: nei primi 4 mesi del 2014 le vendite commerciali, secondo le nostre stime, sono calate di altri 1,8 miliardi“.

Il settore del turismo, in particolare, sembra ancora in alto mare. Nei primi quattro mesi dell’anno il comparto alloggio, comprensivo di alberghi e hotel, ha visto chiudere 972 imprese (8 al giorno) contro 389 aperture, con una perdita di 583 unità. Negativo (-1.997) anche il dato dei bar, che da gennaio registrano, a fronte di 2.875 aperture, 4.872 chiusure (40 al giorno) e un saldo negativo di 1.997 imprese. Ancora peggio i ristoranti: nel periodo ne sono stati chiusi circa 44 ogni giorno, per un totale di 5.334 cessazioni di impresa. Le nuove aperture (3.133) non riescono a colmare, portando il comparto a perdere 2.201 imprese.

Analizzando la situazione del commercio, questo sembra essersi avviato verso una fase di destrutturazione, che premia i comparti che presentano meno spese di impresa. Cala il dettaglio in sede fissa, che vede nei primi 4 mesi dell’anno 20.297 chiusure e un saldo negativo di -10.945, mentre aumenta il commercio fuori dai negozi: le imprese che vendono attraverso internet sono in sostanziale equilibrio (+73), mentre il commercio su aree pubbliche cresce di 530 unità. Male anche le imprese degli intermediari del commercio: tra gennaio e aprile 8.452 hanno cessato l’attività, per un dato finale in rosso di -1.674 aziende.

Passando all’analisi delle varie regioni, la crisi dei negozi al dettaglio è forte soprattutto al centro sud: la Campania registra il record negativo sia per numero di chiusure (2.920) sia per saldo (-1.381). Seguono Sicilia (2.004 e -1.254) e Lazio, con 1.968 cessazioni e un bilancio negativo di 1.174 unità. In compenso le imprese ambulanti mostrano saldi positivi soprattutto nelle regioni dove i negozi in sede fissa hanno registrato le maggiori perdite. Come in Campania: tra iscrizioni e cessazioni, la regione vede un bilancio positivo per 300 imprese. Segue la Lombardia, con un bilancio finale tra aperture e chiusure positivo per 138 imprese. Ed è l’unico saldo positivo tra le regioni del Nord Italia.

La fiducia non basta, otto famiglie su dieci in difficoltà economiche

I dati dell’outlook Confcommercio-Censis sul primo semestre 2014 fotografano la triste realtà delle famiglie italiane: otto nuclei familiari su dieci vivono «una sensazione di precarietà e instabilità», solo una su cinque «ritiene invece di essere in una situazione di solidità». Nonostante «un leggero miglioramento del clima di fiducia», legato ad «ottimismo sulle riforme Renzi»: emerge che «ben il 66% del campione ritiene che il Governo sia in grado di far superare al paese la lunga fase di crisi economica».

«Il protrarsi della crisi , la mancanza di lavoro, il peso delle tasse», evidenziano i dati forniti dall’indagine Confcommercio-Censis su consumi e clima di fiducia per il primo semestre di quest’anno, «continuano ad alimentare lo stato di forte difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, rispetto alla propria situazione economica e alla propria capacità di spesa, avvertono nella maggior parte dei casi – quasi l’80% – una sensazione di precarietà e instabilità».

Jacopo MARCHESANO

Crolla l’artigianato, perse 75.500 aziende

Nonostante nel primo trimestre di quest’anno si registri qualche timido segnale di ripresa, la situazione maturata in questi ultimi 5 anni di crisi economica ha portato alla chiusura 75.500 imprese artigiane. «Drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito – segnala Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia – sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna. Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell’attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare».

Setttantacinquemila imprese in cinque anni, quarantuno al giorno, i numeri parlano chiaro: costruzioni, trasporti e manifattura i settori che hanno fatto registrare gli andamenti peggiori.

Jacopo MARCHESANO

La crisi si combatte salvando il Pianeta

Per combattere la crisi, le imprese italiane, oltre che in innovazione, devono saper combattere i cambiamenti climatici ed usare l’energia per migliorare l’ambiente.
Per otto aziende su dieci, infatti, queste misure porterebbero ad un rilancio dal punto di vista economico ed occupazionale.

Benefici economici arriverebbero, per sette imprese su dieci, dalla riduzione delle importazioni di carburanti fossili provenienti da Paesi extra Ue.

A questo proposito, ha commentato Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea: “Questa indagine invia un segnale forte ai leader Ue perché intraprendano un’azione audace per il clima, a favore di una ripresa economica sostenibile“.

Ha aggiunto Connie Hedegaard, commissario Ue al clima: “Spero che i leader Ue ascoltino e al prossimo vertice agiscano di conseguenza, quando discuteranno le nostre proposte su clima ed energia per il 2030”.

Ad essere maggiormente preoccupati per la questione sono proprio i cittadini italiani, tanto che il 47% di essi lo considerano come il problema principale.
Seguono poi i greci (41%9, e gli spagnoli (39%), tutti comunque ben sopra la media europea, ferma al 24%.
Per gli altri Paesi, infatti, le problematiche più urgenti sono la fame, la povertà e la carenza di acqua potabile, considerata questione da affrontare nell’immediato solo dal 21% degli italiani.

Vera MORETTI

Anno nuovo, soliti rincari

 

Come ogni capodanno, inevitabili e puntuali sono arrivati anche i rincari più odiosi. L’aumento più considerevole, a livello nazionale l’asticella si ferma attorno al +3,9, sono le tariffe delle autostrade con punte addirittura superiori all’8%. Ma un’impresa sarà soprattutto arrivarci al casello: sempre da ieri è scattato pure l’aumento delle accise sui carburanti, +0,4 centesimi ogni litro, per finanziare, dicono, il cinema. Un caso limite è quello della tratta Padova-Venezia, dove si passa dai 95 centesimi dei giorni scorsi agli odierni 3 euro che assorbono anche gli investimenti per la realizzazione del Passante di Mestre. «Siamo riusciti a contenere gli aumenti delle tariffe autostradali grazie a un’azione di calmieraggio svolta del Ministero: a fronte di richieste che per alcune tratte arrivavano al 18%, l’incremento si è fermato a una media del 3,9 per cento» ha affermato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi, «abbiamo già previsto incontri con Aiscat, l’associazione delle concessionarie, con cui avviare un dialogo per verificare strade nuove e consensuali rispetto agli attuali automatismi di adeguamento delle tariffe».

Se, incredibilmente, sono rimaste al palo le tariffe delle Poste e del canone Rai, sono aumentate l’energia elettrica (+0,7%) e, per effetto della manovra Iva, pure caffè, bibite e snack distribuiti dalle macchinette automatiche, con rialzi di 5-10 centesimi. Aumentano anche le accise sulle sigarette, più 0,7%, senza dimenticare il rincaro dei contributi Inps destinati al fondo di solidarietà che finanzia la cassa integrazione: le imprese con più di 15 dipendenti non incluse nella legge sulla cig devono versare uno 0,5% delle retribuzioni totali, per due terzi a carico del datore di lavoro e per il rimanete terzo a carico del dipendente.

A conti fatti, una stangata che dovrebbe sfiorare i 1400 euro a famiglia. Buon anno!

Jacopo MARCHESANO

In un anno crollati i prestiti alle aziende, 2013 anno nero del credito

Tra ottobre 2012 e ottobre 2013 i prestiti alle aziende sono calati del 5,2%, cioè 50,2 miliardi in meno solo in un anno. A denunciarlo con veemenza è Confartigianato spiegando che a minori finanziamenti si accompagna l’aumento dei tassi di interesse: «La situazione creditizia delle imprese, soprattutto di quelle di piccola dimensione – denuncia il presidente Merletti – rimane critica».

Come rileva Confartigianato la diminuzione del credito ha colpito in particolare le imprese con meno di 20 addetti e la situazione peggiore riguarda le regioni del Molise, della Campania e della Sicilia. A livello provinciale, il calo più netto dei crediti concessi alle piccole imprese riguarda Agrigento (-12,5% tra settembre 2012 e settembre 2013), seguita dalla provincia di Vibo Valentia (-11%) e da quella di Campobasso (-10,9%).

«Un credito sempre più scarso e costoso blocca le opportunità di sviluppo, scoraggia gli investimenti e rallenta i processi di innovazione tecnologica» ha dichiarato Merletti. «Tutto ciò mentre le nostre aziende sono alle prese anche con i ritardi di pagamento degli Enti pubblici e dei privati che le costringe a chiedere prestiti per compensare i mancati incassi dei “cattivi pagatori”. Quando le banche decideranno di sostenere la ripresa?».

JM

Allarme pensionati: “Uno su due non arriva a fine mese”

Forse non sarebbe stato necessario un sondaggio realizzato dalla Spi-Cgil in collaborazione con Ipsos su consumi e potere d’acquisto dei pensionati, per arrivare ad una tragica verità. Il 46,2% dei pensionati italiani fatica ad arrivare alla fine del mese e si ritrova costretto inevitabilmente a rimandare pagamenti, ad intaccare i propri risparmi, a chiedere prestiti e aiuti ad altri. Solo il 24,3% invece ci arriva senza troppi problemi ma spende quasi tutto quello che prende di pensione mentre il 29,5% non solo ci arriva ma riesce anche a risparmiare qualcosa.

Nonostante tutto i pensionati, per quanto in evidente difficoltà economica e alle prese sono drastici tagli dei consumi, continuano a svolgere un ruolo strategico nella famiglia italiana, in particolare rivolto a figli e nipoti che hanno perso il posto di lavoro o che non riescono a trovarlo. Quasi la metà di loro, una percentuale vicina al 43%,  infatti sostiene economicamente i propri familiari in situazioni drammatiche.

 “I pensionati hanno dato tanto a questo paese in termini di sacrifici e ora non ne possono proprio più. E’ per questo che chiediamo al governo di dare loro delle risposte, a partire dalla legge di stabilità. Sarebbe inoltre ora che si riattivasse il tavolo di confronto tra governo e sindacati, istituito dal governo Prodi e rimosso da Berlusconi e da Monti. Non è un caso che da allora la condizione dei pensionati e degli anziani non ha fatto altro che peggiorare”, ha osservato il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone.

Jacopo MARCHESANO