Gli architetti a difesa dell’ edilizia italiana

La crisi dell’ edilizia italiana è una brutta bestia che colpisce trasversalmente tutti i comparti e le professionalità del settore. Imprese costruttrici, fornitori, produttori di materie prime, architetti, ingegneri, tutta la filiera è interessata da una sofferenza che, come dimostrano i dati dell’Istat, in 5 anni è costata all’ edilizia italiana un quarto dei suoi occupati.

A proposito di professionisti che operano nel campo dell’ edilizia italiana, una dura presa di posizione contro le politiche del governo in questo ambito, ritenute inefficaci, miopi e troppo morbide, viene dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. “Ora che organi di stampa e personalità pubbliche sembrano aver compreso l’allarme degli architetti italiani, ovvero che mentre si discuteva dell’art. 18 centinaia e centinaia di migliaia di persone rimanevano senza lavoro, il Governo intende finalmente intervenire?”, recita una nota del Cnappc.

Sembra, infatti che solo ora molti si accorgano, Istat in primis, che l’ edilizia italiana ha pagato, con la perdita di mezzo milione di posti di lavoro – ottocentomila per l’Ance – più di ogni altro settore in questi cinque anni di crisi e che il deficit italiano è stato finanziato con una delirante imposizione fiscale sulla casa e sul settore delle costruzioni che ha distrutto il comparto della progettazione e delle costruzioni che era vanto dell’Italia nel mondo”, continua la nota.

Il Consiglio, preoccupato dalle conseguenze che la crisi dell’ edilizia italiana ha sui fatturati degli architetti, ricorda di avere “lanciato l’allarme – senza che i Governi se ne preoccupassero – che la perdita di metà dei fatturati dei progettisti con redditi sotto la soglia di povertà, e per questo motivi costretti a chiudere gli studi o ad emigrare, erano e sono segnali gravissimi per un settore che è trainante per tutta l’economia. L’unico risultato è stato quello di eliminare, in preda ad un furore degno di miglior causa, ogni regola tariffaria in nome di una illusoria idea di ‘concorrenza’ che però non ha toccato i grandi interessi monopolistici, di fare intervenire l’antitrust contro il principio di ‘dignità’ della professione legato ad un minimo di retribuzione dell’attività peraltro stabilito dall’art. 36 della Costituzione, che evidentemente si deve applicare a tutti meno che a noi professionisti”.

E gli architetti rivendicano il proprio ruolo chiave, sia nell’operatività sia nel suggerire proposte per affrontate la crisi dell’ edilizia italiana. “Le nostre proposte – ricorda il Cnappcsulla rigenerazione delle città, sulla manutenzione del territorio, sull’investimento nell’economia delle conoscenza, sulla semplificazione amministrativa, la valorizzazione dei giovani talenti e la promozione della cultura architettonica vista come espressione della cultura e della produttività del Paese sono da molto tempo sul tavolo della politica, anzi nei cassetti della politica, basterebbe aprirli e iniziare a fare per affrontare finalmente la crisi dell’ edilizia italiana”.

Edilizia italiana schiava delle grandi opere (incompiute)

Lo abbiamo scritto ieri e altre volte: l’ edilizia italiana non sembra dare accettabili segni di risveglio dal coma in cui è piombata insieme all’economia del Paese. E abbiamo anche ricordato, sommariamente, quali sono le principale cause del profondo rosso, dal crollo del mercato immobiliare, alla tassazione sulla prima casa, alle grandi opere pubbliche inchiodate al palo.

Proprio da quest’ultimo punto vogliamo ripartire oggi: la stasi delle grandi opere che, per l’ edilizia italiana, significa anche stasi del settore. Una stasi che parte dai freddi numeri, evidenziati dal 9° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” (443/2001), realizzato dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione e il Cresme: dei 285 miliardi di euro investiti in opere pubbliche, dal 2001 a oggi sono state concluse opere per 23 miliardi, pari a circa l’8% del totale.

Ancora più crudi i dati, per l’ edilizia italiana, se si prendono in considerazione solo le opere approvate dal Cipe: a fronte di un investimento pari a 149 miliardi, le opere concluse mettono insieme la miseria di 6,5 miliardi. Una cifra che deriva dal fatto che, delle 187 opere deliberate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, 40 risultano concluse al 31 dicembre 2014 (contro una previsione di 54) e 69 in fase di realizzazione. E le altre 78? Non pervenute.

Tradotto in costi, le opere completate o in corso di costruzione hanno un valore per l’ edilizia italiana che supera i 78,7 miliardi di euro (il 53% del valore complessivo delle opere esaminate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica al 31 dicembre 2014).

Sempre sul fronte costi, il Rapporto del Servizio Studi della Camera ha analizzato 97 opere deliberate dal Cipe, contenute nel programma a partire dal 2004; ebbene, stando alle analisi, il loro costo ha visto una crescita del 40,3%: dagli iniziali 65 miliardi e 227 milioni dell’aprile 2004 ai 91 miliardi e 516 milioni di fine 2014. Tutti aumenti da giustificare ma che, al momento, per l’ edilizia italiana si sono tradotti in un nulla di fatto.

In sostanza, l’ edilizia italiana è pesantemente schiava di ciò che invece, storicamente, ne ha sempre decretato lo sviluppo e il successo: le opere pubbliche immobili e l’altrettanto immobile mercato residenziale. In entrambi i casi, la politica ha pesanti responsabilità: che siano gli sprechi pubblici che portano alla mancanza di fondi e quindi al blocco delle opere, o la fiscalità sulla prima casa che uccide la voglia di acquisto, a farne le spese è sempre l’ edilizia italiana.

Edilizia italiana, quale futuro?

Se da più parti si grida già alla ripresa dopo i primi dati macro e micro economici relativi all’inizio del 2015, c’è un settore che di ripartire, purtroppo, non sembra avere la minima intenzione. È il settore dell’ edilizia italiana.

Secondo l’Istati, infatti, negli ultimi 5 anni l’ edilizia italiana ha perso quasi il 25% degli occupati e anche i dati relativi al 2014 sono tutt’altro che tranquillizzanti: 500mila posti di lavoro in meno tra la fine del 2009 alla fine del 2014, con un’ edilizia italiana che è passata da 1 milione e 964mila occupati a 1 milione e 454mila. Una sfilza di segni meno che parte dal terzo trimestre del 2010 e prosegue ininterrottamente fino alla fine dello scorso anno: 18 trimestri consecutivi di cali, senza alcun rimbalzo, né grande, né piccolo.

Una situazione che non lascia per nulla tranquilli imprese e addetti del settore, dal momento che quello dell’ edilizia italiana è un caso unico nell’economia del nostro Paese. Se, infatti, l’industria in generale ha percepito qualche segnale di ripresa dalla metà dello scorso anno in poi, il settore dell’ edilizia italiana è stato invece sempre depresso e in recessione. Se lo ricordano bene gli addetti dell’ edilizia italiana il primo semestre del 2013, quando gli occupati del settore scesero di ben il 12% tra aprile e giugno.

Ciò che ha trascinato a fondo il settore dell’ edilizia italiana è stato soprattutto il crollo del mercato immobiliare, insieme allo stallo nelle grandi opere; capitolo grandi opere che porta con sé un’altra pesantissima zavorra per l’ edilizia italiana: il ritardo nel pagamento dei debiti della Pa verso le imprese.

A rincarare la dose, oltre all’Istat, ci pensano anche i dati aggiornati di Bankitalia, secondo i quali a gennaio 2015 i prestiti elargiti dalle banche alle imprese dell’ edilizia italiana hanno toccato la cifra record di 154 miliardi, quasi tre quarti di quanto gli istituti di credito hanno iniettato nell’intero settore manifatturiero italiano: 211 miliardi. E anche nel rapporto tra prestiti erogati e sofferenze bancarie, i rapporti di forza sono più o meno i medesimi: 185 miliardi di sofferenze bancarie a gennaio, dei quali 39 da imprese dell’ edilizia italiana e 35 dall’intero settore manifatturiero.

Vie d’uscita per l’ edilizia italiana? Le imprese del settore guardano con speranza al risanamento dei debiti Pa, oltre alle grandi opere che dovrebbero essere fatte ripartire dai provvedimenti contenuti nel decreto Sblocca-Italia. Se, a questo, si aggiunge il fatto che qualche timido segnale di ripresa arriva anche dal mercato immobiliare, qualcuno prova anche a sperare. Perché, oltre alla speranza, rischia di rimanere ben poco.

Buzzetti: “Noi alla ripresa ci crediamo…”

 

 

In questa nostra settimana dedicata alla crisi della filiera edilizia non poteva mancare l’indispensabile parere di Paolo Buzzetti, presidente ANCE, associazioni nazionale costruttori edili, in merito al drammatico contesto descritto nei giorni scorsi dal Rapporto Formedil-Cresme.

Presidente Buzzetti, lei era tra i più ottimisti dopo la fiducia ottenuta dal governo Letta in Senato mercoledì scorso…

Il governo si è mosso bene, ha fatto la scelta di rimettere l’edilizia al centro della ripresa del mercato interno italiano, come hanno fatto i paesi più industrializzati del mondo. Fondamentale è stata la riduzione della cedolare secca dal 19% al 15% e spero si possa tornare a concedere mutui con i precedenti criteri a tassi d’interesse accettabili. I segnali di ripresa, i segnali di voglia di normalità, si iniziano a intravedere, se si segue la via che il governo ha tracciato in questi mesi possiamo farcela…

Qual è secondo lei la piaga maggiore che attanaglia in questo momento il mercato del mobile, l’esasperato credit crunch o l’inaudita pressione fiscale?

Entrambi, i mutui si sono ridotti del 70%, la ritrosia delle banche nel concedere denaro da investire è stata rilevante, ma anche l’Imu ha contribuito in maniera decisiva a bloccare le vendite e gli affitti. Purtroppo il mercato è tornato ai livelli degli anni ’80, ma le costruzioni devono essere il punto di partenza della ripresa economica.

Il rapporto Formedil Cresme 2013 delinea una situazione drammatica per il settore edile. Per il rapporto soltanto le aziende che investiranno all’estero avranno la speranza di una ripresa, quale futuro si prospetta per le imprese che lavorano esclusivamente nel nostro Paese?

Noi scommettiamo sul fatto che non c’è ripartenza del paese se non c’è la ripresa del settore edile. In questo momento dobbiamo essere messi nelle condizioni di ripartire, di ricreare posti di lavoro e il governo deve continuare a lavorare in questa direzione, facendo ripartire l’occupazione, questa è l’esigenza primaria per evitare il commissariamento dell’UE. Mantenere la nostra indipendenza economica è fondamentale, senza il pressing di un controllo estero.

 

Jacopo MARCHESANO

– 28,3% mercato del mattone sempre più in crisi

 

Sempre più in crisi il settore edilizia, nella seconda metà del 2012 è crollato il numero dei permessi per la costruzione di nuove abitazioni, con una percentuale da brivido, addirittura – 28,3%.

A certificarlo sono gli ultimi dati Istat, Istituto nazionale di statistica, che certifica drammaticamente un saldo negativo anche in merito alle autorizzazioni per l’edilizia non residenziale. Tanto che tra i mesi di luglio e settembre dell’anno scorso il numero di abitazioni dei nuovi fabbricati residenziali ha raggiunto uno dei valori più bassi degli ultimi anni nel nostro paese(18.675 unità). La fine della crisi, almeno quella del mattone, è ancora lontana.