Un’azienda su quattro vittima di corruzione e frodi

La corruzione e i crimini economici sono, per le imprese italiane, uno dei deterrenti a continuare la propria attività in proprio.

E’ stato appurato, da Pwc nella sua indagine Global Crime Survey 2014, che hanno a che fare con frodi e criminalità un quarto delle aziende del Belpaese, che diventano una su tre a livello mondiale.
Colpevole numero uno sarebbe, nella maggior parte dei casi, un senior manager, che arriverebbe a causare danni fino a 75 milioni di euro.

Questa ricerca sul fenomeno delle frodi economico-finanziarie è stata fatta compiendo più di cinquemila interviste in 95 Paesi, con il coinvolgimento di 101 aziende italiane.

Negli ultimi due anni, inoltre, nel nostro Paese le frodi sono cresciute dal 17 al 23%, pur restando sotto la media globale del 37% e quindi messi meglio di Turchia, Perù, Hong Kong/Macao, Giappone, Portogallo, Danimarca e Arabia Saudita.

Per il 65% dei casi si tratta di appropriazione indebita ma si fanno largo anche il cyber crime e le frodi contabili (22%). A subire il maggior numero di frodi sono le aziende del settore manifatturiero, (67%), energia e utility (43%), trasporto e logistica (40%), servizi finanziari (28%).

Alberto Beretta, partner forensic services di Pwc, ha voluto specificare: “Abbiamo però rilevato una crescente sensibilità e un maggior impegno nella fase di prevenzione da parte delle aziende. Infatti è cresciuto il numero delle organizzazioni che negli ultimi 24 mesi ha effettuato un fraud risk assessment (dal 54% al 70%)”.

Oltre ai danni economici, le organizzazioni sono preoccupate anche dei cosiddetti ‘danni collaterali’, difficilmente stimabili in termini finanziari, che riguardano in particolare la motivazione dei dipendenti (22%), la reputazione dell’azienda (17%) e le sanzioni delle autorità di vigilanza (13%).

Vera MORETTI

Prestiti ancora in calo a novembre

In pauroso calo, ancora una volta, i prestiti che le banche hanno concesso a famiglie ed imprese.
Il mese di novembre, infatti, come ha confermato Abi, ha segnato un ulteriore passo indietro, registrando un preoccupante -4% ad una percentuale già in caduta libera.
Si tratta del peggior dato dal giugno 1999, che ha peggiorato il già negativo 3,7% di ottobre.

Ocse, inoltre, certifica che, sempre nel mese di ottobre, la dinamica dei prestiti alle imprese non finanziarie è risultata pari a -4,9% (-4,2% il mese precedente; -2,8% un anno prima).
In lieve flessione la dinamica tendenziale del totale prestiti alle famiglie (-1,3% ad ottobre 2013, -1,1% il mese precedente; -0,1% ad ottobre 2012).
La dinamica dei finanziamenti per l’acquisto di immobili, è risultata ad ottobre 2013 pari al -1,1% (-1,1% anche il mese precedente; +0,2% ad ottobre 2012).

Abi ha anche fatto presente che nel terzo trimestre 2013 è ripresa la contrazione degli investimenti fissi lordi, con una riduzione congiunturale annualizzata pari a circa il 2,2% (0% nel secondo trimestre).
In peggioramento sono risultati anche altri indicatori riferiti all’attività delle imprese: l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito su base annua ad ottobre 2013 di -1,1%.

Sempre nel terzo trimestre del 2013 si è registrata una significativa diminuzione della domanda di finanziamento delle imprese legata agli investimenti.

Ocse, inoltre, ha rilevato che in Italia, tra il 2011 e il 2012, la pressione fiscale, misurata
come rapporto tra introiti fiscali e Pil, è cresciuta di 1,4 punti percentuali, arrivando al 44,4%.
Si tratta di un aumento superiore alla media Ocse (0,5 punti) e inferiore solo a quelli registrati in Ungheria (1,8) e Grecia (1,6) tra i Paesi membri dell’organizzazione parigina.

La pressione fiscale italiana era prima scesa dal 42% nel 2000 al 40,6% nel 2005, poi risalita al 43,2% nel 2007, riscesa al 43% nel 2011 e risalita al 44,4%.
Nel 2011, ultimo anno per cui esistono dati comparabili per tutti i Paesi membri, il dato italiano del 43% era di quasi 9 punti percentuali superiore alla media Ocse. Il nostro Paese era quinto per pressione fiscale tra i membri dell’organizzazione, dietro Danimarca (47,7%), Svezia (44,2%), Francia (44,1%), Belgio (44%) e Finlandia (43,7%).

Vera MORETTI

Dirigenti PA: gli italiani sono i più pagati

Forse le Pubbliche Amministrazioni italiane non riescono a saldare i debiti che hanno nei confronti delle imprese a causa degli stipendi troppo alti riservati ai loro dirigenti.
Si tratta di un paradosso, ovviamente, ma quello che risulta, invece, reale, è che i dirigenti della nostra PA sono quelli meglio pagati, tra tutti i Paesi Ocse.

Sembra, infatti, che i fortunati percepiscano, in media, una retribuzione di 632 mila dollari l’anno, ovvero tre volte di più rispetto alla media degli altri Paesi, dove la media si ferma a
232 mila dollari.
Al secondo posto, dopo l’Italia, c’è la Nuova Zelanda, dove i dirigenti guadagnano 400 mila dollari all’anno, e al terzo il Cile.
Il distacco con Francia e Germania, rispettivamente quarta e quinta, è ampio, poiché si fermano entrambi intorno a 250 mila dollari.

Perdono il primato invece i dirigenti italiani di secondo livello della pubblica amministrazione, anche se, con 176 mila dollari l’anno, si collocano comunque ben sopra la media Ocse di 126 mila, anche se vengono nettamente superati dagli americani che portano a casa circa 250 mila dollari l’anno.
Retribuzioni più alte rispetto a quelle degli italiani anche per i dirigenti di Olanda, Francia e Belgio.

Risultano sottopagati i funzionari italiani della pubblica amministrazione con 69 mila dollari l’anno contro una media Ocse che sfiora i 90 mila dollari.
Anche per questa fascia primato ai dirigenti degli Stati Uniti con 160 mila dollari l’anno, oltre 100 mila dollari anche per i funzionari pubblici di Belgio, Danimarca, Olanda e Spagna.

Dal rapporto Ocse, inoltre, emerge che i dipendenti pubblici hanno una incidenza inferiore rispetto alla media Ocse, poiché essi rappresentano il 13,7% del totale degli occupati contro il 15,5% della media dei paesi Ocse.
Nei paesi scandinavi i dipendenti pubblici sono circa il 30% del totale degli occupati, in Francia superano il 20% e in Gran Bretagna sono il 18%.
Anche gli Stati Uniti superano l’Italia: ogni 100 occupati 15 lavorano nella pubblica amministrazione.

Vera MORETTI

Per gli stranieri, il turismo è Made in Italy

Italia regina delle mete vacanziere 2013. In tempi di crisi, che costringono quasi la metà degli italiani a rinunciare alle ferie, ci pensano gli stranieri ad affollare spiagge e siti culturali del Belpaese.
Attratti anche dall’alta qualità dell’enogastronomia Made in Italy, i turisti scelgono il nostro mare e le nostre montagne per staccare la spina e dedicarsi a divertimento e relax.

A confermare questa tendenza c’è l’Osservatorio nazionale sul turismo di Unioncamere e Isnart nella sua indagine sul turismo organizzato internazionale: un terzo dei viaggi venduti dai tour operator internazionali che hanno l’Italia nei propri cataloghi hanno come meta finale proprio il Belpaese.

Insomma, anche se i valori sono ancora inferiori rispetto al periodo precedente la crisi, si registra, per questa estate 2013, un incremento di 3 punti percentuali rispetto all’anno passato, salendo così al 30%, contro il 38% del 2008.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato a proposito: “La domanda di viaggi e vacanze, dicono gli operatori internazionali, e’ sempre più esigente. L’Italia, che nell’immaginario collettivo e’ la terra della bellezza, della cultura e della unicità delle proprie produzioni, deve continuare a investire sulla qualità, che è la strada maestra per assicurarsi il gradimento dei turisti internazionali“.

Ma cosa spinge il turista straniero a varcare i nostri confini?
Prima di tutto, il binomio, sempre vincente, cultura-enogastronomia (secondo il 60-64% dei tour operator internazionali), poi la sua storia (41%), il patrimonio naturalistico-ambientale (29%) e lo stile di vita italiano (26%).
Queste caratteristiche hanno sbaragliato, almeno per quest’anno, Francia e Spagna.

Questo successo, comunque, dipende molto dal peso che l’Italia ha nei diversi mercati.
Ad esempio, il Belpaese rappresenta oltre la metà della quota di venduto sul totale dei viaggi organizzati quest’anno dai turisti olandesi (l’anno scorso arrivava al 26%), il 48% di quelli australiani (14 punti percentuali in più del 2012), il 47% di quelli statunitensi (+12 punti percentuali), il 45% di quelli russi (era il 28% l’anno scorso), il 43% di quelli argentini (+7 punti percentuali), il 41% dei canadesi (11 punti in più), il 37% dei giapponesi (in aumento di 9 punti percentuali).

E se l’estate 2013 non è ancora entrata nel clou, c’è già chi pensa a quella dell’anno prossimo, con previsioni di stabilità per quanto riguarda le mete preferite,, da parte del 73% dei tour operator internazionali che vendono viaggi e vacanze nel nostro Paese, mentre un operatore su quattro considera possibile un‘ulteriore crescita.

Belle sorprese potrebbero arrivare dai Paesi del Nord Europa, tra i quali l’Austria, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia, oltre alla Cina e alla Corea.

Vera MORETTI

In Europa i costi del lavoro sono più elevati

Il tasso di occupazione, e della disoccupazione, di un Paese, non dipende solo dalla discrepanza tra domanda ed offerta, ma anche da una serie di altri fattori e, tra questi, non è da sottovalutare il costo che implica, per un’azienda, assumere un dipendente.

Non si tratta solo di erogare lo stipendio mensile, perché nella busta paga, oltre alla retribuzione netta, appaiono le trattenute fiscali e previdenziali, oltre al Tfr, trattamento di fine rapporto, che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare quando la collaborazione si interrompe.

Prima di assumere nuova forza lavoro, quindi, ogni impresa deve prendere in considerazione l’entità dei costi che deve sostenere. E in parecchi casi, soprattutto in Europa, tali costi sono molto elevati.

Nel vecchio continente, infatti, i salari lordi, ovvero i costi del lavoro, sono più altri che altrove e, facendo una stima più dettagliata, la Svizzera è in testa a questa particolare classifica, poiché la retribuzione lorda mensile è di 4.650,5 euro, per un Pil procapite annuo pari a 47.182,2 euro. Al secondo posto c’è un Paese membro dell’Unione europea, la Danimarca, dove le buste paga del lavoratori sono, sempre considerando la cifra lorda, di 4.332,8 euro, con un Pil pro capite di 41.141,6 euro. Al terzo posto, il Lussemburgo, con uno stipendio medio di 4.255,9 e un Pil di 78.935,4 euro, molto più elevato rispetto a quello dei primi due Paesi della classifica in virtù del numero di abitanti.

Al quarto e al quinto posto troviamo, rispettivamente, Norvegia, con una cifra lorda di 4090,6 euro e un Pil di 57.142,6, il che lascia intendere una retribuzione netta molto elevata. Dietro la nazione scandinava, ecco l’Irlanda, dove la paga mensile di un lavoratore è in media di 3.938,4 euro e il Pil di 35.659, anche se, in questo caso, considerando che si tratta di rilevazioni risalenti al 2009, la situazione potrebbe essere molto cambiata. Ricordiamo, a questo proposito, che l’isola celtica è stata colpita pesantemente dalla crisi globale, con un conseguente aumento del debito pubblico triplicato in pochi anni.

Questi dati, provenienti dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e della Commissione statistica dell’Onu (UNSD), dimostrano come, tra i primi posti, non ci sia nessuna potenza economica europea, la prima delle quali, la Francia, si trova in decima posizione, dove i salari lordi sono in media di 2.902,3 euro e il Pil pari a 29.905,3 euro.

I cugini d’Oltralpe sono seguiti dal Regno Unito, che comprende Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, dove imprese e enti pubblici sborsano in media 2.850,8 euro per la retribuzione dei loro dipendenti al lordo delle trattenute. Rispetto ai “rivali” transalpini, anche il Pil pro capite è più basso e ammonta a 25.562,3.

La maggiore potenza economica europea, la Germania, si trova al dodicesimo posto della graduatoria. In proporzione al reddito pro capite, piuttosto elevato, 29.399 euro annui, il costo del lavoro è relativamente basso: ogni dipendente percepisce in media uno stipendio lordo 2.686,1 euro al mese.

E l’Italia? In base ai dati dell’Onu rilevati nel 2009, il nostro Paese occupa la quindicesima posizione della classifica. I salari lordi sono in media di 2.321,2 euro al mese. I costi del lavoro sono quindi inferiori rispetto agli altri Paesi più industrializzati d’Europa. Ma il dato sul reddito pro capite annuo, pari a 25.598,6 euro, dimostra che anche la retribuzione netta è piuttosto bassa. Ciò significa che i costi che le imprese italiane devono sostenere per pagare i dipendenti sono alquanto elevati.

E da ciò si potrebbe spiegare anche l’alto tasso di disoccupazione e l’esercito dei lavoratori in nero, circa 3 milioni, nel nostro Paese.

Vera Moretti