Di Vico: “Accompagniamo i giovani nell’autoimpiego”

«L’equivoco per il quale troppo spesso il possessore di partita Iva è considerato a tutti gli effetti un evasore fiscale è ancora radicato nella nostra cultura», ne è convinto l’inviato de Il Corriere della Sera, nonché fondatore del Blog La nuvola del Lavoro, Dario Di Vico.  Come ricordato ieri, nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti  i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio (circa 51.000) ed è proprio su questo tema che abbiamo interpellato uno dei massimi esperti in materia.

Dott. Di Vico, in un primo momento il provvedimento sui famosi 80 euro in busta paga sembrava escludere i possessori di partita Iva, quando si arriverà a tutelare, oltre ai lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi?
I lavoratori autonomi sono tutelati tramite Rete Imprese Italia, ma è evidente come si paghi il ritardo dell’unificazione della rappresentanza e certe miopie organizzative rispetto ad altre associazioni. Confindustria e i sindacati possono contare su un’organizzazione più strutturata e solida che riesce meglio a tutelare i propri iscritti, mentre i lavoratori dipendenti non possono contare su tale efficacia.

In questi giorni si parla molto di false partite Iva. I lavoratori “para-dipendenti” costretti ad aprire una partita Iva, pur lavorando con continuità nel tempo, in orario di ufficio e in una postazione fissa. Come si argina tale fenomeno?
Con più controlli e più ispettori del lavoro, ma in questi tempi di spending review, nonostante non ci siano altre alternative per arginare il fenomeno, non è una questione semplice da risolvere. Spesso però i discorsi sulle finte partite Iva impediscono più utili approfondimenti sulle vere partite Iva che sono enormemente maggiori in termini numerici. Con la scomposizione della grande impresa, il lavoro autonomo è sempre più un elemento costante della nostra economia e non potrà che aumentare in futuro. Già oggi tra i giovani uno su quattro sceglie l’autoimpiego e questa non è un’anomalia e nemmeno un fenomeno d’arretratezza italiano, è una nuova tendenza socio-economica della quale si faticano a registrarne i particolari e quindi a proporre le tutele più adeguate.

A proposito di giovani e tutele: l’apertura di una partita Iva è ancora una mossa fondamentale per uscire dal pantano della crisi economica?
Assolutamente si. Accompagnare i giovani all’inizio del loro percorso lavorativo è fondamentale affinché si radichino nella loro scelta e non cambino dopo pochi mesi per via di un passo falso iniziale. Dobbiamo aiutare i giovani a camminare con le proprie gambe, non a caso grande successo ha riscontrato in questi anni il franchising. Non si può prescindere dalle tutele (e dal credito…) per i giovani che scelgono l’autoimpiego.

Jacopo MARCHESANO

Partite Iva, quanta ipocrisia

di Davide PASSONI

In questi giorni sul più grande quotidiano italiano si sta svolgendo un dibattito civile ma fermo sul popolo delle partite Iva. Ne sono animatori Dario Di Vico, firma del Corriere della Sera, da sempre attento a tutto quello che accade nel mondo dei partitivisti, e il ministro del Welfare Elsa Fornero, nella cui discussa ma necessaria riforma del lavoro il ruolo dei lavoratori a partita Iva assume, suo malgrado, un ruolo non secondario. Ha cominciato Di Vico con una lettera “perché nessuno ascolta le partite Iva?”, pubblicata il 25 marzo, di cui riportiamo un passaggio che è, letteralmente, oro colato:

[…] È sempre difficile stimare con precisione il numero delle partite Iva in Italia ma a fronte di flussi che paiono comunque consistenti c’è uno stock che può essere valutato tra i 5 e i 6 milioni. Un popolo fortemente differenziato al suo interno, dove non esiste una figura prevalente ma sono a partita Iva dentisti, consulenti di strategia, commercianti, artigiani, giovani in cerca di occupazione.

È importante sottolineare la compresenza di figure assai diverse tra loro perché nel dibattito di queste settimane c’è stato un eccesso di semplificazione. Si è costruita un’equazione tra lavoro professionale con partita Iva e irregolari del mercato del lavoro e di conseguenza la terapia prevalente che è stata proposta è sembrata essere quella di far transitare queste figure verso il lavoro dipendente regolare.

Quasi che tutto potesse ancora una volta essere ricondotto a due tipologie esclusive, le imprese e i dipendenti. Da qui alla riproposizione dello schema che assegna la rappresentanza sociale tutta a Confindustria e sindacati confederali, il passo è breve.

Accanto a molte finte partite Iva – è stato per primo il Corriere a parlare addirittura di una bolla del mercato del lavoro – esistono però persone che hanno scelto coscientemente il lavoro autonomo che poter usare il proprio tempo con modalità più flessibili, perché non amano le organizzazioni e le gerarchie, perché possono conciliare meglio professione e impegni di altro tipo , perché possono alternare a loro piacimento attività e formazione continua. Molti di costoro sono partite Iva mono-committenti perché magari sono impegnate su un progetto di ampio respiro e quindi totalizzante. Parecchi sono nativi digitali e stanno esplorando le nuove professioni del web. Parecchie sono donne. Se dovessimo applicare a loro gli schemi che si sentono ripetere in questi giorni si dovrebbe decidere d’imperio ‘tu sei una partita Iva finta, tu vera’[…]“.

Ieri, la risposta del ministro la quale, per quanto sia un tecnico, ha scritto al Corriere in puro politichese. In pratica, una non-risposta. Ecco il passaggio più significativo: “[…] abbiamo affrontato il tema delle partite Iva con l’occhio rivolto proprio alla più seria e profonda valorizzazione della componente «professionale» di uno strumento che, purtroppo, ha perso almeno in parte la sua natura originale.

«La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita» è il titolo del documento che contiene le linee guida sulla base delle quali stiamo dando gli ultimi ritocchi al testo del disegno di legge che presenteremo in Parlamento entro tempi molto brevi. Nel testo, consultabile sul sito del ministero del Lavoro e su quello del governo, sono presenti evidenti indicatori della nostra volontà di combattere seriamente la tendenza a utilizzare la partita Iva non già come libera manifestazione di lavoro autonomo – e quindi come uno dei «volani» dello sviluppo e della crescita – bensì come percorso elusivo per ridurre il costo della manodopera e per evadere gli obblighi contributivi.

Le suggestioni avanzate da Dario Di Vico nella sua lettera sono molte e tutte di grande interesse. Richiedono però, per essere affrontate con serietà e concretezza, analisi relativamente approfondite che saranno definitivamente messe a punto entro pochi giorni […]“.

Leggiamo l’uno, leggiamo l’altra. L’impressione che rimane è che anche in questa riforma del lavoro, così come in altre azioni ispirate dal governo come quelle, per esempio, contro l’evasione fiscale, torni comodo e utile dividere gli schieramenti in bianco contro nero, con facili stereotipi che servono solo ad ammannire l’opinione pubblica: partitivista = irregolare, autonomo = evasore, per esempio. Da una riforma del lavoro ci aspettiamo qualcosa di più serio; oltretutto guardandola con gli occhi di chi, avendo la sventura di essere imprenditore di se stesso o lavoratore dipendente, viene investito dalle beghe dell’articolo 18 e vede l’intoccabile statale saldo sul suo piedistallo, immune da flessibilità in entrata, in uscita e licenziamenti per motivi economici. Alla fine, non possiamo che concordare con Di Vico: perché nessuno ascolta le partite Iva?

La lettera di Dario Di Vico

La risposta del ministro Fornero