Ddl lavoro, i dubbi dei consulenti

Dal recente Festival del Lavoro di Brescia è arrivata un’altra stilettata al governo e alla sua riforma del lavoro. Questra volta è toccato ai consulenti del lavoro scagliarsi contro la “creatura” della Fornero. La Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone, ha infatti dichiarato: “La soluzione alla polemica sulla riforma del lavoro è semplicemente non chiamarla più così, perché non ne ha le caratteristiche né tecniche né di sostanza. Sembra scritta da un ispettore del lavoro orfano delle sanzioni sul libro matricola“.

La Presidente Calderone ha voluto così ribadire un concetto già espresso nei giorni scorsi nel corso dell’incontro con il Senatore Maurizio Sacconi, il quale si è dichiarato assolutamente d’accordo, sottolineando come tale aspetto sia in netta controtendenza con quella che era la linea di sostanza posta in essere quando lui era ministro.

Ddl lavoro, Alemanno risponde a Elsa Fornero

Le problematiche inerenti a norme contenute nel Ddl lavoro, come le false partite Iva, e l’aumento dell’aliquota previdenziale del Fondo di gestione separata dell’Inps, sono i temi affrontati dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, in un messaggio scritto a Riccardo Alemanno, Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT).
Nel messaggio del Ministro si legge: “Le questioni sollevate dall’Istituto che lei presiede in merito al disegno di legge di riforma del mercato del lavoro sono oggetto della mia attenzione e valutazione”.

Dopo aver analizzato gli emendamenti presentati al Senato al Ddl lavoro, Alemanno ha così risposto: “Ho preso atto, degli emendamenti presentanti da Relatori e Governo al Ddl sul lavoro, ma non ho trovato alcuna modifica sull’incremento dell’aliquota previdenziale del fondo di gestione autonoma dell’Inps. Ho anche ascoltato il Suo intervento in merito, al video forum del Corriere della Sera, e condivido il fatto che con il sistema contributivo si debba arrivare ad un versamento (risparmio) importante per avere una assegno pensionistico decente, ma il suddetto incremento deve essere maggiormente dilazionato nel tempo e soprattutto, i professionisti (veri) privi di cassa autonoma non possono essere considerati, dal punto di vista della precarietà come i parasubordinati, la loro attività è strutturata e continuativa e l’aliquota previdenziale del 33% rischia di diventare un prelievo dal reddito eccessivo e difficilmente sostenibile, soprattutto da parte dei più giovani. Ribadisco quindi la necessità di un incontro con Lei al fine di valutare, anche al di fuori del Ddl lavoro, un percorso per dare chiarezza alla posizione previdenziale dei professionisti, nella consapevolezza che le loro esigenze previdenziali e le dinamiche del loro reddito sono estremamente differenti rispetto ai parasubordinati ed al mondo del precariato in genere”.

Francesca SCARABELLI

Co.co.pro e partite Iva, specchietti per le allodole

di Davide PASSONI

Partiamo con una domanda: in questo momento di crisi, meglio poco per tanti o niente per nessuno?

Proseguiamo con una valutazione: gli emendamenti al ddl lavoro relativi ai co.co.pro. e alle cosiddette “false partite Iva” proposti da Tiziano Treu (Pd) e Maurizio Castro (Udc) sono una porcata. Che cosa prevedono? Relativamente ai co.co.pro., si introduce il concetto di giusta retribuzione, definita sulla base della media tra le tariffe del lavoro autonomo e dei contratti collettivi. Per le “false partite Iva” si parla di un limite massimo di 18mila euro di reddito lordo annuo: se un professionista a partita Iva guadagna di più, per lo stato è automaticamente una falsa partita Iva. Per cui, cara impresa che di lui ti servi, non saranno valide le presunzioni per far scattare l’assunzione. In più, nella formulazione prevista dal ddl si prevede che le partite Iva siano considerate collaborazioni coordinate e continuative se sussistono due di questi tre presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco dell’anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente. Nell’emendamento si passa a otto mesi e 80%. Poco cambia, per le piccole imprese sarà l’ecatombe.

Tiriamo una prima conclusione. In un periodo in cui ci sarebbe bisogno come il pane di un patto forte tra imprese e lavoratori per non affondare tutti, queste misure vanno esattamente nella direzione opposta. E, soprattutto, sono delle cannonate mortali per le piccole imprese. Le uniche, detto per inciso, che nei momenti più neri della crisi hanno continuato, bene o male, a dare lavoro. Quindi la domanda retorica con cui abbiamo aperto troverebbe una risposta a sorpresa: niente per nessuno.

Ebbene, passassero gli emendamenti in questione, la piccola impresa che vive di commesse e cerca collaboratori per i quali essere a sua volta committente, si troverebbe nell’impossibilità di offrire commesse perché non potrebbe fruire dei servizi di un professionista a partita Iva pagandolo il giusto: sforasse i 18mila euro lordi, sarebbero fritti in due, l’impresa e il professionista. La piccola impresa, che vive di un rischio imprenditoriale proprio, non potrebbe permettersi di pagare un salario minimo ai co.co.pro. perché non potrebbe far fronte ai costi aggiuntivi che tale formula prevedrebbe. Per cui, non avrebbe più committenti, di conseguenza nemmeno commesse. In sostanza, fallirebbe. Il professionista, si ritroverebbe a sua volta senza commessa e senza un reddito. E tanti saluti alla spina dorsale dell’economia italiana.

Tiriamo una seconda conclusione. Queste proposte di modifica arrivano sì dai partiti, ma da quei partiti che sostengono il governo. E sembrano quasi il frutto di una manovra diversiva che prepara alla stangata dell’aumento dell’Iva che a ottobre nessuno, statene certi, ci toglierà. Ovvero: cari lavoratori, vedete come siamo bravi, aumentiamo il potere d’acquisto del vostro reddito dandovi la certezza di uno stipendio! Ma intanto… zac! Due punti in più di Iva e deprimiamo i consumi. E i professori assentono. Non sarà mica che questi tecnici, questi professori che non passa giorno senza che sbandierino la loro apoliticità, si stiano invece preparando a candidarsi nel 2013 e lavorino già sul populismo attira-voti?

Perché lasciare la posizione di AD di un grande gruppo bancario per fare il ministro e prendersi pesci in faccia dal mattino alla sera, peraltro, pensiamo, guadagnando di meno? Perché assumere la guida di un governo e di un’economia alla frutta quando negli ambienti accademici si poteva stare tranquilli tranquilli? Per puro senso dello stato e spirito di servizio? Un tecnico alla guida di un governo e poi, qualche anno dopo, al Quirinale, lo abbiamo già visto. E nel 2013 anche Napolitano lascerà. Che sia tutta propaganda sulla pelle delle imprese? Non lo vogliamo credere, ma se due indizi fanno una prova…

Le modifiche al ddl lavoro proposte da Treu e Castro

Tiziano Treu e Maurizio Castro, relatori al ddl lavoro, hanno presentato le proposte di modifica della riforma, partendo dai salari di base dei cocopro e gli assegni di disoccupazione.

Per quanto riguarda i lavoratori a progetto, nell’emendamento si legge che il loro compenso “deve essere adeguato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può comunque essere inferiore, in proporzioni di durata del contratto, all’importo annuale determinato periodicamente con decreto del ministero del Lavoro“.
Lo stipendio equo si ricava dalla media degli emolumenti minimi del lavoro autonomo e di quelli del settore privato.

Per l’assegno di disoccupazione, invece, se si considera un disoccupato che ha lavorato per 6-12 mesi, il compenso una tantum dovrebbe essere di circa 6.000 euro nell’anno successivo.
Si tratta di misure sperimentali, da attuare nei prossimi tre mesi, e che dovrebbero fruttare, per i cocopro, 100 milioni di euro complessivi.

Un emendamento, come ci si aspettava, riguarda le false partite Iva.
In questo caso, il limite minimo viene fissato a 18.000 euro di reddito lordo annuo.
Ricordiamo che, nella formulazione prevista dal decreto legge, le partite Iva andavano considerate collaborazioni coordinate e continuative nei casi in cui sussistano due dei tre seguenti presupposti: collaborazione con durata superiore ai sei mesi nell’arco di un anno, corrispettivo derivante dalla collaborazione superiore al 75% del reddito totale annuo, postazione di lavoro presso la sede del committente.
Con la proposta di Treu e Castro si passa a otto mesi e 80%.

Ma le novità non finiscono qui, perché il ddl lavoro avrebbe, tra le sue novità, anche i voucher per le imprese commerciali e gli studi professionali, che in un primo momento erano stati cancellati dal disegno di legge, ma reintrodotti grazie ad “un’intesa raggiunta tra i partiti della maggioranza e governo, si tratta di emendamenti che non sono frutto della sola intesa politica tra partiti ma anche da parte del governo”.
E i voucher in agricoltura? I relatori dei nuovi emendamenti hanno ribadito “la piena agibilità ma precisando che non si può fare ricorso allo strumento nel caso in cui il titolare sia già un lavoratore iscritto nei relativi elenchi“.

Il lavoro intermittente sarà ancora possibile tramite chiamata, che potrà avvenire anche per sms, per gli under 25 e per gli over 55.

Michel Martone, viceministro del lavoro, ha anche confermato il prossimo sblocco dei bonus di produttività, e ha indicato come proficuo il confronto con i relatori. “E’ stato fatto un discorso importante, anche sulla contrattazione di secondo livello e incentivi a produttività. Da questo punto di vista la posizione e’ di ampio respiro, soprattutto in questo momento di crisi economica. Si tratta di una misura che rappresenta uno sforzo molto importante per gli incentivare il merito”.

Vera MORETTI

Casa, gallina dalle uova d’oro. Per il Fisco

La casa diventa sempre più la croce degli italiani e la delizia del Fisco. Prima è toccato agli incrementi dell’Imu, adesso arrivano le maggiorazioni previste nel ddl sul lavoro per i proprietari di immobili che non applicano la cedolare secca.

Il risultato? Una doppia mazzata sulla rendita, che rischia però di riversarsi sugli inquilini in affitto, con un aumento dei cani stimato intorno al 20%. I conti li hanno fatti la Cgil e il Sunia, che hanno passato in rassegna gli effetti delle recenti misure di tassazione sulla casa, soprattutto per quanto riguarda famiglie in affitto con bassi redditi.

Secondo il sindacato, l’Imu per le seconde case, in assenza di una differenziazione per quelle date in affitto, vede aumenti che superano il 100% rispetto alla veccia Ici, “con il rischio serio che questi si riflettano sugli inquilini“. Calcola la Cgil che – secondo una parametro di riferimento medio dato da un’abitazione di circa 80 mq e ubicata in zona semicentrale – a Roma, per esempio, nel canale libero l’incremento è del 142%: da una vecchia Ici pari a 892 euro alla nuova Imu di 2.161, a fronte di un affitto mensile medio di 1.250 euro.

Per quanto riguarda Milano, invece, l’aumento dell’Imu è del 207%, per un totale di 1.958 euro e con un affitto medio mensile di 1.100 euro. A Bologna siamo al 198%, con un Imu pari a 1.915 euro a fronte di un affitto medio di 950 euro, mentre a Palermo si registra un +119% per un Imu pari a 834 euro rispetto a un affitto medio di 550 euro.

Laura LESEVRE