Morire d’impresa. Ora basta.

di Davide PASSONI

Ne abbiamo già parlato, purtroppo, sulle nostre pagine. Morire d’impresa è l’estrema, intollerabile, bastarda conseguenza di questa crisi che non ci vuole mollare, nonostante l’impegno di imprenditori e professionisti che, ogni giorno, ce la mettono tutta per far quadrare bilanci, pagare stipendi, dare lavoro, permettersi il lusso di vivere e non di sopravvivere. Ogni giorno, fino a quando non ce la fanno più. E allora posano la chiave inglese, il mouse, le chiavi dell’auto e afferrano una pistola, un flacone di antidepressivi o infilano un tubo di gomma nel tubo di scappamento, chiudono lo sportello dall’interno e soffocano se stessi e la propria speranza di dare e darsi un futuro.

Dicono le cronache che durante queste festività non ancora terminate, tra molti casi di suicidio alcuni hanno riguardato imprenditori che… non ce l’hanno fatta più. Si sa, quando è d’obbligo festeggiare ed essere felici, chi non ha più uno straccio di motivo per unirsi al coro della bontà un tanto al chilo si sente ancora più schiacciato dalla depressione e dalla solitudine; e allora viene ancora più facile tirare quel grilletto, ingollare quelle pasticche, girare quella chiave nel quadro dell’auto.

Parlano le cronache di Antonio Losciale, 49 anni, di Trani che si è impiccato nel box che utilizzava come deposito della sua piccola ditta di climatizzatori.

Parlano le cronache di Roberto Manganaro, 47 anni di Catania, che insieme al fratello Giuseppe gestiva un concessionario di moto Honda e che si è tolto la vita ingoiando un’intera scatola di antidepressivi. Il suo ufficio stampa ha subito precisato che “contrariamente a quanto infondatamente riportato da alcuni media, la propria situazione economica, patrimoniale e finanziaria è ad oggi sana e trasparente e per nulla compromessa dalla pur nota congiuntura economica” e che “era purtroppo affetto da molto tempo da una grave forma di depressione, aggravatasi negli ultimi mesi, che lo ha privato di una lucida considerazione della realtà che lo circondava“.

Ma intanto parlano le cronache… E parlano di Roberto De Tullio, pensionato barese 74enne la cui famiglia gestisce in città diversi negozi, che si è gettato dal quarto piano del suo palazzo, lasciando una lettera firmata dall’Inps nella quale, dopo aver ricalcolato i versamenti, l’istituto chiedeva la restituzione di 5mila euro.

Parlano le cronache di un elettricista 64enne di Robecco sul Naviglio, che si è sparato alla tempia nel suo furgoncino.

Parlano le cronache di un agricoltore 54enne dell’Ascolano che si è impiccanto nel magazzino dove teneva gli attrezzi per i campi. A detta dei familiari, “temeva di non farcela, di non superare le difficoltà del 2012“.

Parlano le cronache di imprenditori forse più fragili di altri, ma che lanciano comunque un segnale forte di disperazione che VOI, istituzioni, politiche ed economiche, non potete più tardare a raccogliere. Perché VOI, prima che i mercati, avete gli strumenti per dare speranza, prima che ossigeno, a chi quotidianamente tiene in piedi questo Paese bello e disperato. Siamo stufi di andare alla conta dei morti.

Morire di debiti. Le imprese dicono no

Non è passata nemmeno una settimana da quando Giovanni Schiavon, imprenditore edile del Padovano, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua azienda per l’impossibilità di riscuotere i crediti per lavori già eseguiti (350mila euro) e saldare dipendenti e fornitori. Ora le imprese venete alzano la voce e scrivono al premier Mario Monti chiedendo la rapida applicazione della norma europea contro i ritardi nei pagamenti; una normativa  non ancora recepita dal governo italiano attraverso la legge comunitaria perché troppo onerosa per i bilanci dello Stato.

La lettera porta la firma anche della moglie e della figlia di Schiavon ed è molto chiara: se il governo dice di lavorare a un pacchetto di misure per salvare l’Italia, il recepimento della direttiva europea ne deve assolutamente fare parte. Una direttiva che fissa un tetto di 30 giorni (fino a un massimo di 60, ma solo in casi eccezionali) al saldo dei debiti, pena il pagamento degli interessi di mora progressivi che scattano già dal 30esimo giorno e partono dall’8% per aumentare man mano che aumenta il ritardo.

Un meccanismo che sarebbe ossigeno per le imprese e per chi le dirige, che in questi mesi balla giorno dopo giorno sul filo del baratro, stretto tra la morsa dei creditori e delle banche, e con l’impossibilità di avere ciò che gli spetta di diritto ed è frutto della più sacrosanta delle attività: il lavoro.