Tassa sugli extraprofitti: quali imprese sono interessate?

Negli ultimi mesi si sente parlare spesso della tassa sugli extraprofitti che dovrebbe riguardare le società energetiche che con l’aumento delle tariffe del settore energia hanno percepito ricavi ulteriori. Tale tassa dovrebbe poi andare a coprire in parte gli aiuti ai contribuenti, ma di cosa si tratta, a chi spetta e potrebbe riversarsi nuovamente sui cittadini?

Tassa extraprofitti, a quanto ammonta?

La tassa sugli extraprofitti è stata introdotta dal Governo Draghi, nella prima formulazione prevedeva un’aliquota del 10%, nella formulazione invece introdotta con il decreto Crescita è addirittura stata innalzata al 25%. La tassazione extra si applica alle aziende che operano nel campo delle energie, tra queste vi sono: produttori, rivenditori e importatori di energia elettrica, di gas, tra cui anche le imprese che si occupano dell’estrazione della materia prima e dei prodotti petroliferi.

Per calcolare la tassazione extra si opera il raffronto della differenza tra le operazioni attive e passive al netto dell’IVA fatturate tra il primo ottobre 2021 e il 30 marzo 2022 con le somme fatturate invece nello stesso periodo dell’anno precedente. La ratio di questa tassazione degli extraprofitti è rappresentata dal fatto che, secondo il Governo, al netto degli aumenti generali, dalla preoccupante salita dei prezzi e dell’inflazione deriva comunque un maggiore ricavo per le aziende impegnate in questo settore. Di conseguenza, in una sorta di redistribuzione ideale, questi extraprofitti dovrebbero ritornare in parte ai consumatori. Infatti il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha definito questa misura come un contributo di solidarietà.

La tassazione degli extraprofitti dovrebbe riportare nelle tasche del governo circa 4 miliardi.

La reazione delle imprese del settore

Le aziende del settore non hanno fatto mancare le proprie critiche, in primo luogo perché la tassazione va a colpire anche le aziende che lavorano nel settore delle rinnovabili e che di conseguenza operano per la transizione ecologica, che in questo periodo è diventata una vera emergenza in quanto vanno a ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia.

Le aziende del settore denunciano anche un danno reputazionale agli occhi degli investitori esteri a causa della “perdurante incertezza regolatoria” del settore. Tra le critiche alle norme c’è anche il fatto che diventa difficile calcolare quali siano gli extraprofitti, infatti il confronto deve essere fatto con le operazioni attive e passive che si sono registrate tra il mese di ottobre 2020 e il mese di marzo 2021, quando la pandemia aveva ancora effetti pesanti, le aziende lavoravano in regime ridotto e di conseguenza anche i consumi energetici erano più bassi.

La norma esclude dalla extra tassazione i soggetti regolati che si occupano delle infrastrutture, si tratta di Terna, Italgas e SNAM. Gli altri soggetti saranno invece tassati. Per costoro si apre un nuovo problema, cioè il calcolo della base imponibile infatti in alcuni casi si tratta di realtà complesse.

Chiarimenti sull’Iva per cassa

Con il Decreto Crescita è stato deliberato che l’adozione dell’Iva per cassa preveda l’“esigibilità differita” dell’IVA per le cessioni/prestazioni eseguite da soggetti passivi con un volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro nei confronti di soggetti passivi IVA.

L’Agenzia delle Entrate ha anche deciso di ufficializzare i chiarimenti forniti in occasione dei consueti incontri con la stampa specializzata.

Il primo quesito riguarda la cessione di un credito, inquadrabile tra le prestazioni di servizi, per la quale si è chiesto se la stessa cessione integri di per sé l’esigibilità dell’IVA.
L’Agenzia precisa che la cessione del credito non realizza il presupposto dell’esigibilità dell’IVA in quanto l’incasso del corrispettivo della cessione del credito non è assimilabile al pagamento della fattura dell’operazione originaria.

Il contribuente che trasferisce il credito, dunque, è tenuto ad informarsi circa l’avvenuto pagamento del credito ceduto in quanto è da tale momento che l’IVA:

  • relativa al corrispettivo per la cessione del credito diviene esigibile;
  • viene inclusa, in caso di opzione da parte del cedente, nella liquidazione del periodo.

L’alternativa prevede che il cedente, che non vuole farsi carico del predetto onere e non intende incorrere in sanzioni, includa, anticipatamente, l’IVA relativa all’operazione originaria nella liquidazione del periodo in cui è avvenuta la cessione del credito.

La seconda tematica è relativa al momento in cui si considera effettuato il pagamento con mezzi diversi dal contante.
In questo caso l’Agenzia conferma che nel caso di pagamento mediante bonifico bancario, assume rilevanza il momento in cui si consegue l’effettiva disponibilità delle somme, ossia quando si riceve l’accredito sul proprio conto corrente, indipendentemente dalla sua formale conoscenza, che avviene attraverso l’invio del documento contabile da parte della banca.
Si tratta, tecnicamente, della cosiddetta “data disponibile”, che indica il giorno a partire dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata”.

La terza questione è quella della rilevanza delle note di variazione emesse/ricevute dal contribuente che opta per il regime di IVA per cassa.

Sul punto, l’Agenzia precisa che se le note di variazione sono emesse/ricevute:

  • prima dell’ incasso/pagamento ovvero entro 1 anno dall’operazione: le stesse aumentano o diminuiscono l’IVA “differita”;
  • dopo l’incasso/pagamento della fattura e decorso 1 anno dall’operazione: l’imposta va “conteggiata” nella prima liquidazione Iva utile.

Ultimo punto affrontato dalle concerne l’esclusione di alcune operazioni attive dall’ambito applicativo dell’IVA di cassa, e la conseguente possibilità di separazione delle attività al fine di non subire eccessive penalizzazioni sul fronte della detrazione dell’IVA.

Sul punto, l’Agenzia precisa che il differimento della detrazione dell’IVA al momento del pagamento opera per tutti gli acquisti (comprese le operazioni attive escluse dal nuovo regime) a meno che le operazioni attive/passive escluse dal regime costituiscano attività separate.

Inoltre, in materia è di recente intervenuta anche Assonime che con la circ. 6/2013 osserva che:

  • per verificare la soglia di 2 milioni di euro si deve tenere conto, dal 2013, anche delle operazioni extraterritoriali per le quali è diventata obbligatoria l’emissione della fattura;
  • per individuare le operazioni escluse dal regime, in quanto poste in essere nei confronti di clienti che non agiscono nell’esercizio d’impresa o di arte o professione, può essere utile l’obbligo di indicare in fattura, a seconda dei casi, la partita IVA o il codice fiscale del cliente;
  • in caso di cessazione dell’attività, nell’ultima dichiarazione IVA relativa all’anno di cessazione, occorre tenere conto anche dell’imposta relativa alle operazioni per le quali non si sia ancora verificata l’esigibilità dell’imposta.

Vera MORETTI

Il Decreto Crescita 2.0 delude le pmi

Mancano poche settimane alla pubblicazione del Decreto Crescita 2.0, chiamato anche DL Sviluppo Bis, ma già sono emerse alcune perplessità.

Le maggiori riguardano la quasi totale assenza di provvedimenti che riguardino le pmi, se si escludono Confidi e reti d’impresa.
La delusione, per i diretti interessati, è cocente, considerando che le aspettative nei confronti del decreto erano molte. Crescita 2.0, infatti, avrebbe dovuto essere il motore per la realizzazione della metamorfosi digitale italiana e non solo delle famiglie e della pubblica amministrazione, ma anche delle imprese.

A questo proposito, Andrea Rangone, a capo degli a capo degli Osservatori ICT del Politecnico di Milano, ha dichiarato: “Il governo ha scelto di concentrarsi sulla dimensione della pubblica amministrazione. Che è importante. Ma ha dimenticato gli incentivi all’innovazione delle nostre aziende. In particolare le PMI ne avrebbero bisogno. Non ci sono contributi né incentivi fiscali per la loro innovazione digitale. Non ci sono riferimenti all’e-commerce, l’e-procurement, la fattura elettronica“.

Un cambiamento radicale sarebbe servito, per dare la scossa ad un mercato, quello digitale, ancora esiguo in Italia, specialmente per numero di pmi che vendono online, ancora ferme al 3,8% del totale, percentuale che non viene superata dalla sola Bulgaria.

L’e-commerce è stato fortemente penalizzato perché, a differenza della bozza iniziale, dal decreto sono scomparse le agevolazioni fiscali per i contratti di rete, e la detassazione ricavi da attività di commercio elettronico internazionale delle medie imprese.

Roberto Liscia, presidente di Netcomm, il consorzio del commercio elettronico, ha commentato: “E’ molto grave che il decreto abbia sottovalutato l’importanza dell’e-commerce. Servono incentivi per spingere le nostre aziende a vendere online. Il dato che più evidenzia il problema è forse questo: la nostra bilancia commerciale, nell’e-commerce, è negativa per 1,3 miliardi. Cioè importiamo online molto di più di quanto esportiamo, in contrasto con la vocazione del nostro manifatturiero, molto votato all’export“.

L’Osservatorio sull’Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha a questo proposito fornito tre consigli chiave:

  • la PA sia esempio di e-commerce, attraverso la spinta all’e-procurement e alla Fatturazione Elettronica;
  • incentivi all’e-commerce B2b (es.: sgravi fiscali), inteso come digitalizzazione dei processi commerciali tra imprese, giustificati dai rilevanti ritorni su questi investimenti e potenzialmente finanziabili anche attraverso la lotta all’evasione fiscale, che potrebbe essere favorita proprio dalla diffusione di queste pratiche.
  • investire in formazione, affinché le aziende che si affacciano al mondo dell’e-commerce lo possano fare con la consapevolezza necessaria, comprendendo fino in fondo le implicazioni organizzative che riguardano l’implementazione e la gestione di una soluzione di e-commerce.

Ma dal Governo rispondono che nessuno si è dimenticato delle pmi.
Ad assicurarlo è stato Giuseppe Tripoli, garante delle pmi e responsabile e-commerce per i lavori sull’Agenda Digitale, presso il ministero allo Sviluppo Economico, il quale ricorda come nel Crescita 2.0 ci siano misure per facilitare l’accesso al credito bancario, e l’export di piccole aziende. Inoltre sono stati estesi i contratti di rete tra le imprese agricole, per favorirne l‘aggregazione.

Per quanto riguarda le start-up, il decreto prevede norme ed incentivi, mentre sono scomparse le liquidità che sembrava sarebbero state messe a disposizione.
Ma a questo proposito, dal ministero dello Sviluppo Economico, fanno sapere che verranno aumentate, tramite Cassa Depositi e Prestiti, le risorse a disposizione del Fondo italiano di investimento a favore del venture capital, per una somma compresa tra 50 e 100 milioni di euro.

In dirittura d’arrivo, invece, dovrebbe essere la fattura elettronica, che dovrà essere adottata da ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e assistenza sociale entro 12 mesi, mentre le altre amministrazioni, dalle quali sono escluse quelle locali, dovranno adeguarvisi entro 24 mesi.

Questa manovra dovrebbe portare ad un risparmio di un miliardo di euro per la PA e di un altro miliardo per le aziende fornitrici, secondo stime del Politecnico. Il tutto fungerà inoltre da sprone per le aziende a informatizzarsi.

Vera MORETTI

Obblighi fiscali per appalti e responsabilità solidale

Il Decreto Crescita ha, tra le altre cose, modificato la disciplina in materia di responsabilità solidale nell’ambito dei contratti d’appalto e subappalto di opere e servizi.

La nuova disposizione prevede:

  • la responsabilità solidale dell’appaltatore e del committente, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto e senza alcun limite temporale,per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell’Iva dovuta dal subappaltatore e dall’appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del contratto;
  • l’esclusione dalla responsabilità prevista solo se l’appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore;
  • l’attestazione dell’avvenuto adempimento dei predetti obblighi che, secondo quanto previsto dalla stessa disposizione, può consistere anche nella asseverazione rilasciata da Caf o da professionisti abilitati;
  • in assenza di tale documentazione viene previsto che sia l’appaltatore che il committente possano sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino all’esibizione della stessa;
  • gli atti notificati entro termine al subappaltatore devono essere notificati anche al responsabile in solido (con l’evidente fine di tenere informato l’appaltatore di eventuali infrazioni fiscali del subappaltatore).

Tali obblighi vengono applicati in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi tra :

  • soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito di attività rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto;
  • soggetti di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico delle imposte sui redditi; vale a dire società di capitali, cooperative, enti pubblici, ecc.

Invece, questa disciplina non viene applicata con riferimento alle “stazioni appaltanti” del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, ovvero nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici, enti aggiudicatori, soggetti pubblici o privati assegnatari dei fondi.

Queste regole non valgono in caso di somministrazione di manodopera e, poiché non sempre è così diretta la distinzione, occorre accertarsi che l’appaltatore possieda determinate caratteristiche, come il potere organizzativo e direttivo, l’organizzazione dei mezzi e l’assunzione del rischio d’impresa.

La responsabilità solidale di un soggetto non pregiudica la regolarità del Durc emesso in suo favore. Le verifiche effettuate ai fini del rilascio del Durc sono infatti riconducibili solo al rapporto tra l’impresa e l’ente abilitato al rilascio del documento.

In caso di inadempimenti per quanto riguarda i pagamenti spettanti al committente, sono previste sanzioni che vanno da un minimo di 5.000 euro ad un massimo di 200.000.

L’entrata in vigore di questa norma ha anche fatto registrare una serie di difficoltà da parte degli addetti ai lavori, soprattutto perché non è chiaramente specificato il contenuto che la documentazione dovrebbe avere per comprovare il versamento delle ritenute e dell’Iva.
Dal momento che in assenza di questa documentazione l’appaltatore può sospendere il pagamento, questa incertezza avrebbe potuto provocare ulteriori ritardi nei pagamenti, con gravi ripercussioni a danno delle imprese.

Per far fronte a questa situazione critica, l’Agenzia delle Entrate ha risolto due delle problematiche maggiori, ovvero la decorrenza dell’ applicazione della norma in esame e la certificazione idonea ad attestare la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell’Iva.

Per quanto riguarda il primo punto, viene reso noto che le disposizioni devono trovare applicazione per i contratti di appalto/subappalto stipulati a decorrere dal 12 agosto 2012.
L’Agenzia ha anche specificato che tali adempimenti sono esigibili a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della norma, con la conseguenza che, a decorrere dal 11 ottobre 2012, il committente/appaltatore deve chiedere la certificazione della regolarità dei versamenti (ritenute sui redditi di lavoro dipendente e IVA) ai propri appaltatori/subappaltatori con riferimento alle prestazioni eseguite nell’ambito di contratti di appalto/subappalto stipulati a partire dal 12 agosto 2012.
A decorrere da tale data e in assenza della predetta documentazione, il committente/appaltatore può sospendere il pagamento del corrispettivo fino all’esibizione della suddetta certificazione.

Per quanto riguarda la seconda criticità, invece, ovvero la documentazione che l’appaltatore/subappaltatore deve produrre per dimostrare il regolare versamento dell’Iva e delle ritenute, al fine di superare il vincolo di responsabilità solidale del committente/appaltatore, la circolare ritiene valida, in alternativa alle asseverazioni prestate dai Caf e dai professionisti abilitati (dottore commercialista, ragioniere e perito commerciale, consulente del lavoro), una dichiarazione sostitutiva, con cui l’appaltatore/subappaltatore attesta l’avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla disposizione.

A tal proposito, la circolare espone in dettaglio gli elementi che tale dichiarazione sostitutiva deve necessariamente contenere. In particolare:

  • il periodo nel quale l’Iva relativa alle fatture concernenti i lavori eseguiti è stata liquidata, con indicazione se dalla liquidazione è scaturito un versamento di imposta ovvero se è stato applicato il regime dell’Iva per cassa o la disciplina del reverse charge;
  • il periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o parziale;
  • gli estremi dell’F24 con cui sono stati effettuati i versamenti dell’Iva e delle ritenute non scomputate;
  • l’affermazione che l’Iva e le ritenute versate includono quelle riguardanti il contratto di appalto/subappalto per il quale la dichiarazione è resa.

Vera MORETTI