Debiti Pa, è il momento della Cassa depositi e prestiti

 

La Cassa depositi e prestiti – la società per azioni finanziaria italiana, partecipata per il 80,1% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 18,4% da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5% in azioni proprie – ha ufficializzato il plafond da 10 miliardi di euro, finalizzato al saldo dei pagamenti dei debiti di parte corrente della pubblica amministrazione. Dopo la firma di una convenzione con l’Abi, l’Associazione bancaria italiana, la Cassa potrà acquisire i crediti dalle banche o dagli intermediari finanziari, ridefinendo in favore della Pubblica amministrazione termini e condizioni di pagamento dei debiti. Ed già un primo passo…

Inoltre, il plafond verrà inserito, insieme alle misure già varate in questi ultimi mesi nell’ambito del nuovo piano industriale varato dal Governo Letta, all’interno di una «Piattaforma Imprese» che racchiuderà i prodotti a sostegno dell’economia di Cdp dedicati a favorire l’accesso al credito delle pmi, mettendo a disposizione dell’economia italiana, attraverso il sistema bancario, ulteriori 5 miliardi.

Intanto, dopo il «pagheremo tutto entro fine settembre» di Renzi, anche Bruxelles sembrerebbe guardare con più ottimismo ai conti nostrani: «Con i rappresentanti europei stiamo registrando un dialogo costruttivo – hanno spiegato il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi e il commissario Ue all’Industria Ferdinando Nelli Feroci – soprattutto su come il governo sta affrontando e cercando di risolvere questo problema: ancora più che per ragioni giuridiche, riteniamo immorale non pagare i propri debiti alle imprese. E con la Commissione si è instaurato un confronto proficuo che lascia ben sperare sugli sviluppi della procedura d’infrazione».

Jacopo MARCHESANO

Boccalini: “Debiti Pa? Azzerare e riscrivere le normative”

 

Come ricordavamo ieri, in una recente intervista al Corriere il premier Matteo Renzi è tornato ad affrontare il problema dei debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese fornitrici, confermando la volontà del governo di porre rimedio al problema entro fine mese di settembre, spiegando anche che «la cifra totale da restituire sarà molto meno dei 60 miliardi fino ad ora presi a riferimento e sarà ricalcolata con esattezza entro i prossimi 10 giorni». In attesa di ulteriori sviluppi, oggi abbiamo incontrato Edoardo Boccalini, segretario nazionale INT,  già ascoltato a riguardo nel maggio scorso quando il Governo sembrava disposto a mettere a disposizione circa 1,8 miliardi di euro per i primi pagamenti.

Dott. Boccalini, a sentire il premier Renzi, entro il 21.9 i debiti della Pa dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere saldati. Si tratta finalmente della tanto annunciata svolta buona?
Difficile dirlo adesso, visto il passato possiamo solo aspettare e sperare di poter dire “é stata la volta buona”. Nel frattempo, ma anche dopo, mi piacerebbe che la politica parlasse di tutte quelle imprese che per colpa di questa situazione sono fallite o sono state costrette a chiudere. E’ ora che ci si renda conto che dietro a quegli imprenditori che troppo spesso vengono considerati furbi e senza scrupoli, ci sono famiglie che hanno sofferto e che ancora stanno soffrendo. Non può essere che tutto venga sempre ricondotto ad un debitore e ad un creditore, dietro c’è un mondo del quale sistematicamente ci si dimentica e che causa gravi, gravissime situazioni e chi ne è responsabile per negligenza superficialità menefreghismo o interesse personale è giusto che paghi. E questo indipendentemente che si parli di pubblico o privato.

Come si possono cambiare le normative, da più parti definite complesse e farraginose, per evitare l’accumulo e i ritardi nei pagamenti dei debiti della Pa?
Per semplificare bisognerebbe azzerare tutto e riscrivere la normativa in modo semplicissimo, chiunque dovrebbe capire senza dubbi o equivoci. Non credo che il dover commissionare dei lavori e il doverli pagare debba comportare una complicazione tale da causare paura e incertezza da parte sia di soggetti pubblici sia privati. Si deve tornare alla certezza che si sta facendo la cosa giusta, non al perenne dubbio che ovviamente non può portare altro che ad uno sgravio o allontanamento di responsabilità. E nel caso qualche parametro dovesse essere superato si deve prevedere un meccanismo per il quale l’impresa committente non ne risenta minimamente non essendo la causa, le responsabilità andranno cercate e gestite all’interno della PA.

La quota d’interesse sul debito dovrebbe essere inferiore alle attese e il Governo dovrebbe ritrovarsi un “tesoretto” per guardare più serenamente al futuro...
Sarebbe triste pensare ad un Governo che guarda più serenamente al futuro per un tesoretto che deriva da differenti previsioni, queste situazione se mai si dovessero verificare dovrebbero avvantaggiare qualcosa di non previsto a vantaggio di tutta la collettività. Da questo momento basterebbe semplicemente rispettare le scadenze.

Jacopo MARCHESANO

Sblocco debiti della Pa, c’è il via libera del governo

“Confermo quello che ho detto nei giorni scorsi: i debiti pregressi della Pubblica amministrazione li paghiamo entro il 21 settembre”. Ogni promessa, giusto per rimanere in tema, è debito. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a poche ore dalle elezioni europee che ridisegneranno il Parlamento dell’Unione, è tornato a fare chiarezza sulla questione irrisolta dei debiti della pubblica amministrazione.

“Il presidente Renzi ha fatto molto bene a programmare il pagamento dei debiti arretrati della Pa – ha commentato Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance), recentemente incaricato dal vicepresdente della Commissione Europea Antonio Tajani di riferire a Bruxelles lo stato di attuazione della direttiva sui pagamenti – , dimostrando chiaramente la volontà di intervenire per sanare il problema. È altrettanto vero, però, che finora è mancata la spinta decisiva per rimuovere le cause strutturali dei ritardi di pagamento, a partire dall’allentamento del Patto di stabilità interno. Ci preoccupa, inoltre, che nella prossima tranche di pagamenti prevista dal governo non siano incluse le spese per investimenti che riguardano in gran parte le infrastrutture. Per questo continuiamo e continueremo a far sentire la nostra voce, perché per risolvere il problema dei pagamenti l’unica strada è pagare tutti, nessuno escluso”.

Intanto il NCD ha presentato una proposta di legge in soccorso delle imprese creditrici della Pa e che prevede la compensazioni tra debiti e crediti. “Intendiamo correggere gli automatismi previsti nel pagamento dei debiti da parte dalla PA a fronte di pendenze con Equitalia. Il testo prevede l’erogazione all’imprenditore del 50% di quanto dovuto dall’amministrazione pubblica a fronte dell’impegno di chiedere la rateizzazione del debito fiscale. Superata questa procedura viene liquidata l’altro 50% del credito vantato nei confronti della Pubblica amministrazione” ha spiegato in una nota il capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo.

Jacopo MARCHESANO

Debiti PA, la revisione del decreto in 9 punti

Abbiamo visto ieri le prime osservazioni dell’Ance sul decreto sbloccacrediti. Oggi proseguiamo nell’analisi dei rilievi posti dall’Associazione nazionale dei costruttori edili.

Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi sia “una tantum”, è necessario modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente e un limite all’indebitamento, in modo da evitare l’accumulo di debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di cassa disponibili. La necessità di evitare la formazione di nuovi debiti è sottolineata anche dalla Commissione Europea e non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui pagamenti.

Rispetto al contenuto del decreto-legge, secondo l’Ance appare opportuno:
1- Incrementare l’importo dell’allentamento del Patto di stabilità interno da 5 a 11 miliardi di euro nel 2013 per consentire l’utilizzo dei fondi già disponibili;
2- Per il 2014, prevedere l’esclusione dal Patto di stabilità interno dei pagamenti in conto capitale per almeno 10 miliardi di euro (il deficit 2014 aumenterebbe di 0,7% e salirebbe al 2,5% del Pil, invece dell’1,8%);
3- Spostare la data di riferimento per il pagamento dei debiti pregressi dal 31 dicembre 2012 al 31 marzo 2013;
4- Escludere dal Patto di stabilità interno delle Regioni anche gli importi dei trasferimenti in favore degli enti locali a valere sui residui passivi di parte capitale;
5- Accelerare il pagamento di risorse già disponibili degli enti locali, ampliando il ricorso a meccanismi automatici;
6- Evitare di rimettere in discussione il meccanismo previsto per gli enti locali, che risulta quello più semplice. Semplificare i meccanismi per l’accesso al fondo per la liquidità da parte delle Regioni. Il problema, però, è soprattutto quello della mancanza di risorse per pagare tutti i debiti;
7- Prevedere specifiche misure per le società partecipate dagli enti locali che risultano escluse dall’ambito di applicazione del decreto-legge;
8- Obbligare le Pubbliche Amministrazioni a registrare tutte le fatture inevase, anche quelle successive alla data del 31 dicembre 2012, sulla piattaforma telematica di certificazione dei crediti PA;
9- Introdurre con urgenza una norma che, senza ulteriori adempimenti attuativi, preveda il rilascio del Durc regolare in presenza di una certificazione attestante la sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti della PA, di importo almeno pari agli oneri contributivi previdenziali ed assistenziali accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto.

Per chiudere, secondo l’Ance va risolto il problema delle centrali di committenza differendo l’obbligo della centrale di committenza al 31 dicembre 2013 (invece del 31 aprile 2013), in allineamento con la definizione delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni fondamentali degli enti interessati.

Debiti PA, Ance: allentare il patto di stabilità

Dopo aver visto le proposte di modifiche al decreto sbloccacrediti varato dal governo da parte di Confprofessioni, oggi vediamo quali sono i rilievi avanzati dall’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, in un’audizione dinanzi alle commissioni speciali di Camera e Senato.

Intanto, secondo l’Ance, il decreto rappresenta un primo segnale importante e positivo, ma non è sufficiente e presenta alcune importanti criticità che rischiano di compromettere i risultati che si attendono dall’operazione di immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo nazionale. L’associazione sottolinea che “il problema dei ritardati pagamenti in Italia – 19 miliardi di euro nel settore delle costruzioni – sta letteralmente stritolando il tessuto produttivo, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese ed estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la filiera. Le soluzioni adottate fino ad oggi non sono state in nessun modo adeguate alla drammaticità della situazione perché hanno continuato ad alimentare una finzione contabile che occulta il debito pur in presenza di crediti vantati dalle imprese“.

Secondo l’Associazione dei costruttori, l’impostazione del Piano di pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione non è accettabile poiché sussiste un problema di suddivisione degli importi delle somme da sbloccare tra spese in conto capitale e spese correnti. Secondo il decreto, solo 7,7 miliardi di euro sui 40 totali riguarderanno il pagamento di spesa in conto capitale e, inoltre, non è previsto alcun pagamento in conto capitale nel 2014: il Governo ha infatti stimato un deficit pari all’1,8% del Pil. Una dinamica che, nel settore delle costruzioni, porterà ad avere almeno 11 miliardi di euro non pagati.

Secondo l’Ance, appare necessario ribadire che circa 11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse di enti locali virtuosi; si tratta di risorse che vanno pagate subito e, sotto questo profilo, un allentamento del Patto di stabilità interno degli enti locali per soli 5 miliardi di euro, a fronte di 11 miliardi di euro già disponibili, non è accettabile. Sarebbe invece opportuno garantire che queste risorse si traducano in misure a favore degli investimenti produttivi, capaci di rilanciare crescita e occupazione. Sarebbe bene fare in modo che la flessibilità concessa da Bruxelles, rispetto alla disciplina di bilancio applicata finora, si traduca nel pagamento del massimo importo possibile di spese in conto capitale.

Allentare il rigore a favore soprattutto delle spese correnti rischierebbe invece di alimentare nuove spinte rigoriste da parte dell’Europa, compromettendo anche future aperture di credito all’Italia. Per questi motivi, il pagamento delle spese in conto capitale deve assumere carattere prioritario e rappresentare l’elemento centrale del piano di pagamenti dei debiti pregressi in corso di predisposizione.

L’Ance ricorda anche che il Patto di stabilità interno, così come disciplinato oggi in Italia, impedisce la trasformazione degli impegni di parte capitale in pagamenti alle imprese e provoca l’accumulo di debiti anche in presenza di risorse di cassa disponibili. Una dinamica che fa crescere l’importo dei debiti non conteggiati, consentendo solo il rispetto formale dei parametri fissati dai trattati europei.

“Debiti PA, snellire pratiche e procedure”

Abbiamo visto ieri come Confprofessioni abbia mosso importanti e sensate critiche al decreto sbloccacrediti. Oggi vediamo in che modo la Confederazione italiana delle libere professioni ha proseguito nella sua critica costruttiva al testo ministeriale.

Secondo Confprofessioni è necessario semplificare le procedure finalizzate al pagamento, alla certificazione e alla compensazione dei crediti. Per quanto riguarda la procedura relativa alla registrazione sulla piattaforma elettronica delle Amministrazioni, il timore della confederazione è che si continuino a verificare le carenze nella programmazione e gestione di tale adempimento da parte delle Amministrazioni coinvolte, in particolar modo quelle di modeste dimensioni strutturali ed organizzative. Queste carenze sono state riscontrate negli ultimi mesi, da quando a fine 2012 la piattaforma è stata attivata.

Quanto alle compensazioni tra certificazioni e crediti tributari, il decreto stabilisce che i crediti possano essere compensati con le somme dovute a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza, definizione agevolata delle sanzioni, conciliazione giudiziale, mediazione.

Questa disposizione normativa, secondo Confprofessioni, suscita non poche perplessità in ordine al corretto rapporto tra fisco e privato. Così come scritta, la norma non consentirebbe al contribuente che non ha alcuna pendenza con il fisco la possibilità di compensare i propri debiti con la pubblica amministrazione con i crediti tributari, mentre il contribuente che ha ricevuto un accertamento e definisce con il fisco le richieste può compensare. È necessario perciò includere nella compensazione tutti gli importi dovuti al fisco, rendendo compensabili non solo le somme accertate e definite a seguito di adesione o definizione agevolata ma bensì anche i debiti che emergono dalle dichiarazioni periodiche o liquidazioni periodiche e annuali di imposte.

Un’ulteriore criticità evidenziata riguarda la possibilità data agli Enti locali “di non indicare una data di pagamento nei certificati di credito” ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, facoltà che limita il ricorso agli strumenti utilizzabili dalle imprese quali la compensazione con somme iscritte a ruolo e la cessione pro soluto. Il comma 9 dell’art. 6 del Decreto in esame dispone, invece, che “entro il 30 giugno 2013 le Pubbliche Amministrazioni comunicano ai creditori l’importo e la data entro la quale provvederanno ai pagamenti”. Ci si chiede, dunque, se gli Enti locali, al pari delle Amministrazioni statali, dovranno anch’essi indicare necessariamente la data del pagamento, e in caso affermativo, se lo dovranno fare nei limiti ovviamente dell’importo complessivo di 5 milioni di euro, previsto nel primo comma dell’art. 1 per l’esclusione dei pagamenti dal vincolo di stabilità interno.

Confprofessioni rileva poi una contraddizione tra il nono comma dell’art. 6 in cui viene fatto riferimento al termine del 30 giugno 2013 per la comunicazione da parte delle Amministrazioni dell’importo e della data entro la quale provvederanno ai pagamenti dei debiti, ed il quarto comma dell’art. 7 in cui viene fatto riferimento al lasso di tempo tra il 1 giugno e il 15 settembre 2013 come termine per la comunicazione dell’elenco completo dei debiti con l’indicazione dei dati identificativi del creditore, senza però alcuna indicazione della data del pagamento, a differenza del citato comma nono dell’art. 6.

L’ultima osservazione di Confprofessioni è relativa alla mancata previsione della possibilità di rilascio automatico del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) pur in presenza di crediti certificati ai sensi del comma 3-bis dell’art. 9 del DL 185/2008, di importo pari almeno agli oneri contributivi non pagati. Ai sensi del comma 5 dell’art. 13-bis della Legge 94/2012, che ha convertito il DL 52/2012, si è in attesa del Decreto attuativo del Ministro dell’Economia e delle Finanze che fissi le modalità attuative di tale disposizione. Senza attendere tale ultimo provvedimento, si potrebbe nell’ambito del presente decreto-legge già prevedere un meccanismo automatico di rilascio del Durc che tenga conto del credito certificato dall’Amministrazione per un importo almeno pari agli oneri contributivi non pagati. Il contribuente, quindi, dovrebbe ricevere il Durc regolare nei casi in cui i debiti contributivi siano inferiori alle proprie posizioni creditorie.

Proprio i ritardati pagamenti da parte della PA hanno contribuito ad aggravare le difficoltà delle imprese nella regolarizzazione degli adempimenti contributivi: il meccanismo compensativo proposto da Confprofessioni rappresenterebbe quindi un doveroso riequilibrio.

Debiti PA, le proposte di Confprofessioni

Una delle voci critiche nei confronti del decreto sbolccacrediti è quella di Confprofessioni, la Confederazione italiana delle libere professioni. La confederazione, però, ha anche avanzato ha presentato delle proposte di buon senso per modificare in senso migliorativo il testo del decreto; lo ha fatto davanti alle Commissioni parlamentari speciali, istituite per l’esame degli atti urgenti del Governo.

Confprofessioni accoglie con favore l’emanazione del provvedimento, “il segnale di un doveroso rispetto degli impegni sottoscritti dallo Stato con i suoi cittadini, nonché, nell’attuale fase recessiva dell’economia italiana, un utile strumento di sviluppo e ripresa“. Tuttavia, come anticipato, ritiene che il decreto “debba essere perfezionato, affinché rappresenti effettivamente una misura economica di sviluppo e crescita in grado di incrementare la produzione e l’occupazione“. Confprofessioni richiama poi l’attenzione su alcune criticità presenti nel testo che potrebbero essere superate in sede di conversione parlamentare.

Intanto, nel parere depositato in commissione, Confprofessioni spiega di aver apprezzato la tecnica normativa scelta dal Governo, che ha considerato le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali” nell’ambito dei debiti immediatamente solvibili da parte delle Amministrazioni dello Stato, evitando la distinzione tra imprese e professionisti nel momento in cui si esaminano i soggetti che hanno diritto al pagamento da parte degli Enti locali.

Secondo Confprofessioni, però, non è chiaro per quale ragione l’articolo 7 (certificazione dei debiti ai fini della ricognizione degli stessi), l’articolo 8 (cessione dei crediti), e l’articolo 9 (compensazione dei crediti con somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa tributaria), non menzionino in maniera esplicita le obbligazioni relative alle prestazioni professionali ma solo richiamino le obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti. Strano, dice la confederazione, dal momento che l’articolo 5 ha ritenuto indica in modo esplicito le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali“, che sono assimilate alle “obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti“.

Svista o malafede? Svista, secondo Confprofessioni,in quanto non avrebbe senso, dopo aver incluso tali obbligazioni nell’ambito di quelle oggetto di pagamento da parte della PA, escludere le stesse dalla disciplina della certificazione, cessione e compensazione, anche alla luce dell’orientamento europeo“. Ecco dunque la proposta di annullare l’ambiguità e indicando in modo esplicito quelle obbligazioni negli articoli 7, 8 e 9, evitando così interpretazioni arbitrarie del testo.

Confprofessioni ha poi una proposta concreta per superare la complessità delle procedure burocratiche necessarie ad attivare i pagamenti: coinvolgere direttamente il mondo dei professionisti, che potrebbe giocare un ruolo chiave specialmente nella gestione delle procedure di certificazione e interlocuzione tra pubbliche amministrazioni. Un coinvolgimento che troverebbe senso nel principio di sussidiarietà che informa l’ordinamento costituzionale.

A domani per le altre proposte di Confprofessioni

Debiti della PA, continua il viaggio tra le contraddizioni del decreto

di Davide PASSONI

Abbiamo passato una settimana a raccogliere notizie e testimonianze sulle mille contraddizioni che accompagnano il decreto che dovrebbe dare il via al pagamento di una prima parte dei debiti che la pubblica amministrazione vanta nei confronti delle imprese. Nel frattempo è stato persino eletto il nuovo presidente della Repubblica ma le cose, sul fronte del decreto, non sembrano migliorate. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare un’altra settimana all’approfondimento di questo argomento, tanto vitale per la sopravvivenza delle nostre imprese quanto superficialmente affrontato da chi ha approntato il decreto.

Del resto, basti pensare che tra passaggi formali centrali e locali, sono ben 36 i provvedimenti attuativi necessari a far partire la macchina che erogherà i pagamenti. Inoltre, la soglia per la compensazione tra crediti e debiti fiscali prevista dal decreto, che è passata da 516mila a 700mila euro risulta nei fatti discriminatoria per molte delle aziende che vantano crediti nei confronti dello Stato.

E vogliamo mettere i molti casi di comuni virtuosi che, paradossalmente, sono penalizzati anziché favoriti da questo decreto? Infatti, con il decreto in oggetto, lo Stato anticipa di liquidità a enti che hanno assunto impegni senza accantonare le somme necessarie a coprirli e che, ora che non hanno soldi, vengono finanziati dallo Stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti con prestiti trentennali; intanto, però,e i comuni virtuosi che hanno già saldato i loro debiti con le imprese e vorrebbero un allentamento del patto di stabilità per mettere in cantiere nuove opere pubbliche, non lo fare e nemmeno possono accendere mutui per farlo perché i limiti imposte dalle finanziarie dell’ultimo periodo sono pressoché proibitivi per tutti”.

Come si vede, quindi, sono molti gli aspetti di criticità che ancora persistono nella attuazione del decreto che dovrebbe ridare un po’ di ossigeno alle imprese soffocate dalla crisi. Perché proprio questo è il punto: le imprese hanno bisogno di soluzioni rapide ed efficaci, non burocratiche; hanno bisogno di liquidità immediata e non di fare la fila agli sportelli, perché il tessuto produttivo italiano è ormai una tela lisa e qualunque peso le si metta sopra ha l’unica conseguenza di stracciarla. Ecco perché Infoiva si concentrerà ancora su questo argomento; per capire come dare a non stracciarla perché di tempo per ricucirla non ce n’è davvero più.

Debiti PA e Pil, qual è la relazione?

Come abbiamo visto durante l’arco di questa settimana, il decreto sbloccacrediti, partito tra grandi rulli di tamburi, proclami e squilli di trombe, mano a mano che passavano i giorni ha raccolto più fischi che applausi.

Qualcuno che, però, che ancora prova a vederne i lati positivi (che ci sono, solo che il governo è riuscito a camuffarli molto bene) c’è. Si tratta di Bankitalia, nel cui Bollettino economico riporta alcune valutazioni incoraggianti sul decreto. Secondo le analisi dell’istituto di Via Nazionale, il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese “potrebbe contribuire alla crescita del Pil nei due anni per un ammontare complessivo compreso tra cinque e sette decimi di punto percentuale“. Più o meno quello che il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha detto poco meno di un mese fa.

Secondo Bankitalia, “nel complesso l’impatto macroeconomico del pagamento dei debiti è certamente positivo“, purché non si trascuri di “monitorare regolarmente l’attuazione delle norme, così da introdurre i cambiamenti eventualmente necessari per assicurarne l’efficacia“. Salvo poi tirare il freno a mano quando dice che “le previsioni degli effetti sulla crescita del provvedimento sono molto incerte, in quanto è difficile prefigurare la rilevanza relativa delle diverse destinazioni dei fondi“.

In effetti, spiega Bankitalia, la crescita del Pil nel biennio 2013-2014 oscillerebbe tra lo 0,5 e lo 0,7% “nell’ipotesi prudenziale in cui le risorse aggiuntive destinate al finanziamento di nuovi investimenti nel biennio 2013-14 fossero il 12% del totale e che la quota residua fosse destinata in parti uguali al finanziamento del capitale circolante (ad esempio il pagamento di salari arretrati) e ad accantonamenti per finalità precauzionali“.

Ecco quindi che il pagamento in tempi brevi di una quota rilevante dei debiti, si legge ancora nel Bollettino, sarebbe positivo perché potrebbe “contenere la dinamica della mortalità di impresa, con un impatto potenzialmente rilevante sull’attività economica“. Se fosse fatto in tempi brevi, appunto. Ma per come il decreto è stato concepito, ogni cosa si può dire tranne che sia orientato alla velocità. Vedremo come uscirà dopo l’esame del Parlamento.

Debiti PA, se le imprese sono critiche…

Sono loro, le imprese, quelle che per prime dovrebbero beneficiare del decreto sbloccacrediti della PA. E sono loro una delle voci più critiche nei confronti del decreto in questione. È infatti una bocciatura su tutta la linea quella che Rete Imprese Italia fa alle risorse previste del decreto: secondo l’associazione, le risorse in questione sono considerate insufficienti e, nella loro inapplicabilità fanno il paio con la disciplina di Imu e Tares, i cui adempimenti per le aziende sono, secondo Rete Imprese, insostenibili.

Secondo il portavoce di Rete Imprese Italia Ivan Malavasi, sentito in audizione alla Camera sul decreto, i fondi previsti sono “insufficienti” rispetto “all’esigenza di pagare l’ammontare dei debiti accumulati verso il sistema delle imprese“. Secondo Rete Impresa Italia, dunque, “è fondamentale che le risorse stanziate entrino quanto prima nel ciclo produttivo e che le risorse trasferite dalle Regioni agli enti locali siano utilizzate esclusivamente per pagare i debiti commerciali“.

Parole che rischiano di restare un grido inascoltato, in un momento nel quale la situazione è estremamente pesante e delicata, come traspare dalle parole che Malavasi ha utilizzato durante la sua audizione: “La capacità di resistenza delle imprese è allo stremo. Non hanno più disponibilità finanziarie e le banche stanno forzando la richiesta di rientro dalle anticipazioni su fatture scadute. A queste imprese il decreto avrebbe dovuto dare risposte certe che invece non arriveranno“.

L’attacco di Malavasi coinvolge anche la filosofia che sta alla base del provvedimento; secondo il portavoce di Rete Imprese Italia, questa è “alquanto complessa e non mette mai al centro dell’attenzione il diritto delle imprese ad essere pagate, ma anzi si fonda sulla regolazione degli scambi tra Pa“. Ecco perché Malavasi ha anche sottolineato la ratio che sta alla base della richiesta di una clausola di salvaguardia da parte dell’associazione delle piccole e medie imprese: questa nasce infatti dalla convinzione che la nomina di un commissario ad acta, qualora non vi fosse una risposta da parte dell’amministrazione all’istanza del creditore, “non offra certezza in ordine ai tempi di risposta“, ha detto Malavasi. Di qui, ha concluso, nasce la proposta di equiparare “l’eventuale silenzio dell’amministrazione all’atto di certificazione del credito“.

Malavasi non ha poi risparmiato critiche alla Tares e all’Imu, per le quali Rete Imprese Italia chiede sensibili modifiche alla disciplina. “Le imprese, oltre ad essere sottoposte ad una pressione fiscale insostenibile, devono subire anche pesanti oneri burocratici dovuti alla numerosità e complessità degli adempimenti amministrativi, in particolar modo di quelli fiscali, spesso, dipendenti dalla necessità di soddisfare esigenze di contabilità pubblica“, ha concluso Malavasi. Un’audizione dai toni accesi e accorati. Qualcuno avrà fatto lo sforzo di ascoltarla?