Pignoramento Buoni fruttiferi postali: una particolare forma di pignoramento presso terzi

I Buoni fruttiferi postali sono una forma di risparmio sempre apprezzata dalle persone, in passato consentivano ottimi rendimenti, oggi i rendimenti sono ridotti, ma in risalita grazie all’aumento del costo del denaro deciso dalla BCE. Ciò che però molti non sanno è che i buoni fruttiferi postali possono essere pignorati.

Pignoramento Buoni fruttiferi postali

Ciò che ha reso i Buoni fruttiferi postali molto amati non sono solo i rendimenti, ma il fatto che l’investimento fosse garantito dallo Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti, questo per gli investitori vuol dire che il capitale è sempre garantito ( fino a prescrizione). Ciò che però molti non sanno è che i buoni fruttiferi postali possono essere oggetto di pignoramento. Si tratta di una particolare forma di pignoramento presso terzi.

Questo implica che se una persona vanta dei crediti nei confronti di altro soggetto, potrà richiedere un decreto ingiuntivo. Nel caso in cui ci sia opposizione al decreto ingiuntivo, oppure il giudice in seguito a richiesta di tale provvedimento dovesse ritenere di non poter emettere un decreto ingiuntivo e quindi si proceda ad un ordinario giudizio per accertare il credito, si potrà utilizzare la sentenza per poter iniziare la procedura esecutiva. La procedura esecutiva prevede che si possa indagare al fine di reperire beni intestati al debitore e da questa indagine potrebbe emergere che il debitore ha anche dei Buoni fruttiferi postali. In questo caso potrà essere iniziata la procedura di pignoramento presso terzi delle somme.

Si può ottenere il pignoramento del buono fruttifero postale cointestato?

La cointestazione del buono fruttifero postale è una pratica molto comune, ma neanche tale escamotage protegge da una possibile esecuzione tramite pignoramento del buono fruttifero postale. In questo caso infatti le somme maturate saranno divise e il 50% delle stesse vanno al proprietario non debitore, mentre la rimanente parte andrà al creditore.

Come avviare una procedura esecutiva per pignoramento dei buoni fruttiferi postali?

I requisiti per poter avviare il pignoramento dei buoni fruttiferi postali sono gli stessi del pignoramento in genere, quindi il creditore deve avere in mano un titolo esecutivo, può trattarsi di sentenza, decreto ingiuntivo, cambiali sottoscritte dal debitore, ordinanze previste dagli artt. 186 bis, ter e quater c.p.c., di condanna al pagamento di somme, le ordinanze interinali (art 423 c.p.c.), la condanna provvisionale (art 278 c.p.c. comma 2), i provvedimenti cautelari, atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli (art. 474 c.p.c.).

Assegno post datato o senza data: nullo ma prova il credito

Succede spesso che si accetti come forma di garanzia di un futuro pagamento un assegno con ammontare coincidente con il debito e senza data oppure post datato. Tale scambio prevede la restituzione dell’assegno al momento del pagamento oppure la riscossione dello stesso in caso di mancato adempimento dell’obbligazione. Naturalmente tale riscossione può essere rischiosa per il debitore nel caso in cui sul conto non siano presenti i fondi utili. Molti però si chiedono: è valido un assegno post datato o senza data?

Assegno post datato o senza data: la disciplina

Questa pratica molto comune in realtà non è la soluzione prevista dalla normativa per raggiungere lo scopo di fornire una garanzia a fronte del ritardo in un pagamento. Infatti per raggiungere tale obiettivo l’ordinamento mette a disposizione altri strumenti come il pegno, l’ipoteca e soprattutto la cambiale.

Generalmente per importi di ammontare piccolo e medio lo strumento ideale è proprio la cambiale, ma questa richiede il pagamento del bollo ed è proprio per sfuggire a questo onere e per maggiore semplicità sono in tanti a preferire l’assegno post datato o senza data.

La prima cosa da sottolineare è che Regio Decreto del 21 dicembre 1933, n. 1736 che regola la materia prevede che l’assegno per essere valido deve presentare una data. Di conseguenza, in teoria, un assegno senza data o post datato non è “regolare”, infatti l’articolo 2 del Regio Decreto prevede che un assegno mancante di uno degli elementi previsti nell’articolo 1 non possa essere fatto valere come assegno bancario.

L’articolo 121 del Regio Decreto invece prevede che nel caso in cui la data apposta sull’assegno differisca rispetto alla data di emissione per un termine non utile al tempo necessario per far recapitare l’assegno al destinatario (4 giorni), debbano essere applicate le norme previste per la cambiale e quindi debba essere pagato il bollo.

Assegno post datato o senza data vale tra le parti come promessa di pagamento

Nonostante questo, la sentenza della Corte di Cassazione 27370 del 2019 stabilisce che, sebbene l’assegno post datato o senza data debba essere considerato nullo e di conseguenza, in teoria, non possa essere riscosso, lo stesso vale però tra le parti, cioè tra il destinatario e colui che lo ha sottoscritto, come promessa di pagamento.

Questo implica che in un eventuale giudizio, colui che detiene tale titolo è liberato dal dover fornire la prova della sussistenza del credito, in quanto lo stesso assegno costituisce prova del credito. Di conseguenza è colui che ha rilasciato l’assegno a dover fornire la prova liberatoria e quindi a dover provare che in realtà quel credito è stato già estinto o non è mai esistito.

A sostegno di questa tesi c’è anche la sentenza della Corte di Cassazione 19051 del 2021. Ricordiamo che in base all’articolo 1988 del codice civile la promessa di pagamento (e abbiamo visto che l’assegno postdatato o senza data ha tale valore) può essere utilizzata per ottenere un decreto ingiuntivo, cioè un provvedimento esecutivo  emesso dal giudice senza sentire l’altra parte ( inaudita altera parte).

Dal decreto ingiuntivo al pignoramento, tempi e regole

Finire nei meandri del decreto ingiuntivo e dei successivi pignoramenti non è una cosa che riguarda pochi italiani. Molti infatti sono tremendamente indebitati con il fisco o con i privati, a tal punto che entrambe le procedure sono abbastanza diffuse e riguardano una grande fetta di popolazione. Pochi sanno però come funziona effettivamente il meccanismo.  Infatti il pignoramento non scatta automaticamente ma è una fase successiva al cosiddetto decreto ingiuntivo. Ed i tempi che intercorrono tra le due cose sono molto importanti.

Come si arriva al pignoramento

Quando si parla di azione esecutiva per quanto riguarda i debiti di varia natura, si parla di un insieme di provvedimenti e di strumenti in mano al fisco e ai creditori,  che consentono alle amministrazioni pubbliche o a chi ha crediti, di rientrare delle pendenze che hanno nei confronti dei debitori. Non sono pochi gli  italiani alle prese con cartelle esattoriali e debiti con tasse, imposte e tributi. E non sono pochi gli indebitati con soggetti privati. Come dicevamo però, tra le tante misure che ha in mano il fisco (ma anche ogni creditore), per andare a colpire gli indebitati, il principale è senza dubbio il pignoramento. Che è anche lo strumento più forte come deterrente all’avvio dell’evasione fiscale da parte dei contribuenti italiani. La notifica del decreto ingiuntivo è l’atto propedeutico a tutte le altre azioni di esecuzione forzata, pignoramenti compresi.

Il decreto ingiuntivo, tutto parte da qui

Con il decreto ingiuntivo si costringe di fatto il contribuente a provvedere a pagare il debito che ha. In assenza di pagamento, o di risposte al decreto e quindi di giustificazioni da parte del debitore, il creditore potrà liberamente passare alle azioni forti, e quindi potrà arrivare ad avviare il pignoramento. Questa procedura, che è molto più forte se il creditore è lo Stato o un ente collegato allo Stato, può essere utile anche per i debiti tra privati. Infatti anche il creditore privato può avviare azioni in maniera del tutto similare a quelle che avviano gli enti pubblici per il tramite dei concessionari della riscossione. In questi casi si passa dai Tribunali e dalle aule giudiziarie.

I tempi tecnici del pignoramento e dell’atto ingiuntivo

In linea di massima quando ci si trova dinanzi ad un creditore e un debitore e alle varie azioni che il primo produce nei confronti del secondo, i tempi sono determinanti. Come si legge sul sito “laleggepertutti.it”, sono proprio le tempistiche a determinare il successo di una procedura esecutiva di questo tipo o l’eventuale successo di un ricorso da parte del debitore. Infatti per quest’ultimo la strategia difensiva non può che non partire dalle tempistiche con cui possono essere prodotte le procedure. I tempi sono determinanti da questo punto di vista anche perché durante il lasso di tempo che passa per l’avvio e la conclusione di queste procedure, l’indebitato può provare anche ad ottenere una specie di conciliazione. In modo tale da evitare pignoramenti e ipoteche su case, beni mobili e conti corrente. Oppure può vedere di racimolare i soldi per chiudere la partita pagando il creditore.

Quanto tempo passa per arrivare ad un pignoramento?

Il tempo che intercorre tra il via delle procedure ed il risultato che le stesse si prefiggono, quindi il pignoramento, è ciò che maggiormente interessa il debitore. Quest’ultimo infatti , in questo lasso di tempo, può trovare i soldi per mettere a posto la situazione. È anche vero però che in questo lasso di tempo è assai probabile che è un debitore che cerca una via d’uscita, possa svuotare i conti oppure eliminare dalla propria condizione economica, finanziaria e patrimoniale, i beni che il creditore potrebbe attaccare. Per questo la materia è assai delicata e va opportunamente approfondita.

La procedura in sintesi

Il primo passaggio è quello del giudice. È quest’ultimo infatti che deve rilasciare il decreto ingiuntivo dopo l’azione avviata da creditore. Il decreto ingiuntivo deve essere notificato dal giudice al debitore entro i 60 giorni successivi alla sua emanazione. Per decreti ingiuntivi comunicati al debitore oltre i 60 giorni, si parla di decreti ingiuntivi inefficaci. Dal decreto ingiuntivo notificato nei termini al debitore, passano altri 40 giorni. Questi sono i giorni che il creditore deve concedere al debitore per avviare le azioni difensive, sia quelle di opposizione o semplicemente quelle relative al pagamento del debito. Sui 40 giorni però va fatto una opportuno distinguo. Infatti se il debito nasce da cambiali, o da quote condominiali non incassate, o ancora da un atto notarile o da un assegno circolare, i 40 giorni non sono necessari. In questi casi infatti,  il decreto ingiuntivo è immediatamente anche se è provvisoriamente esecutivo.

Come si arriva all’atto di precetto

Tornando al caso del creditore e dei 40 giorni, quest’ultimo deve provvedere a depositare, decorsi sempre i già citati 40 giorni, il decreto ingiuntivo presso la cancelleria del Tribunale che ha emanato il decreto ingiuntivo stesso. Solo in questo caso il decreto ingiuntivo diventa definitivo. Da questo momento il debitore non potrà mai più opporsi al decreto. Il creditore dopo aver depositato il decreto ingiuntivo, dovrà produrre l’atto di precetto al debitore. L’atto di precetto altro non è che l’intimazione di provvedere entro 10 giorni da questo atto, al pagamento del debito. Tutto come stabilito dal giudice con il decreto ingiuntivo prima citato. L’atto di precetto deve contenere anche la dicitura che, in caso di mancato pagamento nei 10 giorni concessi, sì passerà alle procedure successive che sono quelle esecutive passando da l’ufficiale giudiziario.

Il passaggio dall’anagrafe tributaria

Dal momento che ormai le banche dati che sono disposizione degli enti e il loro incrocio permette di verificare qualsiasi cosa relativa ad un debitore, l’accesso all’anagrafe tributaria è una soluzione molto utilizzata. Ed è una procedura sicuramente propedeutica rispetto alle azioni di esecuzione forzata successive. Infatti il creditore tramite il suo legale avvia le verifiche sulle disponibilità patrimoniali del debitore. Il tutto per verificare la solvibilità dello stesso. In questo caso occorre presentare istanza al tribunale affinché si venga autorizzati ad interrogare l’anagrafe dei conti correnti e l’anagrafe tributaria del debitore.