Ci sono disoccupati e disoccupati…

I numeri sono numeri e dovrebbero essere per loro stessa natura oggettivi. Ma, come tutte le cose, possono essere interpretati. Pensiamo ai dati Istat sulla disoccupazione in Italia a luglio pubblicati ieri. Si può essere più soddisfatti – la disoccupazione è rimasta stabile rispetto a giugno, 10,7% – o meno soddisfatti – è cresciuta del 2,5% rispetto a luglio 2011. Di certo si deve essere molto preoccupati e pensare a delle serie politiche di crescita quando si guarda al dato della disoccupazione giovanile (15-24 anni): 35,3%, in aumento del 1,3% su giugno e del 7,4% su base annua. Un tasso che cresce a un ritmo triplo rispetto a quello complessivo e che, in termini numerici, si traduce in 618mila persone a spasso.

Ragionando per numeri spacchettati, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni nel secondo trimestre 2012 sale al 33,9%, dal 27,4% del secondo trimestre 2011 (+6,5%): il tasso più alto, in base a confronti tendenziali, dal secondo trimestre del 1993, inizio delle serie storiche. Anello debole, ancora una volta le donne e ancora una volta al Sud: nel secondo trimestre 2012 il tasso di disoccupazione giovanile tocca un picco del 48% per le ragazze del Mezzogiorno.

Vogliamo continuare a farci del male? Parliamo di precari. Per quanto la tipologia del contratto a termine possa infatti essere vantagggiosa per un’azienda, nel computo delle statistiche finisce per alimentare la magmatica massa dei precari. Ebbene, i contratti a termine sono quasi 2,5 milioni (2,455): il livello più alto dal secondo trimestre del 1993, sia in valore assoluto, sia per l’incidenza sul totale degli occupati. Sommando i collaboratori al numero dei contratti a termine si arriva, poi, alla cifra record, di 3 milioni di precari.

Non male come premesse per cominciare un autunno che definire caldo è dire poco. E non c’è molto da discutere, come spesso accade, sui metodi utilizzati dall’Istat per elaborare i propri studi. Da una parte il governo deve leggere questi numeri e rispondere con vere politiche per la crescita (defiscalizzazione, crediti d’imposta ecc…). Dall’altra i giovani e le imprese devono rimboccarsi le maniche: se non è più così vero come qualche anno fa che il “il lavoro c’è, basta cercarlo (e volerlo fare)“, il modo per far incontrare domanda e offerta (per quanto scarsa quest’ultima possa essere) c’è. Basta che Palazzo Chigi si ricordi che oltre alle tasse c’è di più.

Laura LESEVRE

Sono giovane e non lavoro

Disoccupazione mai così alta in Italia da 8 anni, ad aprile, a questa parte. E la cosa più preoccupante è che si impenna soprattutto quella giovanile. Secondo l’Istat, “il numero dei disoccupati, pari a 2 milioni e 615mila, cresce dell’1,5% (38mila unità) rispetto a marzo. Su base annua il numero di disoccupati aumenta del 31,1% (621mila unità). Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,2%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a marzo e di 2,2 punti su base annua“. E’ il tasso più alto da gennaio 2004.

Fa riflettere il dato giovanile. Spiega l’Istat che “tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 611mila. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 35,2%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto a marzo ma in aumento di 7,9 punti su base annua“. Un andamento fisiologico prevedrebbe una disoccupazione giovanile pari a due volte quella totale, mentre qui siamo quasi a 4 volte. Non ci siamo.

Gli inattivi tra 15 e 64 anni diminuiscono dello 0,1% rispetto al mese precedente. In confronto a marzo, il tasso di inattività risulta invariato e si mantiene al 36,6%“, conclude l’Istat.

La riprova che questa crisi sta incidendo in maniera sempre più forte sulle due fasce meno solide dei potenziali impiegati, ossia i giovani e le persone che perdono il lavoro in tarda età. Sui giovani in maniera ancora più drammatica, visto che nemmeno le politiche d’impiego e la prossima riforma del lavoro sembrano dare le risposte che questa situazione necessita se non per invertire la rotta, quantomeno per dare un piccolo segnale di cambiamento.