Italia, non è un Paese per giovani

Non è un Paese per giovani, l’Italia. Almeno stando a quanto emerge dal documento della Banca d’Italia, “Economie regionali – L’Economia delle regioni italiane”. Nonostante le iniziative di imprenditoria giovanile non manchino e gli under 35 si dimostrino molto attivi, le opportunità di lavoro per le fasce di età più giovani continuano a deteriorarsi in tutte le regioni: nel Sud il tasso di disoccupazione delle persone con meno di 30 anni è oltre il doppio di quello complessivo

Secondo Bankitalia, la crescita dell’occupazione (0,4% nella media del 2011 in Italia) è stata più debole al Centro e nel Mezzogiorno rispetto al Nord, dove è cresciuta in particolare nel Nord-est. Le differenze territoriali riflettono l’andamento dell’occupazione nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni; un settore che continua a essere in estema sofferenza, dove è proseguito il forte calo del numero di occupati.

Scenario poco omogeneo anche in quanto al pil, che nel 2011 ha ristagnato nel Mezzogiorno (0,0%) e al Centro (0,1%) ed è cresciuto a un tasso lievemente superiore a quello medio nazionale (0,4%) nel Nord-ovest (0,6%) a un ritmo nettamente superiore nel Nord-est (0,9%). Rispetto alle altre aree, il Sud è stato caratterizzato da un andamento particolarmente sfavorevole dei consumi, in presenza di una più debole occupazione e a retribuzioni in ristagno.

C’è poi il capitolo, dolente, dei prestiti bancari che nel 2011 hanno rallentato in tutte le aree del Paese. Manco a dirlo… La frenata, concentrata nell’ultima parte dell’anno, è stata più marcata nel Nord e ha riguardato soprattutto i finanziamenti alle imprese, anche per effetto della debolezza dell’attività produttiva. Anche i prestiti alle famiglie hanno rallentato, ma in modo più accentuato nelle regioni del Centrosud. L’indagine è stata condotta dalla Banca d’Italia su un campione di circa 400 intermediari e ha mostrato un dato incontrovertibile: sulla dinamica dei prestiti ha influito ovunque l’irrigidimento dei criteri di offerta delle banche, in un contesto di debolezza della domanda di finanziamenti; nel primo semestre dell’anno in corso esso si sarebbe attenuato in tutte le aree del Paese.

Insomma, anche in questo caso giovani e imprese pagano più degli altri il prezzo della crisi. E se lo dice Bankitalia, c’è poco da stare allegri…

Sono giovane e non lavoro

Disoccupazione mai così alta in Italia da 8 anni, ad aprile, a questa parte. E la cosa più preoccupante è che si impenna soprattutto quella giovanile. Secondo l’Istat, “il numero dei disoccupati, pari a 2 milioni e 615mila, cresce dell’1,5% (38mila unità) rispetto a marzo. Su base annua il numero di disoccupati aumenta del 31,1% (621mila unità). Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,2%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a marzo e di 2,2 punti su base annua“. E’ il tasso più alto da gennaio 2004.

Fa riflettere il dato giovanile. Spiega l’Istat che “tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 611mila. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 35,2%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto a marzo ma in aumento di 7,9 punti su base annua“. Un andamento fisiologico prevedrebbe una disoccupazione giovanile pari a due volte quella totale, mentre qui siamo quasi a 4 volte. Non ci siamo.

Gli inattivi tra 15 e 64 anni diminuiscono dello 0,1% rispetto al mese precedente. In confronto a marzo, il tasso di inattività risulta invariato e si mantiene al 36,6%“, conclude l’Istat.

La riprova che questa crisi sta incidendo in maniera sempre più forte sulle due fasce meno solide dei potenziali impiegati, ossia i giovani e le persone che perdono il lavoro in tarda età. Sui giovani in maniera ancora più drammatica, visto che nemmeno le politiche d’impiego e la prossima riforma del lavoro sembrano dare le risposte che questa situazione necessita se non per invertire la rotta, quantomeno per dare un piccolo segnale di cambiamento.

Disoccupazione giovanile record: è al 36%

Il tasso di disoccupazione a marzo è al 9,8%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su febbraio e di 1,7 punti su base annua. E’ il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Guardando le serie trimestrali é il più alto dal terzo trimestre 2000.

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a marzo è al 35,9%, in aumento di due punti percentuali su febbraio. E’ il tasso più alto dal gennaio 2004 (inizio delle serie storiche mensili). Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Guardando le serie trimestrali é il più alto dal quarto trimestre 1992.

Quindi, risulta disoccupato oltre un giovane su tre tra i 15-24enni attivi, ossia coloro che hanno un lavoro o lo cercano (forza lavoro).

Il numero dei disoccupati a marzo è di 2 milioni e 506 mila, in rialzo del 2,7% su febbraio. Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Su base annua il rialzo è del 23,4%. E’ il livello più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Con riferimento alle serie storiche trimestrali è record da IV trimestre 1999.

Il numero dei disoccupati a marzo è aumentato su base annua di 476 mila unità (+23,4%) e su base mensile di 66 mila. Il dato annuale risente dell’aumento delle persone sul mercato del lavoro, gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, infatti, sono diminuiti di 427.000 unità.

A marzo gli occupati sono 22 milioni e 947 mila, in diminuzione dello 0,2% su febbraio, ovvero 35 mila unità in meno, e dello 0,4% rispetto a marzo 2011, pari ad un calo di 88 mila unità. Il risultato è determinato dal calo dell’occupazione maschile.

A marzo il tasso di occupazione è pari al 57%, in lieve calo, di 0,1 punti percentuali, in termini congiunturali e in flessione di 0,2 punti su base annua. Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Risultano anche in diminuzione gli inattivi (15-64 anni), ovvero le persone che non sono né occupate né in cerca di lavoro: il calo è dello 0,3% (-40 mila unità) su febbraio, con il tasso di inattività che si posiziona così al 36,7%, con una flessione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,1 punti su base annua. Da questi dati emerge come l’aumento del numero di disoccupati e del relativo tasso deriva principalmente dal fatto che coloro che prima erano inattivi ora si sono in cerca di un lavoro. Mentre il calo dell’occupazione è meno accentuato, anche, perché, probabilmente, facendo riferimento agli ultimi dati trimestrali, gli occupati adulti restano più a lungo a lavoro, sia per l’allungamento della vita media che per gli interventi sul sistema pensionistico.

Il tasso di disoccupazione maschile cresce di 0,3 punti percentuali su febbraio, portandosi al 9,0%; quello femminile segna un aumento di 0,1 punti e si attesta all’11,0%. Rispetto all’anno precedente, quindi, il tasso di disoccupazione maschile sale di 1,6 punti percentuali e quello femminile di 1,9 punti. La crescita della disoccupazione interessa così sia gli uomini sia le donne. In particolare, gli uomini disoccupati salgono del 3,9% rispetto al mese precedente e del 23,4% su base annua; il numero di donne disoccupate aumenta dell’1,3% rispetto a febbraio e del 23,4% in termini tendenziali.

Laura LESEVRE

Voci dalla crisi – La burocrazia mi ha fatto fallire

La crisi morde e la burocrazia ci uccide? La soluzione, per tanti imprenditori che non vogliono darsi fuoco, è quella di chiudere baracca e burattini (o quello che ne resta, dopo le razzie del fisco) e andare all’estero.

Ecco un’altra lettera giunta in redazione. Signori professori del Governo: vogliamo dare una prospettiva a imprenditori come questi? Visto che il 95% delle nostre imprese è fatto da loro, che succede se scappano tutti dall’Italia? Sveglia!!

Questo è un brutto periodo, da diversi anni ormai le piccole imprese soffrono, nessun aiuto, tasse sempre più soffocanti, poco lavoro data la crisi e banche che voltano le spalle e una burocrazia che può uccidere. Certo è più facile, anche se difficoltoso, per chi ha una liquidità propria.

Questo è il mio spirito, sono una donna di 47 anni nata e cresciuta nell’imprenditoria; dai miei ricordi di crisi ne ho viste e come mi ha insegnato il mio babbo (imprenditore) ci si rialza e si va avanti, magari rimettendosi in gioco, avendo il coraggio di cambiare settore. L’azienda del mio babbo è passata da sas a snc poi srl e ora da diversi anni è una spa. Gli è andata bene, i tempi erano diversi e sicuramente era più facile allora per una azienda crescere. Ho sempre avuto davanti a me un bell’esempio di imprenditoria fatta di testa, mani e passione.

Per me non è andata così… Ho aperto anch’io una piccola azienda nel settore alimentare con le mie sole forze, mettendo in ipoteca la mia casa per ottenere un mutuo che prontamente ho saldato tutto nel giro di quattro anni per poter acquistare macchinari per l’azienda. Nonostante il lavoro massacrante per gli orari, la fatica a gestire contemporaneamente lavoro e contabilità, sono riuscita ad assumere personale. Contenta di come andava avanti e avendo ottenuto bilanci in attivo, decisi di trasferire l’azienda in un’altra regione, avevo bisogno di più spazio (lo spirito imprenditoriale è quello di crescere). Non l’avessi mai fatto!

Mi sono scontrata con una burocrazia che dire lenta è poco….E questa purtroppo mi ha sotterrato. Da ottobre a maggio dell’anno successivo non sono riuscita ad aprire attività grazie all’asl. Lenta a rilasciare permessi con un sacco di documentazioni e planimetrie fatte fare da un geometra. Ho scoperto lì un nuovo mondo… aprire un’impresa non è uguale in tutte le regioni. Ho chiesto nel frattempo nuovi finanziamenti alla banca: mi sono stati rifiutati. Ho cercato di informarmi per finanziamenti all’imprenditoria femminile e lì c’è stato da “ridere”.

Esiste un ufficio a Roma (ho telefonato lì) che si occupa proprio di questo e mi dicono che non ci sono finanziamenti. Eppure l’ufficio c’è. con dei dipendenti, pagati pure. Sono riuscita con un piccolissimo finanziamento dalla Confcommercio a tirare avanti ancora per un po’ e pagare le aziende che hanno lavorato per la messa in opera di tutta l’impiantistica dell’azienda. Ho dovuto litigare con l’asl perché aveva le mia richiesta con tutti i documenti allegati ferma in una scrivania insieme ad un faldone di domande e chissà quando l’avrebbero presa in mano. Ho aperto con tutta la mia forza e voglia di continuare il mio lavoro interrotto l’anno prima, ma non è bastato, è servito a poco e nulla. Dopo pochi mesi ho dovuto chiudere, avevo perso in quel periodo lungo di chiusura troppi soldi. Avevo perso tutto. Riaprirò, non più in Italia ma all’estero.  (Lettera firmata)

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Voci dalla crisi – Basta Italia, vado all’estero

di Davide PASSONI

Un’altra lettera, un’altra storia, un’altra voce dalla crisi arrivata alla nostra redazione. La scorsa settimana era la storia di una farmacista, partitivista per forza e, a un anno dalla pensione, obbligata a pensare di dover continuare a lavorare in nero per poter vivere.

Oggi la testimonianza di un avvocato, una professionista che per poter vivere dignitosamente e sfuggire a un Fisco carogna e ai pessimi pagatori è stata costretta a fuggire all’estero. Fuga di cervelli, fuga di professionisti, fuga per la vita… Giudicate voi. Una lettera che, nel suo essere sintetico, trasuda indignazione verso un sistema che spesso, invece di valorizzare l’intrapresa, la castiga e la obbliga a rinnegare la propria missione.

La mia storia è semplice:
– conclusa giurisprudenza a Padova nei tempi più duri, “tiro su uno studio letteralmente dal nulla”, nel senso che ho scarse conoscenze e quindi scarse segnalazioni: i clienti e la loro fiducia me le devo proprio conquistare palmo a palmo;
– il tutto dal 1998 – anno in cui mi iscrivo all’Albo Avvocati, fino a fine 2008: senza fare parcelle stellari o evocare nei clienti l’immagine dell’avidità, riesco a mantenere una famiglia, costruire una casa in campagna, comprare una barchetta e un terreno;
– poi cambia tutto: parcelle di 5000 e più euro impagate, pochissimi nuovi incarichi;
– non ce la faccio a tenere in piedi un’attività professionale, mi metto alla ricerca di un lavoro dipendente;
– mi offrono un posto di lavoro oltralpe: vado. Fortuna che inglese, tedesco e spagnolo li ho imparati e sempre un po’ parlicchiati in varie occasioni;
– duemilatrecento euro per 14 mensilità: era un po’ che non entravano questi soldi netti e aiutano decisamente a farmi sentire un po’ tranquilla;
– ho 43 anni compiuti.
Cordialità.

Un avvocato

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Voci dalla crisi – “Capisco quelli che si danno fuoco”

di Davide PASSONI

Riceviamo e non volentieri pubblichiamo. Non volentieri per ciò che ci tocca leggere, non certo perché non vogliamo dare spazio a storie come questa.

Gentile redazione, sono una “vecchia” farmacista (63 anni), ho lavorato prima nella farmacia di mio padre, poi ne sono diventata titolare, per cui sempre iscritta solo all’ENPAF. Alcuni anni fa per problemi famigliari e di salute ho dovuto vendere la farmacia e da allora ho sempre lavorato con p. iva fino a due anni fa nella mia ex farmacia, poi nella farmacia di una mia amica. Non posso dire che cosa mi rimane in tasca tra le spese benzina, tasse, contributi ENPAF che devo pagare per intero, iscrizione ordine dei farmacisti e una grande stanchezza, visto la non più giovane età…

Ora sono stata lasciata a casa, lavoro solo due mezzi pomeriggi, perché con la nuova legge la mia amica ha paura di multe, perché faccio un lavoro continuativo presso un solo datore. Il 30/09/2013 arriverò alla pensione (folle cifra di 600 euro), se la salute regge vorrei continuare a lavorare, perché non posso permettermi di non farlo. Io ho venduto tutta l’argenteria di casa, i gioielli di mia madre e capisco quelli che si danno fuoco, che si buttano dai balconi!

Scusate per lo sfogo, grazie. (Lettera firmata)

Grazie a lei, signora! Questa lettera è stata scelta tra le tante arrivate alla nostra redazione perché offre diversi e amari spunti. Intanto, la nostra lettrice è una partitivista forzata. E, come partitivista, si ritrova a essere tartassata e additata come possibile truffatrice. Poi è una donna, una di quelle donne che intravedono il miraggio della pensione e sanno già che quello che, per tanti, è un periodo finalmente sereno, per lei sarà solo un altro vagone da attaccare al treno della propria vita lavorativa. Altro che relax, tè con le amiche e nipotini da curare. Dove vogliamo andare, oggi con 600 euro di pensione al mese.

Poi, ancora, è una di quelle persone che, nel momento in cui percepirà la pensione e continuerà a lavorare (come scrive), sarà additata come una donna spregevole che sottrae un posto di lavoro a un giovane, lavora in nero e, scandalo!, evade le tasse. L’alternativa a tutto questo? Morire di fame, forse.

Badate, con questo non diciamo che evadere è lecito o bello. Quante volte da queste pagine avete letto del nostro plauso a Befera e ai suoi collaboratori… Prendiamo solo atto di una situazione nella quale la nostra lettrice si trova ora e si troverà tra un anno e mezzo (“se la salute regge“, come ha scritto lei) e che è figlia non tanto della crisi quanto di un intreccio malato tra mercato del lavoro, sistema fiscale e sistema pensionistico i quali, ciascuno per la propria parte e con le proprie storture, finiscono per stritolare i soggetti meno protetti della società: coloro che non hanno la certezza di un reddito, non si possono ricollocare professionalmente, sono donne.

Cara lettrice, non guardi chi si butta di sotto o si dà fuoco. Tenga duro e si faccia sentire.

Cari professori al governo, questa è una delle tante lettere che arrivano non solo a noi ma anche a tante altre testate – di carta, sul web, in radio, in tv – in questo periodo nel quale la raccolta di tali testimonianze è diventata quasi una moda: fa lettori, fa opinione, fa vedere di essere “sul pezzo”. Per noi di Infoiva non è una moda, è una missione. Per voi, invece, deve diventare un’ossessione.

Non pensiamo, come quell’invasato di Antonio Di Pietro, che voi abbiate sulla coscienza i suicidi di chi non ce la fa più; pensiamo, più ottimisticamente, che abbiate le chiavi per fare in modo che non accadano. Chiavi che si chiamano tagli alla spesa pubblica, tagli agli sprechi, tagli alle inefficienze, tagli ai privilegi, tagli – conseguenti – alle imposte su imprese e cittadini, incentivi – conseguenti – alle imprese che, con chi le crea e chi ci lavora, tengono in piedi l’Italia. Frugate nelle vostre tasche piene – non come le nostre, vuote – e trovatele queste chiavi. E una volta trovate, usatele: ve lo chiedono in tanti che sono nelle condizioni della nostra farmacista.

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Inps: domande di prestazione e servizi online

Prosegue il processo di telematizzazione delle domande di prestazione e servizi Inps. Da aprile, al termine del periodo transitorio che si concluderà il 31 marzo, potranno essere presentate esclusivamente online:
• le domande di pensione in regime internazionale (circ. 164 del 27/12/2011);
• le domande di trattamento di disoccupazione in favore dei lavoratori rimpatriati e dei frontalieri italiani in Svizzera (circ. 172 del 30/12/2011);
• le domande di assegno familiare dei lavoratori agricoli dipendenti (circ. 173 del 30/12/2011);
• le domande di sospensione ed esonero per calamità naturali e rimborso contributi per le aziende assuntrici di manodopera e i lavoratori autonomi del settore agricolo (circ. 169 del 30/12/2011);
• le domande di artigiani e commercianti per la compensazione contributiva ed auto conguaglio, per la variazione della data di inizio attività per i soggetti non iscritti alla CCIA, per la riduzione contributiva ex art. 59, comma 15, legge 449/ 1997, per il rimborso contributi (circ. 169 del 30/12/2011);
• le richieste di liquidazione del trattamento di richiamo alle armi (circ. 27 del 27/ 2/2012). Le domande, pertanto, dovranno essere presentate esclusivamente attraverso uno dei seguenti canali:
WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino munito di PIN dispositivo attraverso il sito internet, nella sezione Servizi On Line;
• Contact Center Integrato – attraverso il numero verde 803164;
• Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Lo riporta una nota dell’Inps.

Fonte: agenparl.it

Iva: continui aumenti, e le famiglie pagheranno di più

Cresce la preoccupazione per gli ormai annunciati aumenti dell’IVA.

La Confesercenti, su questo tema, ha elaborato uno studio che tiene conto dei forti oneri aggiuntivi che ricadranno sulle famiglie a causa delle varie manovre che hanno innalzato le aliquote, dall’estate del 2011 a oggi. E che causeranno effetti depressivi sull’economia e sui consumi, con le conseguenti ricadute sulle chiusure di imprese, soprattutto nei settori vitali del commercio e dell’artigianato, e la conseguente perdita di posti di lavoro. Si parla tanto di lavoro e di come aumentare l’occupazione, e si fanno interventi sull’IVA che freneranno il mercato e accresceranno la disoccupazione.

Il carico medio aggiuntivo per ognuno dei 24 milioni di nuclei familiari del nostro Paese arriverà a 576 euro all’anno: 150 per l’aumento dal 20% al 21% dell’aliquota ordinaria, in vigore dal primo settembre 2011, e altri 426 euro dovuti agli ulteriori due punti percentuali che si aggiungeranno alle aliquote ordinarie e intermedie dal prossimo ottobre. Il carico per le famiglie (vedi studio allegato) cambia a seconda della professione del capo-famiglia e delle aree del Paese. A questo andrà aggiunto un impatto inflazionistico il cui effetto atteso sui prezzi al consumo è vicino a 1,5 punti percentuali. Gli aumenti Iva, però non colpiranno solo famiglie e imprese, e infliggeranno un grave colpo alla competitività del Paese.

Quest’ultimo “effetto collaterale” è evidente soprattutto nel turismo, dove l’Italia sta percorrendo la strada di una sorta di “fiscal dumping” al contrario: nel 2014, quando le due aliquote cresceranno di un altro mezzo punto percentuale, il nostro Paese avrà infatti l’Imposta di valore aggiunto più alta di tutta la zona Euro. Da notare il forte divario che riguarda gli alberghi: la media IVA dell’Eurozona è dell’8,3% quella italiana è superiore di cinque punti e si attesta al 12,5%.

Fonte: confesercenti.it

Elsa Fornero dalla parte delle donne

di Vera MORETTI

Il Ministro del Lavoro Elsa Fornero pensa all’occupazione femminile e al dualisrmo nord-sud, in vista della prossima riforma del lavoro, che dovrebbe prevedere “sgravi fiscali e migliori servizi anche nel settore della formazione, da finanziare anche con il Fondo sociale europeo“.

Arriverà a fine marzo la riforma da tutti attesa, che, a quanto pare, si rivolgerà in particolar modo a giovani, donne e anziani e che sarà frutto di una tavola rotonda con le parti sociali.

L’attenzione è posta in primo luogo sul riordino dei contratti di lavoro, colpevoli, con le troppe tipologie ora presenti, di aver creato, più che flessibilità, molta precarietà.
Inoltre, il progetto di un mercato del lavoro dinamico non potrà prescindere da un nuovo sistema di ammortizzatori sociali, basilari quindi all’interno della riforma.

Le donne sono, in questo momento, “oggetto di studio” per i cambiamenti che verranno, perché, se ora la loro presenza nei cda delle società quotate è più bassa della media europea, “le cose cambieranno e anche rapidamente“.
Ma il problema dell’occupazione femminile non riguarda solo “le alte sfere”, perché, anche in questo caso, l’Italia è fanalino di coda in quando a percentuale di donne lavoratrici, l’8% contro una media europea del 12,5%, con un notevole divario tra nord e sud.

Ma, anche qui, sembra che si stia per arrivare ad una svolta, poiché “grazie a un’iniziativa trasversale delle forze politiche ed alla mobilitazione delle organizzazioni il Parlamento ha approvato una legge che porterà rapidamente le donne a rappresentare il 20% nei board e molto rapidamente un terzo e sono fiduciosa che le società la rispetteranno“.

Per quanto riguarda il problema, scottante e, ahimè, sempre attuale, della disoccupazione, il Ministro ha dichiarato: “Se facciamo i sussidi per la disoccupazione, non abbiamo bisogno della cassa integrazione straordinaria. Penso che abbiamo un problema di esclusione per quanto riguarda gli ammortizzatori. Alcune categorie sono completamente escluse dall’accesso a qualcosa che è sostegno al reddito. Il nostro primo principio è l’universalismo, dobbiamo farlo a parità di risorse e di costi, per questo stiamo andando con il lanternino per vedere la redistribuzione delle risorse“.

La cassa integrazione ordinaria, invece, va rafforzata “entro certi limiti” mentre quella straordinaria “va considerata per le riorganizzazioni, le ristrutturazioni e le soluzioni di crisi, per un periodo di tempo definito“.

Cruciale, per poter continuare su questa linea, sarà l’incontro previsto per lunedì con le parti sociali, per mettere altri importanti tasselli a costituzione della riforma, complessa ma vitale per l’Italia.

Gennaio: fiducia dei consumatori stabile

A gennaio, la fiducia dei consumatori resta stabile a 91,6.

Peggiora l’indice relativo alla componente economica (da 77,1 a 75,3) e migliora quello riferito alla situazione personale degli intervistati (da 97,3 a 97,9). Scende l’indice che misura le previsioni a breve termine (da 82,5 a 78,4), mentre sale quello relativo alla situazione corrente (da 98,4 a 102,3). In particolare, si deteriorano le aspettative sull’andamento generale dell’economia Italiana (il saldo scende da -56 a -67) e crescono le aspettative di disoccupazione (da 87 a 97 il saldo delle risposte). Scende anche il saldo relativo alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -85 a -94).

Migliora, invece, quello sulla convenienza dell’acquisto di beni durevoli (da -99 a -88 il relativo saldo), anche se le intenzioni di acquisto futuro peggiorano significativamente (da -58 a -68). Circa i prezzi al consumo, il saldo dei giudizi sull’evoluzione recente aumenta da 65 a 69 e quello sull’evoluzione nei prossimi dodici mesi diminuisce da 58 a 57. Il clima di fiducia dei consumatori migliora nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno e peggiora nel Nord- est e al Centro.

Il quadro economico generale 
A gennaio, migliorano i giudizi espressi dai consumatori sulla situazione economica corrente del paese, con il saldo che risale da -137 a -125, ma peggiorano le relative attese per i prossimi 12 mesi (da -56 a -67 il saldo). Le previsioni sull’evoluzione della disoccupazione segnano un netto aumento, con un saldo delle risposte che passa da 87 a 97. Per quanto riguarda i prezzi, il saldo relativo all’andamento degli ultimi 12 mesi aumenta da 65 a 69, mentre quello relativo alle previsioni per i prossimi 12 mesi diminuisce da 58 a 57.

La situazione personale
A gennaio, i consumatori esprimono giudizi leggermente meno sfavorevoli circa la situazione economica della propria famiglia (da -57 a -56 il saldo) e previsioni per i successivi mesi lievemente più negative (da -31 a -32 il saldo). Migliora in misura significativa il saldo dei giudizi sul bilancio finanziario della famiglia (da -8 a -2). Riguardo al risparmio, peggiorano sia i giudizi sull’opportunità corrente (il saldo passa da 151 a 148) sia le attese future sulle effettive possibilità di risparmiare (da -85 a -94). Per quel che riguarda i beni durevoli, migliora il saldo dei giudizi sulla convenienza all’acquisto immediato (da -99 a -88), ma peggiorano le intenzioni di acquisto futuro (da -58 a -68). Le consuete domande trimestrali circa alcune spese di particolare impegno evidenziano l’aumento delle intenzioni di ’acquisto dell’autovettura (da -187 a -183 il saldo) e dell’abitazione (da -193 a – 191), e il lieve calo di quelle relative alle spese di manutenzione straordinaria dell’abitazione (da – 163 a -164) .

Il dettaglio territoriale
Il clima di fiducia dei consumatori migliora nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno e peggiora, invece, nel Centro e nel Nord-est. Nord-ovest: l’indice della fiducia sale da 91,3 a 92,7, grazie al miglioramento di tutte la componenti dell’indice, ad eccezione di quella relativa al clima futuro che scende da 83,0 a 80,8. Nord-est: la fiducia dei consumatori diminuisce da 93,3 a 90,6 risentendo del sensibile calo degli indici relativi alla situazione economica e a quella futura. Centro: l’indice di fiducia diminuisce passando da 91,8 a 91,5 soprattutto a causa del calo dell’indice relativo alla situazione futura. Mezzogiorno: l’indice sale da 90,9 a 91,2, spinto dall’aumento della componente corrente (da 98,7 a 102,4).
Lo rende noto l’Istat.

Fonte: agenparl.it