Parte la corsa allo shopping di Natale

Manca poco più di un mese a Natale e, puntuale come ogni anno, si apre la stagione dello shopping natalizio. File interminabili ai negozi, tra strenne, abeti decorati e idee regalo di ogni tipo, e uno sguardo diffidente al portafoglio. Coldiretti ha stimato che per il Natale 2011 gli italiani avranno a disposizione un budget per gli acquisti pari a 625 euro a famiglia.

L’analisi condotta sulla base dell’indagine “Xmas Survey 2011″ di Deloitte, che evidenzia un calo del 2,3% nei consumi rispetto al 2010, oltre che una maggior propensione agli acquisti di alimenti e bevande, rispetto ai pacchetti regalo. Cambiano cioè le preferenza per la spesa, con il 40% degli italiani che mette al primo posto il cibo con il 40%, seguito dai regali con il 39% , i viaggi 13% e le attività di socializzazione, con solo il 7% .

Gli italiani appaiono però più legati alle tradizioni delle feste natalizia rispetto ai cugini europei: Coldiretti rivela che durante un mese di shopping natalizio la spesa stimata per gli italiani sarà superiore del 6,5% alla media europea, che è ferma a 587 euro a famiglia.

In Italia si spenderanno per Natale più di 2 miliardi di euro in prodotti alimentari tipici. L’agroalimentare Made in Italy può contare infatti su una varietà di 230 prodotti a denominazione o indicazione di origine protetta riconosciuti dall’Ue e 4.606 specialità tradizionali censite dalle regioni. Per chi al cibo preferisce il nettare di Bacco, sono 517 i vini in Italia a denominazione di origine controllata (Doc), controllata e garantita (Docg).

Alessia Casiraghi

Vino e motori “Made in Italy”: gioie, dolori e l’incapacità di fare sistema

di Danilo DELLA MURA

Che cosa può mai accomunare una bottiglia di vino e un’automobile? Apparentemente nulla. Anzi, in termini di sicurezza stradale dovrebbero stare molto lontane l’una dall’altra. Ma se parliamo in termini economici, di cifre, di vendite e di esportazioni, il mercato del vino italiano presenta molte, e purtroppo non felici, similitudini con il settore delle quattro ruote Made in Italy.

Per capirne il perché, iniziamo dando uno sguardo ai freddi numeri, relativi alle vendite e alle esportazioni di vino. In particolare alle vendite e alle esportazioni di vino spumante italiano: le famose “bollicine Made in Italy”.

Nei giorni scorsi sono stati presentati i dati Istat relativi alle esportazioni di vini spumanti italiani, durante i primi 8 mesi dell’anno in corso. Dati incoraggianti, positivi: + 21%. Dati, oserei dire, più che positivi, tenendo conto che il boom delle vendite deve ancora venire. Dicembre, da sempre, è il mese clou per le vendite di vino, in particolare del vino spumante e con Natale e Capodanno alle porte, il già positivo trend  non può che migliorare. Tutti felici, tutti contenti.

Ma proviamo ad andare oltre ai semplici titoli. Proviamo a leggere con attenzione anche le restanti pagine dello studio Istat. Pagine scritte a caratteri a dir poco piccoli, e forse per questo sfogliate velocemente, con poca attenzione. Da questi dati emerge una situazione non più così rosea.

Innanzitutto: è vero che le esportazioni di vino spumante italiano, da gennaio ad agosto 2010, sono cresciute del 21%, ma sono dati riferiti alle quantità, ai volumi, ovvero al numero di bottiglie. Se parliamo di  valore, la crescita è quasi dimezzata: +11%. In altre parole: esportiamo più bottiglie, ma a un prezzo più basso.
 
Altro dato poco confortante, anzi direi preoccupante: l’andamento del valore unitario riferito sempre al vino spumante italiano. Nei primi otto mesi dell’anno in corso, il valore unitario ha subito una flessione dell’8%. Il prezzo medio di un litro di “bollicine Made in Italy” è passato da 2,7 a 2,5 euro. Rapportato al prezzo di una bottiglia (da 0,75 l), si è passati da 2 euro a 1,87 euro. Preoccupante.

Ma non basta. Se ci focalizziamo sulle bollicine più pregiate, ovvero sul vino spumante “secco”, lo scenario si fa ancora più cupo. Da gennaio ad agosto 2010, la flessione del prezzo unitario di un litro di vino spumante secco “Made in Italy”, ha toccato il 13%, con un prezzo medio al litro di 2,8 euro (2,1 euro a bottiglia).

E qui torniamo alla domanda iniziale: che cosa accomuna il mercato del vino italiano a quello delle quattro ruote nostrane? Come il settore automobilistico, anche quello enologico si sta posizionando agli estremi del mercato. In Italia produciamo, da un lato, grandi auto sportive, performanti, di lusso: Ferrari e Maserati, per fare due nomi. Dall’altro produciamo piccole autovetture, city car per utilizzare un termine in gran voga: 500 e Panda per fare altri due nomi. Ma siamo carenti sui segmenti più acquistati, ambìti ma alla portata di molti, come il segmento delle grandi berline e dei Suv. Segmenti, dove, lo sappiamo, si costruisce l’immagine del brand e, soprattutto, si realizzano i margini superiori.

Allo stesso modo, il vino italiano, sui mercati internazionali, da un lato è ben rappresentato da un ristretto numero di prestigiose etichette. Costose e preziose, ma consumate da pochi, e in occasioni particolari. Ma, dall’altro lato, troviamo un vasto numero di piccole, medio piccole aziende costrette a far leva sul fattore prezzo. E, purtroppo, gran parte del nostro export è rappresentato dai vini di quest’ultime aziende.

Purtroppo sappiamo quale è stata l’evoluzione, anzi l’involuzione, del mercato delle quattro ruote italiane. Nonostante ciò, nonostante i dati sopra analizzati, sembra che nessuno, dal piccolo produttore ai grandi consorzi di tutela, se ne preoccupi. Eppure la causa di tutto, il vero problema, è conosciuto da tutti: l’incapacità di “fare sistema”. Quella stesa incapacità di creare una comune politica di comunicazione, di immagine e di promozione, che caratterizza molti dei nostri settori nazionali. Abbiamo il prodotto giusto, ma non sappiamo farlo conoscere

Prima di tutto al mercato domestico. L’Italia può vantare una varietà e una vastità di diverse tipologie di vini che neanche la Francia può vantare. Ma ognuna di queste singole realtà, entra in competizione con le altre. Tutte alla ricerca del proprio, piccolo momento di gloria. Alzi la mano chi sa quante sono le DOCG italiane. Forse qualche sommelier più esperto saprà che ormai hanno sfondato quota cinquanta. E molte altre sono le DOC in attesa di aggiungere la tanto bramata “G”.
 
E nel frattempo, da un lato, i francesi fanno bella mostra delle loro bottiglie sugli scaffali più prestigiosi al mondo, dall’altro, Australia, Cile e Nuova Zelanda, invadono i mercati con vini buoni, ma economici, per il piacere quotidiano di americani, britannici, tedeschi e austriaci, ovvero i nostri più importanti mercati di sbocco. Prosit.