Pressione fiscale e tax day, i conti della Cgia

Il 16 dicembre scorso è stata una data campale per i contribuenti italiani, che fra Imu, Tari, Tasi, ritenute Irpef e imposte varie hanno versato al fisco la bellezza di 44 miliardi di euro, avendo prova di quanto può essere pesante la pressione fiscale in Italia.

I conti li ha fatti meritoriamente, come sempre, la Cgia, che ha calcolato come il versamento dell’Iva abbia garantito l’importo più cospicuo, 16 miliardi di euro; dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti sono arrivati 12 miliardi, mentre l’ultima rata dell’Imu, è costata agli italiani 10,6 miliardi. La Tasi ha portato nelle casse dei Comuni 2,3 miliardi, la Tari 1,9, mentre il versamento dell’Irpef dei lavoratori autonomi ha portato al fisco 1 miliardo. Buone ultime l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Tfr e le ritenute sui bonifici per le detrazioni Irpef, con 231 e 72 milioni di euro. E poi si parla di alleggerire la pressione fiscale

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, questo vero tax day è arrivato in un periodo, quello di fine d’anno, molto delicato soprattutto per le aziende: oltre all’impegno con il fisco, in questi giorni devono corrispondere anche le tredicesime ai propri dipendenti. E con il perdurare della crisi, questo impegno economico rischia di diventare per molti imprenditori un vero e proprio stress test. Una pioggia di scadenze che potrebbe mettere in seria difficoltà molte famiglie e altrettante piccole imprese a causa della cronica mancanza di liquidità”.

Senza contare che, sempre la Cgia, ha stimato come per l’anno che si sta per chiudere, la pressione fiscale in Italia è prevista al 43,3%, un livello tra i più elevati d’Europa. “Ma la pressione fiscale reale – dice Bortolussi – vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il “peso” dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50%, attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale. Un carico fiscale spaventoso”. Una pressione fiscale “reale” che, conclude la Cgia, è giunta a questo risultato perché il Pil nazionale include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi.

Niente “nero” in Emilia Romagna

Uno studio condotto dal Centro Studi Sintesi sull’economia sommersa, ovvero sui lavoratori “in nero” che non denunciano i loro guadagni al fisco, ha stilato una classifica delle regioni “virtuose”, ovvero dei luoghi dove i consumi sono più aderenti ai guadagni dichiarati.

Gli indicatori di benessere presi in considerazione sono sette e comprendono, ovviamente, le auto di lusso e le mega ville, e sono condensati tutti in un rapporto di ricavi e spese, risultato dei quali rappresenta la media nazionale.

Su una media di 100, dunque, le località che ottengono un punteggio superiore sono quelle in cui i consumi sono “giustificati” dai redditi, se il punteggio e’ più basso si spende mediamente più di quanto si dichiara al fisco.

La regione “regina” è l’Emilia-Romagna, che spicca sulle altre con 147 punti (media nazionale di 100), perdendone però 3 rispetto al passato. Al secondo posto c’è il Friuli Venezia Giulia, al terzo il Piemonte; sei anni fa accanto all’Emilia-Romagna c’erano la Lombardia e il Trentino Alto Adige.

Secondo la “mappa fiscale” del Paese, la provincia più fedele è invece Trieste, seguita da Milano, e Bologna che completa il podio.

Tra le province emiliane, dopo Bologna che è terza (149 punti, meno uno al confronto con un anno fa), Forli-Cesena è quarta (131, più 11), Parma ottava (126, meno quattro), Modena è undicesima (122, meno cinque), Ravenna quattordicesima (119, più otto), Reggio Emilia 19ma (116, più 15), Piacenza 24ma (115, meno 12), Ferrara 45ma (103, meno 42). Ultima, maglia nera della regione, Rimini, che si piazza al 59mo posto della classifica italiana e si ferma ad un punteggio pari a 95 e registra un meno otto rispetto al 2006.

Il commento pervenuto dalla provincia di Rimini in un comunicato è eloquente: “Questi dati ci segnalano ancora una volta la profondità del problema fiscale nel territorio riminese, anomalo anche rispetto alle aree dall’economia omogenea. Gli strumenti per intervenire non stanno sulla luna, molti stanno in capo all’esecutivo centrale, qualcuno di meno agli enti locali. Ma e’ la convinzione della priorità della ‘guerra’, come l’ha definita lo stesso Presidente Monti, l’elemento centrale di ogni strategia di contrasto”.

Positivo, invece, il commento del sindaco di Cesena Paolo Lucchi, il quale ha dichiarato: “Dopo il poco invidiabile exploit della scorsa settimana, quando la nostra provincia si è classificata al primo posto per l’aumento dei reati denunciati, questa volta la posizione alta e’ un segnale positivo, se e’ vero che l’evasione fiscale ha effetti devastanti per l’economica del nostro Paese, tanto da indurre il primo ministro Mario Monti, in genere sempre molto misurato, a parlare di un vero e proprio ‘stato di guerra’”.

Vera MORETTI

Pressione fiscale da record: sale al 55%

Un pressione fiscale effettiva pari al 55%. L’Italia detiene il primato della pressione del Fisco più alto al mondo,  oltre che il più elevato della propria storia economica recente.

Se la pressione fiscale apparente nel 2012 si è stabilizzata su livelli pari al 45,2% del Pil, la pressione effettiva percepita sale però di ben 10 punti.  E’ quanto rileva il rapporto del Centro studi di Confcommercio ‘Sulle determinanti dell’economia sommersa’.

Il valore della pressione fiscale effettiva “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente – precisa Confcommercio – ma costituisce un record mondiale assoluto”.

L’Italia si posiziona infatti in cima alla classifica con il 55%. seguita da Danimarca (48,6%), Francia (48,2%) e Svezia (48%). Il dato è invertito se si guarda alla pressione fiscale apparente: per l’Italia si attesta al 42,5%, è il Belpaese  questa volta è quinto dietro la Danimarca (47,4%), la Francia (46,3%), la Svezia (45,8%) e il Belgio (45,8%).

Come convivono dunque i due dati? Il problema reale per l’italia è il sommerso: se si guarda infatti al rapporto tra pressione fiscale e Pil al netto del sommerso, che vale il 17,5% del Prodotto interno lordo, allora la pressione fiscale effettiva in Italia sale al 55%. Un’incidenza estremamente elevato quello dell‘evasione fiscale in Italia:  l’imposta evasa ammonterebbe infatti a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). Anche in questo caso, un record mondiale per l’ Italia: il Belpaese è infatti  al primo posto al mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) per quanto riguarda l’evasione fiscale.

Fisco, avanti coi blitz. Azione o vessazione?

di Davide PASSONI

Show must go on, cantavano i Queen. Una canzone che al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, doveva girare in testa quando ieri ha presentato il Rapporto sui risultati del 2011 e le prospettive per il 2012 dell’Agenzia. Sì, perché nel mare di cifre e dati uscito dal rapporto, la cosa che giornalisticamente fa più notizia è che i blitz in stile Cortina, Portofino eccetera continueranno: “Rientrano nella nostra attività ordinaria e proseguiranno – ha detto Befera -. Si tratta di operazioni che vengono messe in campo dopo una selezione accurata. Non controlliamo chi passa per caso“.

Venendo alle crude cifre, nel 2011 sono stati incassati 12,7 miliardi, +15,5% rispetto al 2010. Di questi, i versamenti diretti ammontano a 8,2 miliardi, il riscosso da ruoli a 4,5 miliardi. L’incremento delle somme incassate direttamente dall’attività di accertamento e di liquidazione delle dichiarazioni ha interessato tutte le tipologie di contribuenti: dai grandi (31% del totale del risultato) alle imprese di piccole dimensioni e i lavoratori autonomi (25%), alle persone fisiche (27%). A fronte di una diminuzione del numero di accertamenti (-1,2%, da 706mila a 697mila), la maggiore imposta accertata è aumentata del 9,3% e ha superato la quota di 30,4 miliardi contro i 27,8 del 2010.

Caso o non caso, intanto che i Befera Boys presentavano le cifre del loro lavoro nel 2011, l’Eurispes diffondeva il suo rapporto sull’economia sommersa: un fenomeno che, in Italia, vale 540 miliardi di euro, il 35% del nostro Pil. Le rilevazioni dell’Eurispes sono impietose: il 53% dell’economia in nero è rappresentato dal lavoro sommerso, il 29,5% dall’evasione fiscale di aziende e imprese, il 17,6% dalla cosiddetta economia informale. Un mondo che non interessa solo i grandi evasori: secondo Eurispes, coinvolge tanti cittadini comuni che lavorano in nero, magari come secondo lavoro.

Anche per questo i blitz dell’Agenzia delle Entrate continueranno. Sia chiaro, chi scrive è favorevole a questo tipo di iniziativa: certo, si fa come quando, a scuola, il professore entrava in classe e annunciava il compito in classe a sorpresa, di fatto veniamo trattati come dei bambini. Ma l’effetto psicologico dei blitz vale infinitamente di più delle somme che vengono recuperate. Non avete notato come sono diventati ligi allo scontrino i dettaglianti? Eppure bisogna stare molto attenti a distinguere queste iniziative dall’accanimento fiscale contro gli imprenditori onesti che non sono evasori per il solo fatto di avere un’impresa propria e che, come spesso accade, le tasse le pagano, anche oltre il lecito. Questo è il vero discrimine per separare l’azione dalla vessazione, visto che praticamente nulla si può fare per eliminare l’asimmetria fiscale per cui lo Stato pretende ed esegue quando è a debito, dilaziona e glissa quando è a credito. Quanti altri imprenditori onesti, sennò, decideranno ancora di darsi fuoco?

Lavoro in nero nuovo ammortizzatore sociale?

I lavoratori in nero, ovvero coloro che, pur producendo e guadagnando, rimangono invisibili agli occhi del Fisco, sono quasi 3 milioni.

Si tratta di una cifra enorme, se si considera che questo piccolo esercito produce circa 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5 del Pil nazionale.

Per quanto riguarda le risorse pro capite, si tratta di evasioni fiscali annue di 709 Euro di media.

Sono dati resi noti dalla Cgia di Mestre, commentati così dal segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: “L’economia sommersa ha ormai assunto connotati molto preoccupanti. Tuttavia, le differenze territoriali sono evidentissime. Oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, sempre additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno.”

La regione più ad richio risulta essere la Calabria, con 184.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3% e 1.333 euro di imposte evase.

Questa situazione, ovviamente, non giova al Paese e certo non contribuisce a farlo risollevare. Anzi, a questo proposito, le stime che riguardano la condizione economica e finanziaria italiana sono da correggere per difetto.

Anche se, Bortolussi vuole aggiungere una provocazione, che dovrebbe far riflettere sullo stato in cui versa l’Italia: “Il sommerso costituisce un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno di noi vuole esaltare il lavoro nero, spesso legato a doppio filo con forme inaccettabili di sfruttamento, precarietà e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività riconducibili alle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena elencate, costituiscono, in questi momenti così difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese“.

Vera Moretti