Pensione da sogno a incubo

Se una volta l’approdo alla pensione era guardato con speranza e attesa, adesso la tendenza dei lavoratori in età pensionabile, almeno in Europa, sembra quella di aspettarsi poco o nulla dal momento in cui smetteranno di lavorare, vivendo grazie allo Stato.

Una situazione fotografata molto bene dai risultati della seconda edizione del Barometro Edenred-Ipsos 2015 sul benessere e la motivazione dei dipendenti europei, presentati nei giorni scorsi.

Dallo studio, che analizza soltanto il cluster dei lavoratori tra 55 e 64 anni, emerge che gli italiani sulla soglia della pensione si dimostrano i più pessimisti sia sulla loro attuale condizione lavorativa, sia sulle prospettive future.

Nello specifico lo studio, condotto da Ipsos in 14 Paesi europei e promosso da Edenred, rivela che:

  • Quando pensano agli anni che li separano dalla pensione, gli italiani si sentono i più sfiduciati in Europa (52%) e tra i meno motivati insieme ai francesi (55%);
  • Quando, invece, pensano proprio alla pensione, solo il 20% dei connazionali ha già fatto dei piani e dichiara di percepirla “abbastanza vicina”, dato di gran lunga inferiore alla media europea (35%).

Se la pensione appare una chimera, la situazione non migliora osservando il livello di soddisfazione lavorativa degli italiani 55-64enni:

  • Solo il 37% degli italiani si dichiara felice al lavoro, terzo posto nella classifica dei Paesi più tristi, insieme a Polonia e Repubblica Ceca
  • Riguardo alla qualità della vita sul posto del lavoro, il nostro Paese è penultimo con solo il 25% degli intervistati soddisfatti della propria situazione. Peggio di noi solo gli spagnoli.

E i datori di lavoro italiani si interessano al benessere dei propri dipendenti sulla soglia della pensione? Quasi uno su due (45%) è attento ma non abbastanza da farci primeggiare in Europa, dove ai primi posti svetta il Regno Unito (67%), seguito dall’Olanda (65%).

 

Se, al di là dei discorsi sulla pensione, si considera il riconoscimento dell’impegno lavorativo, l’Italia si conferma fanalino di coda (46%), appena prima di Polonia e Francia.

Benefit aziendali? Vince la formazione

I benefit aziendali sono una discriminante che un peso sempre maggiore nella scelta di un posto di lavoro. Spesso, infatti, alla qualità dei benefit aziendali che un’impresa eroga ai propri dipendenti, è vincolata la qualità della vita di questi ultimi, che dovrebbero ritenersi fortunati già ad avere un lavoro. Ma un benefit è un benefit…

Su quale siano l’importanza e il gradimento dei benefit aziendali da parte dei dipendenti, si è espressa in maniera chiara l’annuale classifica dedicata al benessere dei dipendenti in azienda, realizzata da Ipsos per conto di Edenred. Ebbene, dall’indagine è risultata questa top 10 di gradimento dei benefit aziendali:

  • investimenti in formazione;
  • salute e prevenzione attraverso assistenza sanitaria, screening e assicurazioni integrative;
  • pacchetti di benefit welfare su misura;
  • buoni pasto;
  • gestione dello stress tramite servizi mirati;
  • aiuto per i trasporti;
  • sostegno per i consumi energetici;
  • asilo nido aziendale;
  • aiuto ai familiari non autosufficienti;
  • aiuto ai familiari per attività sportive e culturali.

Oltre a questo interessante spaccato sulle preferenze dei dipendenti italiani in fatto di benefit aziendali, dalla ricerca sono emersi altri dati degni di nota. Per esempio, ben il 42% dei dipendenti intervistati si è dichiarato soddisfatto della possibilità che gli viene data di portare avanti le proprie idee; inoltre, il 49% ha dichiarato che il suo superiore stimola il lavoro di squadra, il 46% che riconosce il diritto all’errore e il 32% che incoraggia l’assunzione del rischio.

Deducibilità buoni pasto, novità in vista

Qualcosa si sta muovendo nell’ambito della riforma sul regime fiscale dei buoni pasto e gli operatori del settore sono ottimisti. La Commissione Finanze della Camera esaminerà infatti la proposta d’innalzamento del valore esentasse del buoni pasto contenuta nei due emendamenti alla legge di Stabilità.

Le modifiche proposte dagli emendamenti sono di due tipi: nel primo caso si tratta di un aumento del valore esentasse fino a 7 euro dei buoni pasto in qualsiasi forma; nel secondo caso, l’innalzamento sarebbe di 6 euro per i buoni pasto cartacei e di 7 euro per i buoni pasto elettronici. La deducibilità dei buoni pasto, oggi, è di euro 5,29 per ogni giorno lavorato.

Nei mesi scorsi anche Anseb, l’associazione nazionale degli emettitori buoni pasto, in più di un’occasione si è espressa a favore di un aumento del  valore di deducibilità fiscale dei buoni pasto, presentando i vantaggi della riforma durante un convegno organizzato a Montecitorio con Fipe, Confcommercio, Cittadinanzattiva, Adiconsum, Adoc, Federconsumantori, Movimento Consumatori, Cgil, Cisl e Uil.

Andrea Keller, Amministratore Delegato Edenred Italia, ha espresso la propria soddisfazione per l’avvio dell’iter parlamentare: “Accogliamo con soddisfazione l’avvio dell’iter parlamentare di riforma di un sistema che attende dal 1998 un allineamento al costo della vita – ha affermato -. Gli studi condotti da OpenEconomics e Università di Tor Vergata sull’impatto del sistema dei buoni pasto nell’economia italiana mostrano dei numeri assolutamente interessanti. Su un valore del mercato di circa 2,8 miliardi di euro, il buono pasto e la catena di valore aggiunto già oggi rappresentano lo 0,72% del PIL; un aumento del valore esentasse a 7 euro porterebbe il settore a rappresentare lo 0,90% del PIL con conseguente aumento di entrate fiscali, valore aggiunto nei pubblici esercizi e maggior potere di acquisto sui lavoratori. Siamo certi che aumentare il valore dell’esenzione fiscale del buono pasto contribuirà a far ripartire i consumi e che le ripercussioni positive si vedranno non solo a livello individuale, con un incremento del potere d’acquisto subito fruibile e che non può essere distratto nel settore del risparmio, ma anche a livello dell’intero sistema Paese.”

Buoni pasto, dove e come spenderli

Ormai i Ticket Restaurant hanno preso sempre più piede nella vita quotidiana di professionisti, piccole imprese, dipendenti. Un successo che dipende da tanti fattori: la loro praticità, i vantaggi fiscali per chi li utilizza e anche, soprattutto, la loro spendibilità pressoché in ogni bar o ristorante.

Sì, perché la rete di esercizi convenzionati in Italia è sterminata. Sono oltre 120mila i punti nei quali poter spendere i buoni pasto: bar, ristoranti, locali, negozi, supermercati, tavole fredde, tavole calde e persino fast food, tanto nella grande città quanto nella piccolo paese di provincia. Tutti gli esercizi convenzionati sono facilmente riconoscibili dall’adesivo posto sulla vetrina e sulla porta d’ingresso e, grazie a questo, hanno l’obbligo di accettare i buoni pasto come pagamento del pranzo.

Trovare i locali del network che accettano i Ticket Restaurant è semplicissimo! Sul sito Ticketrestaurant.it è infatti disponibile un pratico motore di ricerca: basta inserire nei menu a tendina la regione e, per maggiore completezza, provincia, comune, CAP e tipologia di esercizio e il motore individua i locali convenzionati più vicini.

Al professionista e al dipendente, però, interessano di più bar e ristoranti rispetto a supermercati e negozi di alimentari. Se la pausa pranzo deve essere un momento di stacco, che lo sia in tutti i sensi: senza pensieri  e senza avere l’assillo di quanto spendere.

Ma quanto può risparmiare a tavola chi utilizza i Ticket Restaurant al bar o al ristorante? Il conto è presto fatto. All’importo del pranzo (per esempio: primo, contorno, acqua e caffè: 8 euro) va sottratto l’importo netto del buono pasto (per esempio 5,20 euro); la differenza di 2,80 euro deve essere saldata in contanti perché i buoni pasto non sono cumulabili e non danno diritto a resto in denaro.

Attenzione poi a verificare la scadenza riportata sul fronte di ciascun buono pasto: un buono pasto scaduto non può essere utilizzato e il ristoratore ha il diritto e il dovere di rifiutarlo. Un’accortezza in più da avere per evitare che la pausa pranzo con Ticket Restaurant da senza pensieri diventi una seccatura.

Per ulteriori informazioni o per acquistare i propri ticket, il mondo di Ticket Restaurant è a portata di clic su Ticketrestaurant.it.

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Liberi professionisti e buoni pasto: matrimonio all’insegna della convenienza

 Cari lettori, continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del mondo dei Ticket Restaurant.

Se la scorsa settimana vi abbiamo spiegato i vantaggi fiscali per l’azienda ed i benefici economici per il dipendente, questa settimana proviamo a spiegarvi i benefici economici e fiscali per i liberi professionisti.

Ebbene sì, un libero professionista può usufruire di questi buoni pasto acquistandoli direttamente anche da Internet, consumandoli negli esercizi commerciali convenzionati e potrà dedurre il 75% delle spese così come detrarre tutta l’IVA al 10%, fino a un importo massimo pari al 2% del fatturato.

I ticket restaurant sono in tutto e per tutto titoli di credito che valgono come moneta corrente e con i quali è possibile acquistare il pranzo, pagare una cena, o ancora meglio fare la spesa (in questo ultimo caso, solo selezionando i prodotti alimentari con IVA inferiore al 10%).

I liberi professionisti sanno quanto sia sempre poco e soprattutto “prezioso” il tempo da dedicare al cibo: e se al posto di dannarsi con spiccioli e prelievi ci si affidasse ai ticket restaurant, battezzati così da una delle più importanti aziende che li distribuiscono?

Un buono quotidiano che  fornisce un certo supporto nel risparmio di ogni giorno.

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Buoni pasto, un risparmio per l’azienda e il dipendente

Il buono pasto è un benefit molto più pregiato e ricercato di quanto non sembri. Spesso le aziende lo usano come incentivo per i propri dipendenti e sia le prime che i secondi, è un dato di fatto, lo apprezzano. Per molti motivi. Intanto, i dipendenti ne traggono un sicuro vantaggio economico, dal momento che possono guadagnare qualche centinaia di euro in più al mese; le aziende, invece, possono incentivare i propri dipendenti senza dover sottostare a ingombranti oneri fiscali.

Secondo le attuali regole, i buoni pasto sono esclusi dal reddito imponibile fino a un massimo complessivo giornaliero di 5,29 euro. Se da un lato ne guadagnano i dipendenti – il valore dei buoni pasto non concorre al reddito soggetto a tassazione -, dall’altro il datore di lavoro può corrispondere loro parte del reddito sotto questa forma senza il pagamento degli oneri previdenziali.

Ci sono comunque poche e semplici regole che, nella gestione e nella somministrazione di buoni pasto, vanno rispettate. In primis le aziende non possono corrispondere ai propri dipendenti buoni pasto in misura maggiore rispetto alle giornate di effettiva presenza in azienda. Poi i ticket non sono cedibili, commerciabili, cumulabili e non possono essere convertiti in denaro contante; devono essere utilizzati per il loro intero valore nominale ed entro un limite temporale indicato sugli stessi. Piccole norme che, però, ne determinano l’uso corretto.

Alla fine, però, quello che più aiuta a comprendere vantaggi e risparmi che derivano dall’impiego dei buoni pasto – tanto per le imprese quanto per i lavoratori – sono le cifre, sempre loro. Meglio, quindi, incentivare in denaro o in buoni pasto?  E qual è l’effettivo risparmio per un datore di lavoro che incentiva i propri dipendenti con i buoni pasto? Per rispondere a questa domanda ci aiuteremo con degli esempi pratici.

DENARO. L’azienda X vuole offrire a un proprio dipendente Y un bonus giornaliero di cinque euro circa in denaro contante. Per farlo, il controvalore di questo bonus per l’azienda è di € 8,62 + € 3,47 di oneri previdenziali + € 2,87 di ratei tredicesima, quattordicesima, festivi, ferie, TFR + € 0,64 di IRAP + € 0,24 di IRE su Irap. Ossia un totale di 15,84 euro spesi dall’azienda, contro 5,16 euro incassati dal dipendente.

BUONI PASTO. L’azienda X vuole incentivare un proprio dipendente Y offrendo un bonus giornaliero di cinque euro circa, però erogato attraverso i buoni pasto. Il valore del bonus per l’azienda è di € 8,62 – € 0,79 di oneri previdenziali – € 2,66 di medie 34% IRPEF. Ossia 5,17 euro spesi dall’azienda, a fronte di 5,16 euro ricevuti dal dipendente attraverso il buono pasto.

Inutile sottolineare che non c’è confronto. E se poi il dipendente incentivato è anche un dipendente motivato… allora ticket forever!

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I dipendenti chiedono più benefit ma le aziende non ascoltano

 

Quali sono le attività di welfare aziendale già attuate o in via di progettazione da parte delle imprese italiane? Quali sono gli obiettivi, le difficoltà, le prospettive per il futuro e le valutazioni? Questi e altri temi sono stati indagati dall’istituto AstraRicerche, che nel mese di luglio ha condotto una ricerca per conto di Edenred.

Dalla ricerca emerge che le aziende e i lavoratori sono assolutamente d’accordo in particolare su un aspetto: i piani di welfare aziendali sono di grande interesse ma attualmente non sono sufficientemente ampi (il 45% degli imprenditori/dirigenti non è ancora soddisfatto del proprio welfare aziendale) e secondo il 70% dei manager intervistati andranno sviluppati nei prossimi 2/3 anni.

Dopo aver intervistato più di 800 lavoratori sui bisogni legati al welfare aziendale, l’indagine si è concentrata su manager e imprenditori di circa 400 aziende, sia italiane che multinazionali, chiamati a rispondere sulla propria offerta di welfare aziendale, le potenzialità e gli ostacoli.

Tra i motivi per cui molte aziende non offrono piani di welfare ci sono i costi (effettivi e presunti: 55%) e le difficoltà connesse alla crisi economica che penalizza molti settori e porta inevitabilmente a sfoltire i budget destinati alla formazione e alla cura del personale.

Tuttavia, se viene confrontata l’offerta effettiva con i desideri dei lavoratori, è evidente che esiste un divario rilevante, in particolar modo per tutti i servizi non strettamente legati all’alimentazione.

Analizzando il panorama dei servizi attualmente offerti dalle aziende emerge che l’alimentazione la fa da padrona (il 79% del campione offre buoni pasto oppure una mensa interna); seguono i benefit legati alla flessibilità del lavoro come il telelavoro o l’orario ridotto (58%) e i servizi legati all’assistenza medica o burocratica (36%).

Intanto le imprese italiane hanno ben chiari gli obiettivi che sono allineati alla percezione dei dipendenti: migliorare il clima aziendale (86%) e accrescere la soddisfazione delle risorse umane (55%), segue il desiderio di dare una spinta alla produttività (51%), raccogliere vantaggi di immagine (50%) e di apprezzamento interno ed esterno sul terreno della corporate social responsibility (CSR).

I dipendenti intanto rimproverano alle proprie aziende l’incapacità d’individuare e soddisfare le reali esigenze e preferenze (lamentata dal 38% dei dipendenti e da un 22% degli dirigenti).

Marco Poggi