Cibus, Gdo e made in Italy

Il Cibus di Parma non è solo una grande vetrina per l’eccellenza enogastronomica italiana, ma anche e soprattutto un luogo nel quale si mette in luce il ruolo fondamentale che l’agroalimentare ha nell’economia italiana.

In questo ambito si è il convegno sulla marca del distributore italiana all’estero, con la presenza di catene distributive estere (l’americana Mittel e l’inglese Waitrose) e italiane (Coop, Conad, Auchan, Finiper), organizzato dal Gruppo Food.

Dal convegno di Cibus è emerso che cresce l’interesse della Gdo straniera per la marca del distributore italiana, spesso con rapporti diretti tra le catene e i produttori italiani. Tanto più che il made in Italy, nel retail estero, si distingue come prodotto di alta qualità che nobilita la gamma dell’offerta. Si cerca infatti un prodotto italiano tradizionale autentico e facile da cucinare, e il margine di crescita della marca privata all’estero è ampio.

Un focus particolare è poi stato fatto a Cibus sui cosiddetti alimenti funzionali, ossia, citando Wikipedia, gli “alimenti, freschi o trasformati, naturalmente ricchi di molecole con proprietà benefiche e protettive per l’organismo, importanti nella pratica nutrizionale perché, se inseriti in un regime alimentare equilibrato, svolgono un’azione preventiva sulla salute”. Il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, ha osservato che “il comparto degli alimenti funzionali in Italia ha raggiunto nel 2015 un fatturato di 2,4 miliardi di euro, con un aumento dell’8% sul 2014. E’ evidente la netta differenza di passo col fatturato aggregato del food and beverage italiano che, per il terzo anno consecutivo, l’anno scorso è rimasto fermo a quota 132 miliardi”.

Una importante voce di bilancio per le aziende agroalimentari che se ne occupano. “La voce complessiva ‘integratori alimentari, infanzia e dietetici’ – ha infatti spiegato ancora Scordamagliaha raggiunto nel 2015 una quota di fatturato di 3,4 miliardi di euro con un +5% sull’anno precedente. La crescita è stata inferiore a quella degli integratori (che sono di gran lunga la voce più performante) in quanto il segmento infanzia, al contrario, soffre. Nei prossimi anni è prevedibile una conferma del passo espansivo di questi alimenti che si distinguono come uno dei segmenti a più alto valore aggiunto e maggiormente premianti del mercato alimentare e che comincia a suscitare interesse anche all’estero per l’eccellenza e la qualità delle materie prime”.

Un settore del quale, nel mercato dell’alimentare, non tutti conoscono le potenzialità e che Cibus ha avuto il merito di portare all’attenzione non solo degli operatori, ma anche del pubblico degli appassionati di alimentazione e cucina. Due driver importanti non solo per la vita quotidiana di ciascuno di noi, ma anche per l’economia nazionale.

Cibus 2016 e l’eredità di Expo 2015

È partito ieri a Parma Cibus 2016, l’appuntamento annuale con le eccellenze dell’agroalimentare italiano celebrate come chiave per il successo e lo sviluppo economico dell’Italia nel mondo.

L’evento di Parma arriva in un altro anno importante per l’agroalimentare italiano. Dopo il 2015, nel quale Cibus partì in concomitanza con l’avvio di Expo 2015 e con il suo focus sull’alimentazione, ora è il momento di inquadrare l’appuntamento a un anno di distanza dall’Esposizione Universale di Milano, per valutare l’eredità lasciata da quest’ultima.

Un’analisi alla quale ha pensato Coldiretti, che rileva come un anno dopo l’inizio di Expo 2015 i suoi effetti si sono fatti sentire sul turismo, con un aumento delle spese e degli arrivi degli stranieri nel 2015 che ha fatto registrare il record delle esportazioni di alimenti e bevande: 36,9 miliardi, con un aumento dell’8% rispetto al 2014.

Secondo l’analisi di Coldiretti, un terzo della spesa degli stranieri in vacanza in Italia è oggi destinato a pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per acquistare prodotti enogastronomici.

Le spese dei viaggiatori esteri in Italia – si legge nel rapporto di Coldirettisono cresciute nel 2015 del +3,8%, superando i 35,5 miliardi di euro con benefici diffusi sull’economia nazionale. Tra i Paesi di provenienza, sono i francesi a registrare l’andamento più dinamico, seguiti dagli abitanti del Regno Unito e dai tedeschi, ma molto positiva è stata anche la crescita della spesa degli statunitensi, secondo i dati del Ciset. Il cibo grazie ad Expo 2015 si consolida come componente determinante della vacanza Made in Italy. Si tratta della principale voce del budget turistico che ha addirittura superato persino quella dell’alloggio. Un risultato reso possibile dal primato nell’enogastronomia conquistato dall’Italia e indubbiamente sostenuto dall’Esposizione Universale che ha fatto conoscere al mondo la realtà enogastronomica nazionale”.

Coldiretti ricorda che “Expo 2015 è stata visitata da 21,5 milioni di persone, un terzo delle quali stranieri che hanno apprezzato l’esposizione ma anche colto l’opportunità di visitare luoghi turistici del Belpaese e di gustare i prodotti del territorio, con il cibo che per quasi 2 turisti stranieri su 3 (62%) è in testa alla classifica degli acquisti in Italia, secondo l’indagine Nielsen”.

I cibi nazionali più apprezzati dagli stranieri – prosegue Coldirettisono il vino, che nel 2015 ha raggiunto un valore record delle esportazioni di 5,4 miliardi che lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola Made in Italy all’estero. Al secondo posto si posiziona l’ortofrutta fresca, con un valore stimato in 4,4 miliardi nel 2015, mentre al terzo posto sul podio sale la pasta, che raggiunge i 2,4 miliardi. Nella top five ci sono anche i formaggi, che hanno raggiunto un export stimato a 2,3 miliardi, mentre la classica “pummarola” fa salire la voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi. Infine l’olio di oliva, che raggiunge i 1,4 miliardi a pari merito con i salumi”.

In linea con i risultati dello studio è il commento del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo: “L’Italia ha saputo cogliere l’opportunità di Expo 2015 per raccontare al mondo il modello agroalimentare e i suoi valori unici. L’agricoltura italiana è diventata la più green d’Europa con il primato europeo di 282 prodotti a denominazione di origine Dop/Igp riconosciuti dall’Unione, 405 vini Doc/Docg, la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a chilometri zero, ma anche la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati”.

Formaggio italiano sotto attacco

Non c’è pace per il formaggio made in Italy. Se, da un lato, è una delle eccellenze gastronomiche italiane più apprezzate ed esportate al mondo, dall’altro è vittima di contraffazione e indegni taroccamenti all’estero. E, in Italia, è uno dei prodotti più rubati nei supermercati.

Secondo una stima di Coldiretti, infatti, ai danni, per esempio, del Parmigiano si registra una percentuale di furti tripla rispetto alla media dei prodotti rubati supermercati italiani, dove nel 2015 è stata trafugata merce per un valore di 2,95 miliardi.

L’analisi di Coldiretti è stata presentata in occasione dell’incontro su Sicurezza e criminalità, promosso nei giorni scorsi a Reggio Emilia, per evidenziare i fenomeni criminali che mettono in pericolo il formaggio e il settore lattiero-caseario made in Italy.

Il fenomeno dei furti di formaggio, in particolare di Parmigiano, non colpisce però solo i supermercati. Anche le aziende casearie e i magazzini sono spesso visitati da ladri e bande organizzate che, secondo quanto rileva Coldiretti, vanno sul sicuro scegliendo le forme migliori (40 kg, stagionatura di 24 mesi) e rivendendole al mercato nero con il conseguente crollo dei prezzi sul mercato.

Oltre ai furti fisici in Italia, come ricordato il formaggio di casa nostra subisce anche continui furti di identità all’estero, con una fioritura di formaggi taroccati incredibile. Secondo Coldiretti, la produzione delle imitazioni di formaggio made in Italy, in primis Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ha superato i 300 milioni di kg nel mondo, poco meno della metà prodotti negli Usa.

Un attacco che penalizza un sistema, quello della filiera del Grana e del Parmigiano, fatto di 363 caseifici artigianali della zona tipica, dove si ricava il formaggio dal latte prodotto in 3348 da 245mila mucche.

Per il resto, il formaggio taroccato viene prodotto in buona parte del Sudamerica, in Russia e in Australia. Per non parlare dell’Europa, dove a farla da padroni sono gli ex Paesi in orbita sovietica: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia.

L’ enoturismo italiano cresce, ma…

L’offerta turistica italiana è ampia e variegata, non sempre all’altezza del prodotto che vende e quasi sempre incapace di fare sistema. Quest’ultimo è un punto dolente dell’Italia in generale, ancor più grave in settori che potrebbero dare al mercato turistico italiano una spinta importantissima. Come nel caso del cosiddetto enoturismo.

L’occasione per fare il punto su questo strepitoso segmento del turismo italiano è venuto dalla presentazione del 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo, che si tenuta la scorsa settimana alla Bit di Milano, a cura delle Città del Vino.

I numeri dell’ enoturismo italiano nel periodo 2014-primo semestre 2015 sono incoraggianti e parlano di una crescita. Nel periodo considerato, infatti, il settore dell’ enoturismo ha fatto registrare una spesa per visite in cantina di circa 2,5 miliardi di euro, con un numero di turisti del vino superiore ai 10 milioni.

I dati del rapporto sono stati elaborati in base a un’indagine svolta su un campione di 80 aziende dall’Osservatorio Nazionale sul Turismo del Vino di Città del Vino, in collaborazione con l’Università di Salerno, e dicono che quando si parla di enoturismo è bene considerare non solo la visita e lo shopping in cantina, ma anche tutto l’indotto che intorno a esso ruota, in primis l’hospitality.

È questa, infatti, la ragione per cui il fatturato delle cantine legato all’ enoturismo e relativo al 2014 è di 214,5 milioni, con una proiezione a 242,5 per il 2015. Segno che il delta tra queste cifre e i 2,5 miliardi di cui sopra deriva in buona parte dall’indotto.

La spesa media dell’enoturista in Italia è di 193 euro, derivanti da acquisti di bottiglie, visite ai vigneti o alle cantine, degustazioni, pernottamenti ecc. Va da se che la spesa per l’acquisto di bottiglie è la voce più rilevante sul totale, pari a più del 70%, mentre le altre voci sono solo la parte residuale dell’indotto da enoturismo.

Il 12esimo Rapporto sull’ Enoturismo ha anche stilato un ritratto dell’enoturista tipo, del numero di arrivi e della capacità e propensione alla spesa di chi fa turismo per vino. A differenza dei fatturati i numeri degli arrivi sono meno aleatori: si parla infatti di oltre 10 milioni nel 2014, con una proiezione a quasi 14 milioni per il 2015. Numeri che tratteggiano un +31,7% per gli arrivi di turisti in cantina e un +32% per la spesa legata all’ enoturismo.

Si tratta quindi di un settore, quello dell’ enoturismo, dai numeri buoni ma dalle potenzialità di sviluppo illimitate, da spingere particolarmente in un periodo nel quale le tensioni geopolitiche in Paesi esteri a forte vocazione turistica, una generale ripresa dei consumi e l’amore degli italiani e degli stranieri per il vino di casa nostra sono condizioni ottimali per favorire l’afflusso enoturistico nel Paese. Tutto sta a intraprendere politiche di promozione efficaci e a imparare, almeno in settori chiavi per la nostra economia, a fare sistema. Fosse facile…

Un nuovo distretto per il made in Italy in Cina

Da alcuni mesi l’economia della Cina è in frenata e i consumi, specialmente per quello che riguarda i beni di importazione, ne stanno risentendo. Il made in Italy cerca però di difendersi nel modo in cui sa fare meglio: attaccando.

Ne è una dimostrazione la nascita, nella Free Trade Zone di Tianjin, di Ta Italy – Italian Food District, polo dedicato all’eccellenza delle aziende alimentari made in Italy. L’idea è quella di strutturare il polo secondo tre direttrici di base: una zona B2B, divisa in moduli che caratterizzano la produzione dei diversi territori italiani; una zona B2C; una zona da adibire a scuola professionale di cucina territoriale e al mondo della ristorazione. Ampio spazio anche a eventi, fiere e corsi di formazione nel settore enogastronomico dell’eccellenza italiana.

Il tutto distribuito su una superficie complessiva di 22mila mq, di cui 8mila destinati al cash & carry delle eccellenze enogastronomiche italiane. Questo vero e proprio food district made in Italy avrà una presenza significativa all’interno della città, dal momento che si articolerà in parte nel centro e in parte nella cosiddetta Free Trade Zone.

L’anima dell’idea e del progetto è italo-cinese, dal momento che nasce dalla famiglia Zheng, imprenditori in Italia da più generazioni che hanno capito lo straordinario peso che il made in Italy ha come biglietto da visita per affermarsi su un mercato come quello cinese.

Ta Italy – Italian Food District si rivolge a una clientela trasversale, fatta di buyer della grande distribuzione, titolari di supermarket, hotel, ristoranti, enoteche ma anche profili più consumer come famiglie e professionisti che abbiano in comune la passione per il made in Italy.

eBay dà una mano all’ enogastronomia italiana

Finalmente un po’ di sensibilità nei confronti dell’ enogastronomia italiana da parte dei big del commercio elettronico. eBay ha infatti annunciato che, a partire dal 2 aprile prossimo, azzererà le commissioni sul valore finale pagate dal venditore professionale sul prezzo del prodotto venduto online attraverso la piattaforma di e-commerce del proprio sito italiano.

Del resto, per eBay il food in generale e l’ enogastronomia italiana in particolare sono due galline dalle uova d’oro. Nel 2014, le categorie food del sito italiano hanno fatto registrare una crescita del 17%, con un valore medio d’acquisto di 31 euro. E le previsioni di eBay per il 2015 sono di un ulteriore incremento.

Una crescita in valore che, specialmente per l’ enogastronomia italiana, ha dei grandissimi margini di miglioramento se, come ha rivelato un’indagine dell’osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2014 il comparto del food ha cubato solo l’1% del totale del commercio elettronico in Italia, contro, per esempio, il 13% del Regno Unito.
Una mossa, quella di eBay, che è una grossa mano per l’ enogastronomia italiana, anche in vista di Expo2015 e del focus che l’esposizione universale ha sul cibo. Ricordiamo che, attualmente, i venditori professionali che su eBay operano nelle categorie food pagano una commissione dell’8,7% sul prezzo del prodotto venduto. Questa commissione si azzererà tra meno di un mese.

Un’agevolazione all’ enogastronomia italiana che arriva anche dall’azzeramento delle tariffe d’inserzione per i venditori professionali.

Come ha sottolineato Claudio Raimondi, Country manager di eBay in Italia, durante una tavola rotonda organizzata da eBay con il ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche), “l’enogastronomia italiana gioca un ruolo strategico nell’economia così come nel markeplace eBay. Questa iniziativa è parte di una più ampia strategia finalizzata a supportare le aziende italiane, in particolare le PMI, fornendo loro una piattaforma di business unica, capace di sostenere i loro affari e le loro strategie d’internazionalizzazione a costi contenuti, in modo sicuro, completo e affidabile“.