Letta e Giovannini al lavoro per cambiare la Riforma Fornero

Il Governo Letta ha pochi giorni di vita ma le sue prime intenzioni sono già ben chiare: sia Enrico Letta sia Enrico Giovannini sono concordi nel dichiarare che la Riforma del Lavoro va cambiata al più presto.

Nonostante i tentativi operati dall’ex ministro Elsa Fornero, è necessaria maggior flessibilità, soprattutto quando si tratta di apprendistato e contratti a tempo determinato.
Tra i provvedimenti ai quali si sta pensando, c’è un’ulteriore riduzione delle pause tra un contratto a termine e l’altro, allungate dalla Riforma Fornero da 10 a 60 giorni per i contratti fino a sei mesi e da 20 a 90 giorni per gli altri, favorendo la proroga di contratti a termine.
Le pause dovrebbero essere ridotte anche per i contratti collettivi.

Giovannini vorrebbe intervenire anche sul causalone, che riguarda i contratti di durata superiore ad un anno, rendendo meno rigide le condizioni di applicabilità della causale, oppure sostituendola con un meccanismo diverso, ad esempio una soglia numerica di contratti a termine in azienda.

Neppure l’apprendistato rimarrà come Elsa Fornero l’aveva voluto, poiché si studia un modo per potenziarlo, magari rimuovendo i paletti per l’assunzione di nuovi apprendisti da sostituire con incentivi.
Ciò che spinge il Governo a modificare il provvedimento è il desiderio, e la necessità, di promuovere il lavoro giovanile.
I saggi propongono: miglior utilizzo dei fondi europei, credito d’imposta per i lavoratori a bassa retribuzione, da non limitare ai soli giovani, miglior alternanza dei periodo scuola-lavoro, introduzione di un apprendistato universitario, sul modello tedesco o austriaco, magari addirittura prevedendo corsi di laurea triennali sotto forma di apprendistato.

I temi del lavoro sono stati affrontati anche durante la tournèe che Enrico Letta ha effettuato spostandosi da Berlino a Parigi, fino ad arrivare a Bruxelles, durante la quale il neo presidente ha voluto rassicurare i partner europei sul rinnovato impegno dell’Italia nell’osservare i vincoli di bilancio ma senza dimenticare le riforme tanto annunciate.

Vera MORETTI

Le famiglie tagliano le spese, anche quando si tratta di cibo e sanità

Non era mai successo, nella storia recente del Paese, che i consumi privati si riducessero.
Ma il 2012 ha segnato una riduzione delle spese, da parte delle famiglie, del 4%, segnale di una crisi che sta obbligando i cittadini a tagliare su tutto ciò che viene considerato superfluo.

A rendere nota questa triste tendenza è Enrico Giovannini, presidente Istat, il quale ha anche ricordato come, nell’anno passato, il potere d’acquisto sia diminuito del 4,8%.
Conseguenza di ciò è, dunque, un taglio netto e una rinuncia a tutto quello che viene definito non utile: dagli svaghi per il tempo libero alla cultura, dall’arredamento di casa a una cena al ristorante, tutto viene accantonato, in attesa di tempi migliori.
Ma, purtroppo, ad essere “ritoccate” per difetto sono anche le spese dedicate a cibo e sanità: nel primo caso, si sceglie il punto vendita più economico, che spesso non è garante di prodotti di qualità, e nel secondo caso si rimandano visite e controlli medici, a cominciare dalle visite dentistiche, spesso colpevoli di alleggerire il portafoglio degli italiani.

Tutto ciò avviene a causa di una concreta riduzione del reddito derivante dall’attività imprenditoriale e un aumento del prelievo fiscale: le tasse, sempre più moleste ed invasive, certo non aiutano chi si trova in affanno.
Nonostante ciò, risparmiare è sempre più difficile, anche se un lieve miglioramento è stato rilevato nei primi tre mesi del 2013.

Giovannini ha dichiarato: “Le famiglie acquistano nei posti più economici riducendo qualità e quantità dei prodotti acquistati. E lo fa il 62,3% delle famiglie, con un aumento del 9% negli ultimi 9 mesi. Al Sud si è passati dal 65% al 73%. Ma ci sono state variazioni anche al Nord e al Centro. In generale sono diminuite le spese non necessarie per la casa (arredamento), il tempo libero e la cultura”.

Segnali positivi arrivano solo dalla domanda estera e infatti sono molte le imprese, anche medie e piccole, che si stanno rivolgendo ai mercati internazionali, in attesa che qualcosa si smuova anche in Italia.

A soffrire di questa congiuntura negativa è anche il tasso di occupazione, arrivato a febbraio 2013 al 56,4% e una diminuzione dei lavoratori pari a 219 mila unità.
La disoccupazione, di conseguenza, è arrivata all’11,6%, in aumento dell’1,6% rispetto a 12 mesi prima, con punte del 37,8% tra i giovani, in crescita del 3,9% rispetto al 2012.
Il tasso di posti vacanti è diminuito ed è stato pari a circa la metà di quello rilevato un anno prima. Nel 2012 c’è stata una diminuzione sia nell’occupazione industriale che nei servizi.

Vera MORETTI

Anno nuovo… politica vecchia

di Vera MORETTI

La polemica che riguarda gli stipendi troppo alti dei parlamentari italiani è sempre molto viva e, alla luce di quanto emerso dal sondaggio reso noto dal presidente Istat Enrico Giovannini, verrà alimentata di nuove argomentazioni.

Pubblicati sul sito della Funzione Pubblica, i risultati offrono a noi italiani uno scenario tristemente noto, che segnala un primato che, siamo certi, non avremmo mai voluto avere: i parlamentari italiani godono delle indennità parlamentari più alte d’Europa.

I dati, però, sono “del tutto provvisori e di qualità insufficiente per una utilizzazione ai fini indicati dalla legge” perché occorre fare una media tra le indennità lorde, attestate a 11.283 Euro, e una diaria da 3.500 Euro non sembra così immediato.

L’unica, ma magra, consolazione è che le spese dei nostri deputati, per quanto riguarda collaboratori e portaborse, sono “solo” di 3.690 Euro al mese, contro i 9.100 euro al mese della Francia e i 14.700 euro della Germania, dove i collaboratori sono pagati dal Parlamento e non rientrano nelle spese di segreteria e rappresentanza come da noi.

Ma questo non serve a placare gli animi perché, dati alla mano, i parlamentari nostrani arrivano ad avere uno stipendio che supera i 16.000 Euro, record europeo, con i francesi che,al secondo posto, ricevono 13.500 Euro al mese.
La differenza la fanno le indennità, perché, se in Italia siamo a 11.283 Euro, nei Paesi Bassi si scende a 8.550, in Germania a 7.668, in Francia a 7.100, fino ad arrivare in Spagna con “solo” 2.813 Euro mensili.

Ma se si tratta di un calcolo forfettario, e se neppure la Commissione è riuscita a fare un calcolo più preciso, come sarà possibile abbassare drasticamente queste cifre? Insomma, la situazione in cui stiamo fa bene sono ai politici. Ancora una volta.

Manageritalia unita per il bene del Paese

Si è appena concluso il congresso quadriennale di Manageritalia, la federazione nazionale dei dirigenti italiani che vanta 35mila associati. Temi centrali del convegno sono stati concretezza ed impegno attivo al fine di collaborare con Stato ed Istituzioni e superare insieme la crisi.

A questo proposito, il presidente di Manageritalia Guido Carella parla di una crisi a livello globale, e non solo economica, che coinvolge anche gli organismi di rappresentanza e, ovviamente, la politica. Per uscire da questa situazione, Carella ha proposto di cambiare modelli, per poter finalmente coniugare interessi e benessere della categoria con quelli della collettività. Parole importanti, dunque, che si auspica vengano seguite a largo raggio, in un momento così delicato del nostro Paese.

I temi “caldi” inseriti nel programma dei due giorni di congresso sono stati suddivisi in tre categorie, ovvero rappresentanza e politica, lavoro e welfare, sostenibilità e crescita, accomunate, comunque, dalla voglia di concretezza, confermata dalle parole del presidente: “La crisi ci impone di prendere decisioni che siano efficaci nel presente ma abbiamo assoluto bisogno anche di decisioni che guardino con lungimiranza al futuro. Non possiamo permetterci, così come e’ stato negli ultimi quarant’anni, di mettere a serio rischio il futuro di due generazioni“.

A completare il concetto, e a proiettarlo nel prossimo futuro, è stato Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, ospite della prima giornata del congresso: “Dobbiamo riuscire a dare anche una prospettiva di medio termine in nome della quale pagare un prezzo oggi per stare meglio in futuro“. E ciò prevede di accantonare, almeno in parte, i propri interessi in favore di un obiettivo comune, come è emerso dai dibattiti del congresso dal titolo “I manager per l’Italia”.

A Manageritalia ha partecipato anche Silvestre Bertolini, presidente di Costituente Manageriale, un nuovo soggetto unitario nato lo scorso agosto che comprende quasi un milione di dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato e del quale Manageritalia fa parte. Bertolini ha commentato l’apertura dei lavori congressuali: “Ritengo che questo periodo di crisi che stiamo affrontando nasconda anche eccellenti opportunità. Di fronte a una crisi come questa non si può fare altro che pensare allo sviluppo e non si possono mantenere privilegi acquisiti nel tempo, ed e’ questo che Mangeritalia si pone come obbiettivo“.

Insomma, le responsabilità del periodo di difficoltà del Paese vanno spartite tra politici, classe dirigente e manager. Solo così tutte le categorie potranno rialzare la testa e riconquistare terreno in Europa.

Vera Moretti

La crisi porta gli italiani al low cost, ma occhio allo spreco

La fiducia dei consumatori italiani tocca il minimo dal luglio 2008 senza però essere arrivata alle famiglie. La sensazione è che esistano degli stabilizzatori automatici che rallentano la caduta. Gli italiani non hanno tagliato la voce «stadio» nei budget familiari. Il caso limite è quello del Napoli che a fine agosto ha visto 8 mila tifosi accollarsi il costo di una trasferta a Barcellona per seguire gli azzurri in un match amichevole.

Per rimanere in zona sport possiamo aggiungere che gli abbonati di Sky non sono diminuiti. Anzi. Mancano pochi giorni alla chiusura della trimestrale e le stime sono ottimistiche. La pay tv cresce al ritmo di 30-40 mila abbonati ogni tre mesi con un costo medio per abbonato pari a 43 euro al mese.

Il presidente dell’Istat Enrico Giovannini sostiene che fino alla bufera di agosto gli italiani erano rimasti dell’idea che la crisi fosse transitoria, che si dovesse aspettare che passasse la nottata e che bastasse in qualche modo stringere di un buco la cinghia. Giovannini pensa che nei prossimi mesi ci troveremo di fronte a una discontinuità.

Per cercare di spiegare la lenta metamorfosi italiana Giuseppe Roma, direttore del Censis, racconta la storia de L’Aquila, una città che ha perso dopo il terremoto 20 mila abitanti, in cui la ricostruzione è sostanzialmente a zero e nella quale in virtù della defiscalizzazione sono sorte tante piccole attività tutte a basso valore aggiunto. Il paradigma aquilano è un tipico comportamento adattivo italiano, si ottimizzano le risorse esistenti e si nasconde l’assenza di un progetto socioeconomico vero.

Milano è sociologicamente interessante anche per monitorare altri comportamenti adattivi. Un fenomeno interessante è quello legato all’espandersi dell’economia dei buoni pasto. Gli esercizi commerciali del centro puntano sempre di più sulla pausa pranzo degli impiegati. Sorgono nuovi punti di ristoro con un target ben preciso e i bar ristrutturano gli spazi in funzione della maggiore capienza di tavolini. Nello slang meneghino nasce l’ «ape», la cena di una fascia generazionale che va dai 25 ai 40 anni che  risolve il problema di un pasto a prezzi contenuti e per di più non rinuncia alla socializzazione.

Per capire come reagiscono gli italiani alla bufera economica il commercio è sicuramente un elemento chiave. I dati degli uffici/studi delle associazioni segnalano la chiusura di 10 mila piccoli esercizi ogni semestre in Italia, aggiungono che questa cifra è destinata ad aumentare vertiginosamente e tuttavia esiste un buon tasso di rotazione. Quello che si compra si consuma e le scorte sono ridotte al minimo.

Resta il risparmio. È chiaro che non se ne forma di nuovo, non ci sono però code davanti alle banche o alle società di gestione per ritirare i soldi già investiti. Del resto il portafoglio degli italiani è tra i più prudenti in Europa e l’investimento in azioni è circa al 20%.

Laura LESEVRE

L’Italia che ce la fa: in aumento le offerte di lavoro dalle piccole imprese.

Sembrerebbe aumentare l’offerta di posti di lavoro nelle piccole imprese dell’industria e dei servizi privati con almeno dieci dipendenti. Ad indicare questo dato incoraggiante è una rilevazione Istat fatta sul primo trimestre di quest’anno per la quale il tasso di posti vacanti risulterebbe pari allo 0,7%, con un incremento dello 0,1 % rispetto al primo trimestre del 2009.

Ovviamente l’Istat precisa che si tratta di una previsione, ad ogni modo sottolinea che questo dato potrebbe anticipare un’evoluzione positiva dell’occupazione. 

“Si evidenzia una ripresa del mercato del lavoro – ha commentato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, durante una conferenza stampa con il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini nella sede dell’Istituto – anche se c’è il pericolo di non soddisfare tempestivamente le vacancy pure a causa della carenza di professionalità richieste”.