Spesa pubblica e tasse locali? Impazzite

È un pozzo senza fondo la spesa pubblica italiana. Non passa settimana che qualche studio o ricerca non ci metta sotto al naso qualcuna delle follie. Questa volta ci ha pensato l’Ufficio studi della Cgia, segnalando che dal 1997 ad oggi la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 68,7%. In termini assoluti è cresciuta di quasi 296 miliardi: alla fine di quest’anno le uscite, sempre al netto degli interessi, ammonteranno a 726,6 miliardi di euro.

Il rovescio della medaglia è dato dalle entrate fiscali, che sono cresciute del 52,7%. A fronte di una variazione pari a +240,8 miliardi, il gettito complessivo previsto entro il 2013 ammonterà a 698,26 miliardi di euro. Ricordiamo che le entrate fiscali comprendono solo le tasse, le imposte, i tributi e i contributi pagati dagli italiani.

Le entrate tributarie, ossia solo imposte, tasse e tributi che costituiscono il 70% circa delle entrate fiscali totali, sono date dalla somma del gettito in capo alle Amministrazioni centrali e da quelle incassate dalle Amministrazioni locali. Nel periodo considerato l’incremento è stato del 58,8%. Ma se si analizza il trend delle tasse locali ci accorgiamo che sono praticamente “esplose”: +204,3% (pari, in termini assoluti, a +74,4 miliardi di euro), con un gettito che nel 2013 sfiorerà i 111 miliardi. Quelle centrali, invece, sono cresciute “solo” del 38,8% (pari a + 102,6 miliardi in valore assoluto), anche se nel 2013 le entrate di competenza dello Stato ammonteranno a ben 367 miliardi di euro. Tutti gli importi sopra citati, sottolinea la Cgia, sono a prezzi correnti, ossia includono anche l’inflazione).

La spesa pubblica, al netto degli interessi, ha dunque “viaggiato” ad una velocità superiore a quella registrata dalle entrate fiscali, anche se a livello locale la tassazione ha subito una vera e propria impennata. Ciò ha contribuito ad aumentare il carico fiscale generale, portandolo a toccare un livello mai raggiunto in passato; inoltre, alla luce di una spesa pubblica complessiva che in questi anni è sempre stata superiore al totale delle entrate finali, la dimensione del debito pubblico italiano è continuata a crescere in maniera allarmante.

Secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, “l’aumento delle tasse locali è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli Anni ’90. L’introduzione dell’imposta sugli immobili, dell’Irap, delle addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali. Non dobbiamo dimenticare che, negli ultimi 20 anni, le Regioni ed i Comuni sono diventati responsabili della gestione di settori importanti come la sanità, i servizi sociali e il trasporto pubblico locale senza aver ricevuto un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi. La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente, creando non pochi problemi di bilancio a molte amministrazioni locali che si sono difese facendo leva sulle nuove imposte locali introdotte dal legislatore”.

Nuovo ossigeno al mercato dell’auto

Rilanciare la competitività del mercato dell’auto attraverso la riduzione e razionalizzazione dell’imposizione fiscale e un intervento sui costi dell’energia. Sono queste le richieste di ANFIA, l’Associazione Nazionale Fra Industrie Automobilistiche, al nuovo esecutivo.

Continua il viaggio di Infoiva di questa settimana per ascoltare le richieste delle Associazioni di Categoria in Italia: oggi abbiamo intervistato Roberto Vavassori, Presidente di ANFIA.

Quali sono, a suo parere, le tre priorità che dovrà affrontare il nuovo Governo per rilanciare domanda e consumi?
Per rilanciare la domanda di autoveicoli, sono prioritarie una revisione della fiscalità sulle auto aziendali, una riduzione dell’RC Auto e una riduzione programmata delle accise sui carburanti. La recente riduzione della deducibilità del costo delle vetture aziendali ci ha allontanati un altro poco dall’Europa, visto che ad oggi, in Italia, abbiamo una quota di immatricolazioni di auto aziendali attorno al 30% all’anno, contro il 50% della Germania e del Regno Unito. Sul fronte delle tariffe assicurative, i costi possono essere ridotti grazie all’utilizzo della scatola telematica installata in auto, secondo la logica pay-as-you-drive, e all’introduzione di un sistema unitario di monitoraggio e rilevazione statistica della sinistrosità, che consenta di approfondire la conoscenza sulle circostanze degli incidenti, fornendo informazioni preziose anche, e soprattutto, in un’ottica di riduzione delle vittime della strada. Infine, una riduzione delle accise sui carburanti, se ben studiata, potrebbe non comportare perdite di gettito per l’Erario, se incrementassero, anche di poco, i chilometraggi medi.

Quali, invece, le politiche che dovrà mettere in campo per dare sostegno a imprese e professionisti, strozzati dalla crisi?
E’ urgente ricreare condizioni di maggior competitività attraverso un intervento sui costi dell’energia – con una riduzione di almeno l’80% della componente A3 per le imprese ad alta intensità energetica come quelle del settore automotive – l’introduzione di un credito d’imposta strutturale, o almeno della durata di 5 anni, per gli investimenti in R&D – sul modello della Francia, dove è al 30% – e un miglioramento delle condizioni di accesso al credito per le aziende, a tassi coerenti con quelli praticati dalla BEI, mentre ad oggi le aziende italiane pagano tassi più alti rispetto alle aziende concorrenti europee.

Per parte vostra, quali saranno le prime istanze che porterete al nuovo esecutivo? Chiederemo di attuare subito, con il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema della mobilità, un serio e improcrastinabile piano d’azione, che punti a dare ossigeno al mercato – in primis attraverso la riduzione e razionalizzazione dell’imposizione fiscale – e ad avviare le misure di politica industriale appena indicate, indispensabili per rilanciare la crescita e lo sviluppo.

Qual è l’errore più grave commesso dai precedenti Governi che non volete venga più commesso dall’Esecutivo che verrà?
Riteniamo non debba più accadere che provvedimenti impattanti sulle dinamiche del nostro comparto – che dà un contributo alle entrate fiscali dello Stato di oltre 65 miliardi di Euro l’anno, oltre il 15% del gettito fiscale nazionale e al 4,4% del PIL – vengano introdotti senza alcuna consultazione preventiva con le associazioni di settore, per un’analisi il più possibile approfondita delle problematiche che ci troviamo ad affrontare quotidianamente nel nostro rapporto con le aziende che rappresentiamo.

Alessia CASIRAGHI

Cresce il debito pubblico e cala la nostra fiducia

di Davide PASSONI

Potere dei numeri. Che la matematica non sia un’opinione è un dato di fatto, ma che ciascuno pieghi i numeri per far dire loro ciò che gli torna più comodo lo è ancora di più. Prendiamo i recenti dati sul debito pubblico: a giugno ha toccato quota 1.972,9 miliardi dai 1966,3 di maggio. Demerito, secondo il premier Monti, degli aiuti pagati dall’Italia ai partner europei in difficoltà, dato che “il nostro debito pubblico quest’anno ha raggiunto il 123,4% del Pil. Senza i contributi (per i fondi salva-Stati e i prestiti concessi ai Paesi in crisi) saremmo al 120,3%“.

Sarà anche vero, ma allora quanto sono state utili la stangata dell’Imu e l’aumento delle accise sull’energia che hanno portato nelle casse dello Stato 3,7 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012? Com’è che questo maledetto debito pubblico (il vero, grande problema dei conti italiani) continua a crescere nonostante i proclami e alcune, pavide iniziative della banda Monti? Ripetiamo, sarà anche vero: ma questo dare sempre la colpa agli altri, Germania ed Europa in primis, comincia a stufare.

Vero, si parla di settembre come del mese in cui cominceranno a vedersi i primi segni del miracolo: un intervento sul mostruoso stock di debito pubblico da abbattere con un piano mirato di dismissioni immobiliari, per arrivare a toccare un rapporto con il Pil pari al fatidico 100%. Ma intanto si prende ancora tempo e si fa strada persino l’ipotesi di un super-commissario ad hoc, un po’ come accaduto per la spending review. Là fu chiamato Enrico Bondi per aiutare i professori a capire dove e come tagliare la spesa pubblica, qui qualche altro Solone calato dall’alto insegnerà al governo come dismettere immobili pubblici. Le partecipazioni no, quelle no, sia mai… Peccato che lì di ciccia da recuperare ce ne sarebbe ancora e tanta… Ma evidentemente i professori hanno bisogno di un’altra persona che li aiuti a fare i compiti.

Paradosso in una terra di paradossi. E vedremo nei prossimi mesi, quando pian piano si esaurirà l’onda lunga della prima Imu, come andranno le entrate fiscali. Se ci sarà una flessione come accaduto nei mesi scorsi, allora il segnale sarà preoccupante: se le gente non ne ha più nemmeno per pagare le tasse, figuriamoci per mangiare. Ma intanto aspettiamo a dismettere e il debito pubblico sale. Tanto paga Pantalone… ops! Paga il cittadino e paga l’impresa.