La moda italiana approda in Borsa

L’eccellenza Made in Italy della moda e del design è pronta a fare il grande salto e ad approdare in Borsa.

Secondo Pambianco, società di consulenza nel campo della moda, dopo il debutto, previsto per oggi, di Moncler, altre prestigiose aziende seguiranno questa strada, per arrivare in Piazza Affari entro il prossimo quinquennio.

Nel 2012, le 50 big della moda italiana hanno registrato 15 miliardi di ricavi (+8,1%), ma in rallentamento rispetto al 2011 (quando le vendite erano salite del 10,8%) con una redditività media sui ricavi del 16,9% e un patrimonio netto complessivo di 10,4 miliardi.
Con questi numeri, secondo le stime di Borsa Italiana, le 50 matricole potrebbero raccogliere sul mercato tra 9 e 11 miliardi di euro di risorse da investire nella crescita.

Carlo Pambianco ha dichiarato: “Se tutte le aziende della moda e del lusso si quotassero raggiungerebbero una capitalizzazione di 26,1 miliardi“.
In pratica si raddoppierebbe il valore del comparto visto che l’attuale capitalizzazione delle aziende della moda e del lusso si attesta a 29,7 miliardi, di cui però Luxottica (17 miliardi) pesa per oltre la metà.

Pambianco mette sul podio della moda Giorgio Armani, Ermenegildo Zegna e Dolce&Gabbana, mentre su quello dell’arredamento compaiono Kartell, Flos e B&b.

Luca Peyrano, responsabile per l’Europa dei mercati azionari del London Stock Exchange Group, ha aggiunto: “Quasi il 60% delle quotazioni europee del lusso degli ultimi 4-5 anni sono state fatte a Piazza Affari. Milano vanta dunque una leadership nel settore. Del resto se il mercato italiano è spesso valutato a sconto rispetto ad altre piazze finanziarie, il settore del lusso italiano quota a premio“.

Nella lista delle future quotabili c’è Harmont & Blaine, che pensa a un Ipo per il 2017 e che sta per cedere una quota a un partner di private equity, prima di allora tra chi ha già venduto parte del capitale e non esclude la quotazione c’è Pianoforte Holding, Twin-Set Simona Barbieri, Elizabetta Franchi, Stroili Oro.

Al grande salto, comunque, sarebbero pronte tante grandi, a cominciare da Versace, che sta trattando la vendita di parte del capitale a un fondo, per arrivare a Furla, che ha valutato anche una quotazione a Hong Kong, sono tante le griffe italiane pronte al grande salto.

Vera MORETTI

Niente crisi per le aziende familiari

Gli esperti di economia che hanno passato al setaccio la situazione economica italiana, cercando di dare una spiegazione alla situazione di “stallo” attuale, hanno individuato, tra le principali cause, il numero elevato di aziende familiari.

Le imprese di questo tipo, infatti, spesso sono definite chiuse e poco avvezze al cambiamento, ma soprattutto incapaci di adeguarsi alla globalizzazione e ai canoni Ue.

In concreto, però, sembra che non sia così: a testimoniarlo è uno studio condotto da Guido Corbetta, titolare della cattedra AIdAF – Alberto Falck di Strategia delle Aziende Familiari all’Università Bocconi di Milano e presentato all’Incontro tra imprenditori e studiosi del settore organizzato dall’Associazione Borgo di Castellania: le imprese familiari vengono definite un “patrimonio di rilevanza sociale ed economica” per tutte le economie avanzate del mondo.

E a dimostrarlo sono i dati, sorprendenti e di gran lunga migliori di quelli statunitensi: se in Italia le aziende familiari sono l’82% della popolazione totale di imprese e rappresentano il 57% delle 7.105 aziende con ricavi superiori a 50 mln di euro in presenza di un trend occupazionale crescente anche in tempi di crisi, negli USA, il Paese considerato più avanzato in termini di funzionamento dei mercati, rappresentano oltre l’80% del totale delle aziende e il 50% delle imprese, assorbono il 59% della forza lavoro e generano il 49% del PIL.

E ancora, nei Paesi del G20 rappresentano il 50% delle imprese in Canada e il 90% in Turchia, con valori intermedi per Paesi come la Germania (79%, occupando il 57% della forza lavoro) e la Francia (83%, occupando il 49% della forza lavoro).

Sempre oltreoceano, ma questa volta in Brasile, le imprese a conduzione familiare costituiscono il 75% delle aziende di maggiori dimensioni e sono molto diffuse in India e in molti altri Paesi asiatici.

Inoltre, Achille Colombo Clerici, presidente dell’Istituto Europa Asia, ha dichiarato: “Tra il 2000 e il 2010 la capitalizzazione totale di borsa delle imprese familiari asiatiche è pressoché sestuplicata. Tendono a operare prevalentemente in settori tradizionali, in particolare quello finanziario (banche e immobili), industriale, dei beni di consumo ciclici e nei beni di prima necessità, poiché le aziende di proprietà di una famiglia sono storicamente conservative in termini di innovazione e investimenti in nuove attività ad alto rischio.
Solo nella Corea del Sud, a Taiwan e in India è presente una maggiore concentrazione di imprese familiari in campo tecnologico, in quanto tali economie hanno una struttura industriale a orientamento tecnologico.
Le aziende asiatiche a proprietà familiare costituiscono la spina dorsale delle rispettive economie. In termini di distribuzione regionale, si evidenzia una maggiore concentrazione di aziende nell’Asia meridionale, dove ha sede il 65 per cento di tutte le società quotate, rispetto al 37 per cento presente nell’Asia settentrionale.
L’India è il Paese che ospita il maggior numero di imprese familiari, il 67 per cento, mentre in Cina si riscontra la percentuale più bassa (13 per cento), a causa della sua struttura economica a gestione statale
”.

L’analisi di Corbetta ha contribuito a sfatare anche un altro mito, ovvero la scarsa longevità delle imprese familiari.
Infatti, tra le aziende italiane con ricavi superiori a 50 mln di euro, almeno una quarantina hanno più di 100 anni: alcuni esempi sono Barilla, Beretta, Buzzi, Cotonificio Albini, Falck, Fedrigoni Cartiere, Fiat, Fratelli Branca, Italcementi, Vitale Barberis Canonico, Zambon, Ermenegildo Zegna.

Per quanto riguarda le perfomance, invece, pare che le imprese familiari rappresentino un convincente modello di “capitalismo multiforme” in termini di struttura proprietaria, modelli di governance e di gestione adottati, oltre che di dimensioni conseguite e strategie competitive perseguite.

In Italia, poi, nonostante le aziende familiari abbiano sofferto molto la grave crisi economica, la maggior parte di esse ha saputo resistere continuando a creare ricchezza e a garantire occupazione, a testimonianza di un tessuto economico-produttivo “sano” e “vitale”.

Sono inoltre state individuate quattro condizioni che favoriscono la continuità e lo sviluppo di un’impresa familiare:

  • una proprietà responsabile;
  • una leadership aziendale capace e motivata;
  • una governance moderna;
  • un sistema di regole per la gestione del cambiamento dei fattori precedenti.

Vera MORETTI