Pensione di reversibilità e divorzio: quando ne ha diritto l’ex coniuge?

La pensione di reversibilità è anche conosciuta come pensione indiretta e pensione superstiti e si riconosce il diritto a percepirla solo a determinate categorie di “parenti stretti”, tra queste vi è il coniuge. Tra le novità introdotte da poco su pensione di reversibilità e divorzio vi è il riconoscimento del diritto a percepirla anche per il coniuge divorziato con addebito.

Pensione di reversibilità e divorzio

Quando una persona ha maturato i requisiti minimi per il pensionamento e perde la vita, ai parenti può spettare la pensione superstiti o di reversibilità. Il coniuge, anche se legalmente separato, ha diritto al 60% della pensione se è solo, 80% se ha un figlio e al 100% della pensione che avrebbe percepito il marito in presenza di due o più figli minori.

Ricordiamo che la separazione non fa venire meno gli effetti civili del matrimonio, ma semplicemente autorizza i coniugi a vivere separati. Al termine del periodo di separazione possono decidere se procedere o meno alla richiesta di divorzio. Proprio per questo non vi è alcun dubbio che il coniuge legalmente separato possa beneficiare della pensione di reversibilità, ma cosa capita in caso di divorzio? Particolarmente complicata potrebbe essere la situazione in presenza di diversi ex coniuge e concorrenza con il coniuge/vedovo.

Cosa succede però se i coniugi sono diversi, cioè se vi è più di un ex coniuge? In Italia la pensione di reversibilità spetta anche all’ex coniuge. Fino a pochi mesi fa il riconoscimento aveva luogo solo nel caso in cui era titolare di un assegno periodico divorzile. Questo vuol dire che l’ex coniuge che aveva preferito la liquidazione una tantum dell’assegno divorzile non aveva diritto a una quota della pensione di reversibilità. La stessa non spettava neanche all’ex coniuge che non aveva ottenuto l’assegno divorzile in quanto ha avuto l’addebito della separazione.

La circolare 19 del 2022 riconosce la pensione di reversibilità all’ex coniuge indipendentemente dal titolo della separazione

Tutto cambia con la circolare 19 del 2022 dell’INPS, questa infatti ha provveduto a rendere noti alcuni chiarimenti adeguandosi, tra l’altro, ad alcune sentenze della Corte di Cassazione.

La premessa della circolare ripercorre la disciplina.

La prima norma da ricordare è l’articolo 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 che riconosce il diritto a percepire la pensione superstiti per il coniuge che sopravvive, ma, sottolinea l’INPS, non prevede che per poterla percepire sia necessario il presupposto della vivenza a carico.

Segue la circolare 185 del 2015 dell’INPS in cui si sottolinea che la pensione superstiti spetta anche al coniuge che ha avuto l’addebito della separazione, se titolare di assegno alimentare.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione è andata però in diversa direzione riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità all’ex coniuge indipendentemente dal fatto che la separazione fosse o meno con addebito e che la parte fosse o meno titolare di un assegno divorzile. Proprio in ragione di ciò l’INPS ha emanato la circolare 19 del 2022 dove viene appunto riconosciuto il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità per il coniuge o ex coniuge anche se non era titolare di assegno di divorzio o di assegno alimentare.

Come si determina l’ammontare?

Ciò che resta difficile è invece determinare il quantum, soprattutto nel caso in cui ci sia concorrenza tra più coniugi. In genere il coniuge vedovo riceve una percentuale maggiore, ma per determinare l’ammontare devono essere considerati diversi fattori, ad esempio la durata del matrimonio. Non esistono però criteri fissi di riferimento, ecco perché nel caso in cui si ritenga che la determinazione fatta dall’INPS sia contraria ai propri interessi, è possibile proporre ricorso.

Per capire a chi viene riconosciuta la pensione di reversibilità, o superstiti, c’è l’approfondimento: Pensione superstiti, o di reversibilità: a chi spetta e a quanto ammonta

Assegno di mantenimento al coniuge: si conta nel reddito di cittadinanza?

Per ottenere il reddito di cittadinanza uno degli elementi fondamentali è avere un ISEE non superiore a 9.360 euro. L’ammontare del reddito di cittadinanza che effettivamente si può percepire dipende dal reddito ISEE, quindi più è alto e minori sono gli importi che si possono ricevere. Naturalmente una separazione/divorzio va ad incidere sulla situazione economica degli ex coniugi. Molti si chiedono: l’assegno di mantenimento al coniuge si conta nel reddito di cittadinanza?

Come cambia il reddito ISEE in seguito alla separazione/divorzio?

La prima distinzione di fatto è tra separazione e divorzio. La separazione è una situazione transitoria destinata a sfociare in un divorzio oppure in una riconciliazione (cosa rara). Con il provvedimento del giudice che autorizza a vivere separati, di fatto un coniuge lascia l’abitazione coniugale ed esce dal nucleo familiare. Questo è importante perché si determina un nuovo reddito ISEE. In questo caso l’assegno di mantenimento disposto da un coniuge verso l’altro è considerato reddito imponibile e di conseguenza deve essere dichiarato ai fini della dichiarazione ISEE.

Per determinare il reddito ISEE occorre però anche considerare l’affidamento dei figli. Di solito viene disposto l’affidamento congiunto con collocamento presso uno dei genitori. In questo caso i figli rientrano nel nucleo familiare, ai fini ISEE, del genitore presso il quale sono collocati. Per espressa previsione normativa, il mantenimento in favore dei figli disposto a carico di un genitore non rientra nel reddito imponibile del genitore collocatario.

Deriva da ciò che ai fini della determinazione del reddito ISEE si tiene in considerazione solo l’assegno di mantenimento in favore del coniuge, mentre non concorrono gli assegni disposti in favore dei figli. Il parametro però per misurare l’ISEE è il nucleo familiare composto anche dai figli. Da ciò si intuisce che un ex coniuge con figli collocati presso di lui avrà un reddito ISEE più basso rispetto al caso in cui i figli non siano presso di lui collocati.

Chi percepisce l’assegno di mantenimento può ricevere il reddito di cittadinanza?

Dalla premessa fatta si evince il diritto a percepire il reddito di cittadinanza per il coniuge che riceve l’assegno di mantenimento. L’importo del reddito di cittadinanza (che ricordiamo non può essere totalmente prelevato in forma liquida e non può essere usato in modo indiscriminato per tutti gli acquisti)  dipende molto dall’ammontare dell’assegno stesso, dalla titolarità di altri beni che concorrono a determinare il patrimonio, dalla disponibilità del diritto di abitazione sulla casa coniugale.

Naturalmente le disposizioni possono variare con il divorzio che rende definitiva la fine degli effetti civili del matrimonio e in un certo senso cristallizza la situazione. Ad esempio, il coniuge potrebbe chiedere la liquidazione una tantum e quindi rinunciare all’assegno di mantenimento mensile. In questo caso si potrebbe percepire una somma più elevata di reddito di cittadinanza. Il giudice potrebbe anche disporre il mantenimento solo per un periodo limitato di tempo, ciò in relazione all’età dell’ex coniuge e dalle reali possibilità di trovare una collocazione lavorativa adeguata alla formazione. In ogni caso anche in seguito al divorzio il reddito ISEE sarà calcolato tenendo in considerazione anche l’eventuale assegno di mantenimento percepito.

Chi versa il mantenimento può chiedere una revisione del provvedimento se l’ex coniuge percepisce il reddito di cittadinanza?

Provando però a fare il ragionamento a contrario emergono dei particolari interessanti. L’ex coniuge versava un determinato assegno di mantenimento, a un certo punto scopre che il beneficiario ha chiesto e ottenuto il RdC e quindi le sue condizioni economiche sono effettivamente cambiate. Può chiedere la revoca o la riduzione dell’assegno di mantenimento? La situazione è dubbia perché sembra un cane che si morde la coda. Infatti, nel determinare l’ammontare del Reddito di Cittadinanza, gli importi dell’assegno di mantenimento già sono stati considerati. Nel frattempo è però vero che il reddito è comunque aumentato. Il coniuge che versa potrebbe chiedere una riduzione. Spetta poi al Giudice decidere, sulla base di vari fattori da valutare, tra cui anche la temporaneità del Reddito di Cittadinanza, se ridurre gli importi a carico dell’ex coniuge o addirittura liberarlo da tale onere.

TFR e divorzio: quando l’ex coniuge ha diritto a una quota?

Il TFR, o liquidazione, è l’agognato Trattamento di Fine Rapporto molto agognato dai lavoratori e versato al termine del rapporto di lavoro, anche se può ora essere liquidato in busta paga su scelta del lavoratore. Ciò che molti non sanno è che ci sono diversi casi in cui in seguito a divorzio è comunque necessario versare una quota di TFR all’ex coniuge. Ecco i casi.

TFR e divorzio: la normativa vigente

Il Trattamento di Fine Rapporto, o liquidazione, costituisce una quota differita dello stipendio e il lavoratore la incassa al termine del rapporto stesso, sia in caso di licenziamento, sia in caso di pensionamento. L’articolo 12 bis della legge 898 del 1970, inserito nel 1987, prevede che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.        Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.”

La ratio della disciplina è riconoscere al soggetto economicamente più debole, che storicamente è la donna, una sorta di ricompensa o risarcimento per l’impegno solitamente profuso nell’accudimento della famiglia.

Requisiti per ottenere la quota di TFR

Il diritto del coniuge a percepire una quota del TFR nasce solo se la liquidazione si riscuote dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Emerge dall’articolo 12 bis che, affinché maturi il diritto per l’ex coniuge di percepire il TFR, è necessario in primo luogo che non sia passato a nuove nozze e in secondo luogo che percepisca un assegno di mantenimento periodico, solitamente la periodicità è mensile.

A tale proposito capita spesso che il coniuge, che in teoria avrebbe diritto a percepire l’assegno di mantenimento, preferisca una liquidazione una tantum al momento del divorzio stesso, in questo caso non vi è il diritto a percepire una quota di TFR. Un’altra piccola nota da sottolineare è che si fa riferimento solo alle nuove nozze del coniuge che avrebbe diritto a percepire il TFR, mentre non rileva il fatto che sia passato a nuove nozze il lavoratore. Inoltre non maturano il diritto al TFR i figli. Una piccola nota a questo punto è necessaria: sempre più spesso il giudice in sede di divorzio riconosce il diritto all’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole solo per brevi periodi, esortandolo quindi ad affrancarsi economicamente dall’ex coniuge, ciò incide sul diritto alla quota di TFR.

A quanto ammonta la quota di TFR per il coniuge divorziato

La quota di liquidazione spettante all’ex coniuge è del 40%, da calcolare però esclusivamente sull’ammontare maturato nel periodo in cui la coppia era ancora unita in matrimonio, comprendendo però anche la fase di separazione. Di conseguenza non basta la separazione di fatto, né giudiziale per far cessare il diritto di maturare la propria quota di TFR. Questo implica che, se anche il TFR viene percepito molti anni dopo la cessazione del matrimonio, l’ex coniuge comunque partecipa, ma solo per la quota maturata nel periodo del matrimonio stesso. Si tratta quindi di un assegno che spesso è di piccolo importo, soprattutto se il matrimonio è stato di breve durata.

Va sottolineato che l’ex coniuge non ha diritto a percepire una quota di TFR se lo stesso è oggetto di liquidazione prima della cessazione degli effetti civili del matrimonio, di conseguenza se il coniuge A riscuote il TFR nel periodo della separazione, il coniuge B non può poi pretendere le somme. Lo stesso principio si applica se si riscuote il TFR ancor prima della separazione giudiziale. Nel caso in cui la liquidazione del TFR avvenga nel periodo della separazione giudiziale, prima del divorzio, il coniuge nella fase di divorzio può chiedere che l’assegno di mantenimento sia adeguato alle nuove somme riscosse o che gli sia liquidata una quota.

Anticipi di TFR e divorzio

Un’altra questione che ha creato dubbi interpretativi riguarda il caso in cui il lavoratore abbia chiesto nel corso del rapporto di lavoro degli anticipi del TFR (ricordiamo che i casi in cui si può ottenere l’anticipo sono limitati, ad esempio per l’acquisto dell’abitazione o per spese sanitarie). La giurisprudenza in questo caso ha stabilito che su tali somme l’ex coniuge non può vantare diritti, quindi il calcolo di quanto gli spetterebbe si effettua esclusivamente sulle somme effettivamente percepite al momento della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni/pensionamento. Questa interpretazione è univoca nel caso in cui l’anticipio sia chiesto in costanza di matrimonio, se invece l’anticipo si ottiene dopo il divorzio, l’ex coniuge potrebbe vantare diritti anche su tali quote, infatti la giurisprudenza nel tempo non ha mostrato costanza nel dirimere la questione.

TFR e divorzio: cosa succede se il lavoratore muore prima di riscuoterlo

Si ricorda che il TFR non va perduto in caso di morte del lavoratore, bene, anche in questo caso l’ex coniuge ha diritto ad ottenere la sua quota dello stesso, ciò anche in concorrenza con l’attuale coniuge che eredite la rimanente parte. Inoltre per l’ex coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, è previsto che vi sia anche il diritto alla pensione di reversibilità anche in concorrenza con il coniuge attuale. E’ bene rammentare che in caso di morte il TFR si divide tra figli e coniuge e in alcuni casi parenti entro il terzo grado, ciò anche se gli stessi non abbiano accettato l’eredità (art 2122 del codice civile).

L’ex coniuge come può ottenere il TFR?

Sia chiaro, nel momento in cui il datore di lavoro liquida il TFR al lavoratore, è estraneo ai rapporti di coniugio ed ex coniugio e di conseguenza semplicemente liquida il Trattamento di Fine Rapporto al lavoratore. E’ altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, nessun lavoratore una volta ottenute le somme, chiama l’ex coniuge per avvertirlo dell’avvenuto incasso e liquidargli le somme che gli spetterebbero. L’ex coniuge per riuscire a intascare la somma deve di conseguenza proporre un’istanza, o meglio un ricorso al tribunale con il quale si richiede di disporre il versamento in suo favore della quota di TFR spettante. Il tribunale con sentenza ordinerà al datore di lavoro e/o all’ente previdenziale di erogare le quote in favore dell’ex coniuge.

Questa procedura si può fare se l’ex coniuge non abbia riscosso le somme, invece è diverso il caso in cui questi abbia riscosso le somme senza che l’ex coniuge ne abbia avuto conoscenza e non abbia quindi avuto la possibilità di proporre ricorso o fare istanza per l’ottenimento della propria quota. In tal caso il proponente deve chiedere il sequestro conservativo delle somme già riscosse dal lavoratore. Una volta accertate dal tribunale le somme dovute, se il lavoratore non provvede a liquidare le somme volontariamente, sarà  messa in atto la procedura esecutiva sulle stesse.