L’export italiano trainato dalle regioni del Sud

L’export italiano, almeno nel primo trimestre 2017, è supportato e decisamente guidato dal Sud, che si sta rivelando dinamico e in grado di reggere il confronto con le solite regioni del Nord.
L’aumento rispetto ai tre mesi precedenti è del 4,4% e riguarda le regioni meridionali e insulari, seguite poi da quelle centrali con il 2,5%, e solo in fondo ci sono Nord Ovest, 1,8%, e Nord Est, 1,4%.

Istat comunica inoltre che, se si fa un confronto su base annua, l’aumento del 9,9% e che l’incremento maggiore è per le aree insulari (+50,6%) e nord-occidentali (+10,7%).
Tra le regioni soffre, dopo il recente exploit, la Basilicata (-10,5%). Mostra segni di difficoltà anche il Molise (-53,4%) mentre per il più ampio contributo positivo alla crescita tendenziale delle esportazioni nazionali si segnalano Lombardia (+8,6%), Piemonte (14,1%), Emilia-Romagna (+8,9%), Veneto (+7,1%) e Toscana (+10,1%). Complessivamente le regioni del Centro crescono dell’8,7%, quelle del Nord-Est dell’8,2% mentre risulta l’area meridionale si ferma a +0,6%.

Nel primo trimestre 2017 l’aumento tendenziale delle vendite di autoveicoli dal Piemonte e di prodotti petroliferi raffinati da Sicilia e Sardegna contribuisce alla crescita dell’export nazionale per 1,6 punti percentuali.
Ma nello stesso periodo è coincisa anche la diminuzione delle esportazioni di autoveicoli dalla Basilicata, ma anche di mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi in questo caso, dalla Lombardia e di metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti, dal Molise, che quindi influenzano l’andamento in modo negativo per quasi mezzo punto percentuale se si tratta delle vendite nazionali su mercati esteri.

Impulso positivo, invece, arriva dalle vendite dalla Lombardia e dal Lazio verso la Germania, dal Piemonte verso la Cina e dalla Lombardia verso gli Stati Uniti, che quindi si riflettono sull’esport nazionale, ma, nello stesso tempo, flettono le vendite del Lazio verso il Belgio e dell’Emilia-Romagna verso i paesi Opec.

Vera MORETTI

Export italiano, i numeri del 2015

L’ export italiano ha vissuto nel 2015 un anno d’oro. Il made in Italy ha fatto registrare un saldo commerciale di 122,4 miliardi di euro lo scorso anno, spinto dai settori dell’automazione meccanica, della moda, del legno arredo e del food and beverage.

Una crescita, quella dell’ export italiano, che ha saputo resistere ai colpi della crisi. Come ha rilevato la Cgia, la progressione del nostro saldo commerciale è stata costante dall’ultimo calo, quello del 2009 a 88,4 miliardi: 92,3 miliardi nel 2010, 103,7 nel 2011, 119,5 nel 2012, 120,2 nel 2013, 122,3 nel 2014, fino ai 122,4 dello scorso anno.

Si diceva dei settori produttivi che maggiormente hanno contribuito allo slancio dell’ export italiano. La meccanica e i macchinari hanno fatto ancora una volta la parte del leone, con un surplus commerciale di circa 50 miliardi.

Al secondo posto, staccatissimo, il settore del tessile-abbigliamento-calzature, che ha contribuito all’ export italiano del 2015 con 17,6 miliardi; ultima piazza del podio occupata dai prodotti in metallo, che valgono 11,1 miliardi.

Seguono i mobili (7,2 miliardi), gli apparecchi elettrici e gli elettrodomestici con 6,5 miliardi, altri materiali non metalliferi quali cemento, vetro, porcellana, refrattari e ceramica a quota 6,4 miliardi.

Negativo l’apporto all’ export italiano di altri settori quali il chimico-farmaceutico, il metallurgico, il settore dei computer. Da segnalare la ripresa, seppur minima ma venuta dopo anni di sprofondo, del settore degli autoveicoli: +290 milioni.

Per quanto riguarda i mercati di sbocco dell’ export italiano nel 2015, in prima fila tra i partner commerciali troviamo la Germania (30,3 miliardi di euro), la Francia (27,7 miliardi), gli Usa (24,6 miliardi), il Regno Unito (14,8 miliardi), la Spagna (11,2 miliardi) e la Svizzera (11 miliardi).

Lo scorso anno, rispetto a un anno prima, c’è stata un’ottima crescita delle vendite negli Emirati Arabi (+15,4%), negli Stati Uniti (+15,2%) e in Spagna (+10%), mentre va segnalato il crollo dell’ export italiano in Russia, -25,2%, a causa delle sanzioni commerciali che hanno colpito il Paese.

Numeri da record per l’ export italiano

Il valore aggiunto che il made in Italy dà alla nostra economia è sempre più forte quanto più forti diventano le esportazioni dei nostri prodotti di qualità. E l’ export italiano va a gonfie vele, almeno stando a un rapporto presentato nei giorni scorsi da Confartigianato.

Secondo le cifre messe insieme dall’associazione degli artigiani italiani, negli ultimi 4 trimestri l’ export italiano ha toccato quota 113,8 miliardi, cifra pari al 7,1% del Pil, con un aumento di 4,6 miliardi, +4,2% rispetto allo stesso periodo del 2014. Solo nei primi sei mesi del 2015 l’ export italiano di prodotti realizzati dalle nostre Pmi è stato di 57,1 miliardi, +2,6 miliardi e +4,9% rispetto ai primi sei mesi del 2014.

Stando ai dati di Confartigianato, l’ export italiano è andato forte soprattutto negli Usa (8,4 miliardi), a Hong Kong (3,8 miliardi), in Giappone (2,5 miliardi), negli Emirati Arabi (2,2 miliardi) e in Corea del Sud (1,4 miliardi).

Per quanto riguarda i settori campioni dell’ export italiano, le cosiddette 3F (food, fashion e furniture, cibo, moda e arredamento) si confermano saldamente al comando con un +6,7% nel primo semestre (alimentari), +5,7% (mobili) e +3,7% (abbigliamento).

I dati di Confartigianato rilevano che la geografia interna dell’ export italiano è sostanzialmente un affare a cinque. Tante sono infatti le regioni che, da sole, detengono l’80% del valore delle esportazioni delle Pmi: Lombardia (24,9%, 14.226 milioni di euro), Veneto (21,4%, 12.249 milioni), Toscana (12,5%, 7.153 milioni), Emilia-Romagna (12,2%, 6.953 milioni) e Piemonte (9%, 5.150 milioni).

Secondo il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, “i piccoli imprenditori sono campioni della qualità manifatturiera italiana e contribuiscono a mantenere in attivo la nostra bilancia commerciale. L’Expo di Milano ha potenziato la propensione delle imprese artigiane a lavorare sui mercati esteri. C’è ancora molto da fare per rilanciare la nostra economia e rivitalizzare i consumi interni, ma i risultati che presentiamo oggi per l’ export italiano realizzato dalle piccole imprese devono richiamare l’attenzione del Governo: la Legge di stabilità ha aperto la strada che ora va percorsa con decisione soprattutto sul fronte della diminuzione del carico fiscale sulle imprese”.

La miniera d’oro dell’ export italiano

Non passa giorno che non arrivino conferme del fatto che il made in Italy è un prodotto vincente soprattutto sotto il profilo dell’ export. Secondo il recente rapporto I.t.a.l.i.a. – Geografie del nuovo made in Italy, stilato da Unioncamere, Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Aiccon, tra il 2010 al 2014 l’ export manifatturiero del nostro Paese, compreso quello agroalimentare, è cresciuto del 18,4%, da 323 a 382 miliardi di euro, mentre l’import è leggermente calato, da 285 a 282 miliardi. Una differenza che ha fatto in modo che il surplus commerciale nel 2014 raggiungesse quasi i 100 miliardi di euro, un record.

Un trend dell’ export che non interessa solo l’Europa, sottolinea il rapporto, ma tutto il mondo occidentale “perché per trovare un attivo industriale più alto di quello italiano – che è il quinto in assoluto – bisogna spingersi in Estremo Oriente, cioé in Cina, Giappone e Corea”.

L’ export è stato quindi ancora una volta il salvagente della nostra economia, poiché settori che hanno visto crollare i consumi interni, hanno trovato nuova vita all’estero. Tre su tutti, ricorda il rapporto: il legno arredo, l’impiantistica e la meccanica. Clamoroso il caso di questi ultimi due, che nel 2014 hanno fatto registrare un surplus di 50,4 miliardi (meccanica) e di 7,2 miliardi (impiantistica).

Se in Paesi come l’Italia la crisi ha indebolito la domanda interna, all’estero vi è stata una dinamica inversa. Basti paragonare i nostri risultati con quelli dei Paesi europei più affini a noi. In Italia, nel 2014, fatturato interno -17,9%, fatturato estero +10,8%; in Germania fatturato interno -2,1%, fatturato estero +8,8%; Francia fatturato interno +4,5%, fatturato estero +3%.

Il nostro export è dunque la miniera d’oro delle imprese e, non a caso, il rapporto I.t.a.l.i.a. sottolinea come, rispetto al 2010, il nostro Paese abbia mantenuto il 95,8% delle quote di export; per dire, un Paese come il Regno Unito ha tenuto il 98,1%, la Germania il 96,9%, la Francia il 89,7% e il Giappone il 71,2%.

Cresce ancora l’ export italiano

In un quadro macroeconomico nel quale il nostro Paese ancora fatica a risollevare la testa, nonostante qualche timido segnale di ripresa, c’è un dato che non tradisce mai le attese, quello dell’ export italiano. Secondo i numeri diffusi dall’Istat, a febbraio 2015 le esportazioni verso i Paesi extra Ue hanno fatto segnare un +4,5% e le importazioni un +1,1% rispetto a gennaio.

La forte la crescita tendenziale dell’ export italiano (+7,1%) è stata determinata, secondo l’Istat, dai beni strumentali (+19,9%) e, in misura minore, dai cosiddetti prodotti intermedi (+4,6%). A febbraio l’avanzo commerciale è stato pari a 2.840 milioni di euro (+1.338 milioni rispetto a febbraio 2014), mentre il surplus nell’interscambio di prodotti non energetici è stata pari a 5 miliardi rispetto ai 4,7 miliardi di febbraio 2014.

Nell’ultimo trimestre, la dinamica congiunturale dell’ export italiano verso i Paesi extra Ue si conferma positiva (+1,5%) e investe tutti i principali beni, esclusa l’energia (-17,9%). Le vendite di prodotti intermedi sono in rilevante espansione (+3,7%).

Nel mese di febbraio 2015, i mercati di sbocco più dinamici per l’ export italiano sono stati gli Usa (+49,3%, che scende a +24,8% al netto dei mezzi di navigazione marittima) e la Turchia (+10,7%). L’embargo verso la Russia e la debolezza del rublo hanno invece penalizzato l’ export italiano verso quel Paese (-28,5%) e anche i Paesi dell’area Mercosur (il mercato comune del Sudamerica) hanno fatto registrare un calo piuttosto sensibile: -17,6%.

Nasce il fondo che valorizza le esportazioni italiane

Se le esportazioni italiane sono una delle voci più pesanti e d’eccellenza della nostra economia, perché non farne anche una fonte di investimento? È quello che deve essersi chiesto Comoi Group, che ha infatti attivato Italy Export Credit, un fondo di investimento specializzato che investe nelle esportazioni italiane.

Il fondo è destinato esclusivamente a fondazioni, compagnie assicurative e fondi pensione – tipicamente i grandi investitori istituzionali – e dà valore alle esportazioni italiane investendo in obbligazioni di pagamento che vengono rilasciate dalle banche dei Paesi importatori, le quali operano nelle transazioni commerciali con le aziende italiane esportatrici; in questo modo smobilizzeranno i propri crediti liberandosi del rischio correlato.

Il valore delle imprese e delle esportazioni italiane è stato sottolineato dal direttore generale di Comoi Sim, Gerardo Stigliani, in occasione della presentazione di Italy Export Credit: “Italy Export Credit è la prima iniziativa di questo tipo in Europa e si pone come un fondo di sistema in grado di creare finalmente un ponte tra il risparmio previdenziale e assicurativo raccolto dagli investitori istituzionali e l’economia produttiva più vitale rappresentata dalle imprese che esportano”.

Le Pmi campionesse dell’ export italiano

Quando si pensa al made in Italy, vengono alla mente subito le grandi eccellenze della moda, del design, dell’agroalimentare. In realtà, il vero motore inesauribile del made in Italy è dato dall’ export italiano delle piccole imprese, che lo scorso anno, in barba alla crisi, ha fatto faville.

Le piccole imprese trainano l’ export italiano – dice il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti -. Tra gennaio e settembre 2014 dal nostro Paese sono volati nel mondo i prodotti realizzati da 243.218 piccole imprese, per un valore di 75,4 miliardi, con un aumento del 3,3% (pari a 2,4 miliardi in più) rispetto allo stesso periodo del 2013” e rappresentano il 26,7% del totale dell’ export italiano in ambito manifatturiero.

Secondo un rapporto stilato da Confartigianato sui dati dell’ export italiano 2014, lo scorso anno le esportazioni dei prodotti delle piccole imprese hanno doppiato l’ export italiano manifatturiero complessivo, che ha fatto registrare un valore di 282,5 miliardi, +1,7%. Campioni dell’ export italiano sono soprattutto i prodotti in legno (+4,8% in valore). Bene anche il settore della pelletteria (+ 4,4%), dell’abbigliamento (+4,1%) e dell’agroalimentare (+3,2%).

L’ export italiano delle piccole imprese va forte soprattutto nei Paesi dell’Europa a 28: 54,9% e +4,2% tra 2013 e 2014. Principali mercati di destinazione dell’ export italiano in Europa sono la Spagna (+7,2%), la Polonia (+6,3%), i Paesi Bassi (+5,3%) e la Germania (4,1%).

Nelle aree extra Ue, i tassi di crescita più significativi per l’ export italiano delle Pmi sono stati registrati nei Paesi dell’Asia orientale (+9%) e negli Usa (+6,9%), mentre le esportazioni verso un importantissimo mercato come quello della Russia sono state pesantemente penalizzate dalla crisi russo-ucraina e dalle sanzioni contro Mosca, che le hanno fatte crollare del 10,4%.

Secondo il rapporto stilato da Confartigianato sull’ export italiano, la regione più virtuosa nelle esportazioni tra gennaio e settembre 2014 è stata il Piemonte, con un +5,5%, che si è portata con sé la provincia più performante, quella di Alessandria: l’ export italiano proveniente dall’Alessandrino ha fatto registrare nei primi 9 mesi del 2014 un sorprendente +21,9%.

Il rapporto annuale Censis premia il made il Italy

È stato di recente pubblicato il rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del Paese 2014, il 48esimo, dal quale emerge un’Italia sempre più disillusa e ripiegata su se stessa, in preda alla tentazione del facile egoismo.

Eppure, tra le tante ombre presenti nel rapporto annuale Censis, qualche luce c’è ed è costituita dalla tenuta del made in Italy all’estero. Secondo il 48esimo rapporto annuale Censis, infatti, l’interesse suscitato all’estero dall’Italia, nonostante non sia adeguatamente sfruttato, non conosce crisi: l’Italia è infatti la quinta destinazione turistica al mondo, con 186,1 milioni di presenze straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi (+6,8% rispetto al 2012).

L’export delle cosidedette “4 A” del made in Italy (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione) è cresciuto del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. Secondo il 48esimo rapporto annuale Censis, il successo di cibo e vini italiani nel mondo è uno degli indicatori più significativi dell’appeal incrollabile che ha il nostro stile di vita. L`Italian food, nella sua accezione di rapporto con il territorio, autenticità, qualità, sostenibilità, è uno dei primi ambasciatori del nostro Paese nel mondo.

Secondo il 48esimo rapporto annuale Censis, il made in Italy agroalimentare è una delle componenti più dinamiche dell’export: 27,4 miliardi di euro nel 2013, con un +26,9% rispetto al 2007. L`Italia è infatti il Paese con il più alto numero di alimenti a denominazione o indicazione di origine (266), e stacca Francia (219) e Spagna (179) al secondo e terzo posto. Così il nostro Paese sta riuscendo a conquistare, con logica da soft power, un posto di rilievo nel mercato globale. Mentre il mercato interno, purtroppo, arranca sempre di più.

Made in Italy alla conquista del Kazakistan

Le ex repubbliche sovietiche sono un territorio tutto da esplorare per l’esportazione delle eccellenze italiane. Ecco perché è il 10 novembre ha preso il via in Kazakistan, nella capitale Astana, una missione dell’Italia partecipata dal Governo, da Confindustria e patrocinata dall’Istituto per il Commercio Estero, l’ICE.

Nell’ambito della missione, il veicolo finanziario SACE ha allo studio 500 milioni di euro di nuovi progetti in Kazakistan, con l’obiettivo fare business nel Paese e di consolidare il posizionamento dell’Italia, tanto in campo energetico – l’ex repubblica sovietica nell’oil&gas offre già da tempo alle aziende del nostro Paese diverse opportunità -, quanto con il Made in Italy in generale, che comprende una gamma ampia di comparti industriali: dalle infrastrutture alle tecnologie meccaniche, dal tessile e abbigliamento all’agroalimentare.

Con un fatturato superiore ai 700 milioni, l’Italia è il secondo esportatore in Kazakistan, dopo la Germania, grazie a settori come la meccanica (oltre il 43% dell’export) e la moda (22%). A invogliare gli investitori stranieri in Kazakistan, un piano di investimenti pubblici del valore di 5 miliardi di dollari, che mira a potenziare il ruolo del Paese nel trasporto aereo, marittimo e ferroviario.

L’ambasciatore italiano in Kazakistan, Stefano Ravagnan, nell’ospitare la missione, ha parlato di un mercato più sofisticato e competitivo, ma ha anche messo in guardia: “Non possiamo vivere sugli allori”.

Artigianato, il rilancio passa dai giovani

Quale sia la strada per valorizzare le manifatture artigiane in Italia lo ha mostrato all’inizio di novembre CNA Giovani Imprenditori della due giorni di dibattito “Manifatture, IV Festival dell’Intelligenza Collettiva”, che si è tenuta nella capitale italiana del bello e della creatività, Firenze.

Un incontro con protagonisti di vari settori, non solo di quello economico, per fare il punto sul Made in Italy e gli asset per il rilancio del sistema Paese: manifattura di qualità, cultura, bellezza, export. Due giorni di dibattito con al centro una domanda e, per fortuna, un sacco di risposte: come valorizzare il potenziale manifatturiero italiano per trasformarlo in opportunità di sviluppo ed esportazione?

Magari cominciando a investire sui giovani. In Italia ci sono 1.438,601 imprese artigiane (il 23,6% del totale delle imprese del Paese) che generano un fatturato di 150 miliardi di euro, il 12% del valore aggiunto italiano. Sul totale delle imprese italiane, quelle giovanili sono 675.053, ma solo il 3.2% (195.842) sono artigianali e solo il 7,6% delle nuove imprese create appartiene al settore manifatturiero. Perché non investire in questo settore dove si intravedono ampi spazi di crescita ed occupazione per i giovani?

Se nel mondo, come emerso dal dibattito fiorentino, stiamo assistendo a una nuova rivoluzione industriale che passa dal taylorismo al tailor made e molti Paesi stanno già attuando importanti politiche di investimento a sostegno della nascita di nuove piccole imprese manifatturiere, in Italia il tessuto di Pmi è già florido e rappresenta il 99% del tessuto produttivo. I nostri simboli del made in Italy: moda, design e alimentare, continuano a crescere, ad esportare e generare fatturato, un motivo in più per tutelare, sostenere e promuovere il Made in Italy va tutelato, sostenuto e promosso.

Secondo Andrea Di Benedetto, Presidente dei Giovani Imprenditori CNA, “il nostro potenziale sta proprio nella capacità manifatturiera che accomuna oltre 100mila Pmi italiane. Imprenditori che devono avere come obiettivo la penetrazione dei mercati esteri trovando linfa nell’innovazione. L’attuale incertezza economica deve diventare quindi lo stimolo per affermarci quali produttori di qualità, riempiendo sapientemente le nicchie del mondo”.

Secondo Di Benedetto, “qualità del prodotto e digitale sono le leve per consentire alle nostre imprese di internazionalizzarsi ed essere competitive nei mercati globali. Il tempo delle lauree come strumento di emancipazione sociale è finito. Oggi è emancipato chi è realizzato. E’ tornato il tempo del fare, del produrre, del creare con le mani e vendere in tutto il mondo grazie ad una comunicazione efficace e all’utilizzo del web per promuoversi e costruire, raccontandola, una nuova epica dell’artigianato”.

Parole sante. Ora aspettiamo i fatti, dalle imprese e da chi, a livello politico e fiscale, avrebbe il compito di sostenerle, non quello di affossarle.