Galassi: “Fallimenti record? Finito il tempo degli slogan, bisogna agire”

Con oltre 3 mila industrie associate – distribuite in tutti gli ambiti produttivi dal metalmeccanico all’edile, dal chimico al plastico, dal tessile al grafico e cartotecnico -, dal 1946 CONFAPI INDUSTRIA lavora al servizio della piccola e media impresa che, secondo il presidente Paolo Galassi che oggi abbiamo incontrato, “sono sempre più fiaccate da anni di crisi economica in cui la loro capacità di resistenza è messa ogni giorno più alla prova”.

Nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa. Come leggere questi dati?
La capacità di resistenza delle imprese, provate da anni di andamenti negativi, è ai limiti. Sia le imprese di piccole sia quelle di grandi dimensioni risentono in modo significativo delle variazioni e delle oscillazioni di medio termine della domanda dovute anche a fattori esterni,come la recessione economica e la situazione socio politica. Le aziende fiaccate oramai da anni di crisi economica sono quindi più esposte al rischio di insolvenza.

Nel Mezzogiorno e nelle Isole i fallimenti sono saliti del 15% rispetto ai primi sei mesi 2013, nel Nord Ovest del 10,7% e nel Centro Italia del 10,4%. Le imprese sono le vittime privilegiate di una crisi che non sembra avere fine…
La situazione è drammatica ovunque. Nel Nord Italia però dove è presente il maggior numero di imprese l’impatto è stato più rilevante. Bisogna tenere conto infatti che il dato del PIL pro capite delle imprese del Nord è molto più elevato di quelle del Sud. Va evidenziata inoltre la drammatica percentuale di inoccupati al Sud tuttora in aumento.

Quale può essere la soluzione?
I piccoli e medi imprenditori da troppo tempo attendono un segnale forte, convinti che la disoccupazione si possa combattere solo finanziando lo sviluppo delle imprese. In assenza di interventi significativi e di misure strutturali di politica economica, aumenteranno sempre più mobilità e fallimenti, andando a depauperare un territorio che si prepara ad accogliere un evento internazionale dove l’eccellenza dovrebbe essere la protagonista. Lo Stato, infatti, continua a far ricadere sulle imprese il costo del welfare e delle proprie inefficienze attraverso l’aumento delle imposte e dei var i gravami burocratici. Per competere a livello europeo è necessario agire.

D’accordo, ma in che modo?
Una ricetta efficace passa attraverso la deregulation e il taglio delle imposte sulla produzione, come la TASI – che ricordo colpisce i metri quadri dedicati alla attività, anche se improduttivi – e l’IRAP che congloba nella propria base di calcolo anche il costo del lavoro. Inoltre non è più tempo di anacronistiche presunzioni di reddito basate sui costi, come gli studi di settore. È necessario facilitare la penetrazione commerciale all’estero, agevolare l’accesso al credito, sostenere gli investimenti. Alcune di queste iniziative sono presenti nello Sblocca Italia, ma sono ancora inattuate. Non basta fermarsi ai proclami, bisogna agire subito!

Jacopo MARCHESANO

Bertola: “Riscoprire il lato nobile del fare impresa”

«Il fallimento di una impresa è il fallimento di un micro-sistema della società». Ne è convinto Livio Bertola, presidente dell’Aipec – un’associazione di imprenditori, professionisti, aziende che intendono porre come valore aggiunto del proprio modo di lavorare nel mercato nazionale e internazionale, la «cultura del dare» – che oggi abbiamo incontrato per una breve chiacchierata in merito agli ultimi allarmanti dati del Cerved sui fallimenti aziendali.

Dott. Bertola, nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società quotata specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa. Come leggere questi dati?
Significa che si sta facendo ancora troppo poco per le imprese italiane. Occorrerebbe conoscere naturalmente nel dettaglio le cause dei fallimenti, ma certamente i dati sono allarmanti. Il fallimento di una impresa è il fallimento di un micro-sistema della società. I 4.241 micro-sistemi in fallimento segnalano il fallimento dell’intera sistema. Occorrono riforme strutturali.

Nel Mezzogiorno e nelle Isole i fallimenti salgono del 15% rispetto ai primi sei mesi 2013, nel Nord Ovest del 10,7% e nel Centro Italia del 10,4%. Le imprese sono le vittime privilegiate di una crisi che non sembra avere fine…
Le difficoltà maggiori si avvertono al Sud e nelle isole proprio perché è lì che si avvertono maggiormente la carenza di servizi sociali, di infrastrutture. Non è possibile generare benessere economico senza un contestuale benessere sociale. E’ quello che l’Aipec sta provando a testimoniare in tutta Italia.

Quale può essere la soluzione?
La crisi attuale è il frutto di una lunga serie di inefficienze, errori e falsi proclami, pertanto è difficile ipotizzare una soluzione in grado di risollevare il sistema in tempi rapidi. Sicuramente occorre riscrivere le logiche economiche della massimizzazione del profitto. Il massimo profitto per un’impresa non dovrebbe derivare esclusivamente dal successo economico, ma dall’aver generato benessere sociale, dentro e fuori la fabbrica, presso i propri dipendenti, fornitori, clienti. Bisogna riscoprire il lato nobile del “fare impresa”.

Quali dovrebbero essere i provvedimenti più urgenti del Governo Renzi per fermare l’emorragia?
Immettere fiducia nel sistema, alleggerendo la pressione fiscale a ogni latitudine. Investire nell’istruzione, nella ricerca e nella legalità. In una sola parola ripartire dall’uomo. Sono gli uomini a fare il sistema e non il contrario.

Jacopo MARCHESANO

Fallimenti aziendali, il credit crunch la causa

 

I numeri resi noti dal Cerved nei giorni scorsi che certificano l’aumento del 14,3% dei fallimenti aziendali in un anno non sono passati sotto traccia. Più di 4000 fallimenti in un solo trimestre, del resto, sono una cifra troppo elevata per non suscitare clamore. La stretta creditizia, come si immaginava, infatti, è tutt’altro che terminato e solo ad agosto lo stock di prestiti alle imprese si è fermato a quota 913 miliardi: ben 103 miliardi di euro di prestiti in meno rispetto al novembre 2011, con un calo complessivo addirittura del 10,2%.

A soffrire di più, come sempre, sono le imprese più piccole: quelle con meno di cinque addetti, sempre nel mese di agosto, mostrano una flessione del 2,3%. “E’ difficile parlare di ripresa in questo scenario – ha commentato Massimo Vivoli, vice presidente vicario di Confesercenti e presidente di Italia Comfidi – per questo chiediamo che il Governo intervenga con sollecitudine percorrendo la strada indicata con lungimiranza e chiarezza da Draghi e Bce, spingendo le banche a creare le condizioni per agevolare l’accesso al credito di imprese e famiglie e far ripartire, in questo modo, l’economia italiana”

“Ovviamente il credit crunch gioca un ruolo fondamentale in tale situazione. Da un lato facendo mancare un adeguato sostegno finanziario – in un periodo di stagnazione della domanda – all’intero sistema economico, dall’altro innescando una spirale negativa di sistematico ritardo nei pagamenti, ormai allargatasi a macchia d’olio: è, anzi, logico chiedersi se non sia il caso di intervenire a livello legislativo – e in modo incisivo – su questo malcostume, a cui molto spesso si adattano anche coloro che non versano in eccessive difficoltà” ha scritto Massimo Boidi, presidente Synergia Consulting Group, Alleanza Professionale di Commercialisti.

“Sicuramente l’iniezione di nuova liquidità disposta dalla Banca Centrale Europea – ha concluso Boidi – potrà avere positive ripercussioni sulle nostre aziende, ma dovrà inevitabilmente essere accompagnata ad una consistente riduzione del carico fiscale, soprattutto a livello di Irap, e ad una completa rivisitazione del mercato del lavoro, di cui oggi tanto si discute”.

Jacopo MARCHESANO

Record di fallimenti? Ecco come gestire la crisi aziendale

Sono dati allarmanti, seppur ampiamente prevedibili, quelli resi noti nei giorni scorsi dal Cerved: nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. Numeri che rendono chiara, una volta per tutte, la drammaticità della situazione in cui versano gli imprenditori nostrani, impegnati ogni giorno in sforzi sovrumani, sia personali sia finanziari, per tenere in piedi la propria azienda alle prese con numeri perennemente in negativo.

Come gli imprenditori in questo delicato periodo sanno bene, se dall’analisi dei dati finanziari si evidenza una situazione ormai inevitabilmente compromessa e ai limiti della sopportazione, è opportuno passare immediatamente alla messa in liquidazione dell’impresa, alla cessione o, se si possiedono i requisiti, alla procedura concorsuale per evitare (ulteriori) inutili sprechi d’energia. Ma se c’è ancora un briciolo di speranza, allora, l’imprenditore ha il dovere morale di tentare altre possibili soluzioni…

Se, analizzando con accuratezza le cifre e i dati, si ritiene di poter uscire dalla crisi si porranno in atto azioni di risanamento e di ristrutturazione profonda dell’azienda in crisi che si sviluppa principalmente in due momenti: il primo volto a porre termine alle cause che hanno portato alla crisi dell’azienda, nel minor tempo possibile, il secondo volto al perseguimento di un piano di recupero della redditività nel brevissimo periodo. Oltre ai piani di risanamento, da valutare con estrema ponderazione, l’azienda potrà usufruire degli altri strumenti che la legge le mette a disposizione come, per esempio, il concordato preventivo.

Per le aziende che si trovano ad affrontare una (momentanea) crisi di liquidità, infatti, la legge contempla anche altre possibilità che non necessariamente portano alla dichiarazione di fallimento e alla cessazione. Se in presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, l’imprenditore può evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni creditorie. Regolato dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942, il concordato è detto appunto “preventivo” per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario.

Per gli enti pubblici – ma anche le assicurazioni, le cooperative e i consorzi obbligatori, cioè quegli organismi che “svolgono un’attività di pubblico interesse, che hanno subito un’investitura diretta o indiretta dallo Stato o che subiscono da questo una certa ingerenza nella gestione” – è possibile ricorrere alla liquidazione coatta amministrativa, un procedura concorsuale che punta, infatti, a tutelare l’interesse pubblico. L’apertura del procedimento di liquidazione, inoltre, preclude al creditore le azioni in sede di giurisdizione, poiché i creditori devono far valere le proprie istanze nella procedura amministrativa di accertamento dei crediti attuata dal commissario.

Jacopo MARCHESANO

 

Fallimenti aziendali, è ancora allarme rosso

Per quanto il premier Matteo Renzi ostenti ottimismo sulle possibilità di ripresa dell’Italia, le piccole e medie imprese sono ancora in grande sofferenza, come dimostra il dato sui fallimenti aziendali. Nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società quotata specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa.

Nell’intero primo semestre 2014 i fallimenti aziendali hanno raggiunto quota 8.120 (+10,5%); si tratta del record assoluto dall’inizio della serie storica, risalente al 2001. L’analisi condotta dal Cerved mostra come i fallimenti aziendali riguardano tutta Italia: i tassi di crescita sono dappertutto in doppia cifra ad eccezione del Nord Est, dove l’incremento è del 5,5%.

In aumento del 14% rispetto al primo semestre 2013 sono invece i fallimenti aziendali al Sud e nelle Isole; il Nord Ovest fa registrare un +10,7%, il Centro un +10,4%. A causa dei recenti correttivi legislativi sono letteralmente collassate le domande di concordato in bianco (-52%) e diminuiti i concordati comprensivi di piano (-12,3%). Giù anche le liquidazioni che, con un -10,3% tra gennaio e giugno, segnano un’inversione di tendenza a livello semestrale dopo un lungo periodo di incremento.

Queste analisi sui fallimenti aziendali hanno suscitato diversi commenti. Secondo Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved, “stiamo vivendo una fase molto delicata per il sistema delle Pmi italiane: la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato con successo la prima fase della crisi e che stanno pagando il conto sia al credit crunch sia a una domanda da troppo tempo stagnante“.

Sui fallimenti aziendali è ancora più dura ancora Confcommercio: “Il dato sui fallimenti aziendali conferma che la crisi continua a dispiegare i suoi effetti, costringendo molte imprese, che finora hanno resistito, a chiudere“. Secondo l’associazione delle imprese, “per il perdurare della stagnazione dei consumi, per una pressione fiscale che non accenna a diminuire, per l’impossibilità di far fronte ai fabbisogni finanziari, come della scarsa offerta del credito, e per il calo di fiducia, le imprese fronteggiano un quadro economico di crisi strutturale“.

Quale la soluzione per Confcommercio? “Le riforme economiche devono, pertanto, essere al centro dell’agenda di Governo perché se non si attua quella poderosa operazione di sottrazione, meno tasse e meno spesa pubblica, il Paese è destinato a rimare ancora fermo al palo“. Aspetta e spera…