Bertola: “Riscoprire il lato nobile del fare impresa”

«Il fallimento di una impresa è il fallimento di un micro-sistema della società». Ne è convinto Livio Bertola, presidente dell’Aipec – un’associazione di imprenditori, professionisti, aziende che intendono porre come valore aggiunto del proprio modo di lavorare nel mercato nazionale e internazionale, la «cultura del dare» – che oggi abbiamo incontrato per una breve chiacchierata in merito agli ultimi allarmanti dati del Cerved sui fallimenti aziendali.

Dott. Bertola, nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società quotata specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa. Come leggere questi dati?
Significa che si sta facendo ancora troppo poco per le imprese italiane. Occorrerebbe conoscere naturalmente nel dettaglio le cause dei fallimenti, ma certamente i dati sono allarmanti. Il fallimento di una impresa è il fallimento di un micro-sistema della società. I 4.241 micro-sistemi in fallimento segnalano il fallimento dell’intera sistema. Occorrono riforme strutturali.

Nel Mezzogiorno e nelle Isole i fallimenti salgono del 15% rispetto ai primi sei mesi 2013, nel Nord Ovest del 10,7% e nel Centro Italia del 10,4%. Le imprese sono le vittime privilegiate di una crisi che non sembra avere fine…
Le difficoltà maggiori si avvertono al Sud e nelle isole proprio perché è lì che si avvertono maggiormente la carenza di servizi sociali, di infrastrutture. Non è possibile generare benessere economico senza un contestuale benessere sociale. E’ quello che l’Aipec sta provando a testimoniare in tutta Italia.

Quale può essere la soluzione?
La crisi attuale è il frutto di una lunga serie di inefficienze, errori e falsi proclami, pertanto è difficile ipotizzare una soluzione in grado di risollevare il sistema in tempi rapidi. Sicuramente occorre riscrivere le logiche economiche della massimizzazione del profitto. Il massimo profitto per un’impresa non dovrebbe derivare esclusivamente dal successo economico, ma dall’aver generato benessere sociale, dentro e fuori la fabbrica, presso i propri dipendenti, fornitori, clienti. Bisogna riscoprire il lato nobile del “fare impresa”.

Quali dovrebbero essere i provvedimenti più urgenti del Governo Renzi per fermare l’emorragia?
Immettere fiducia nel sistema, alleggerendo la pressione fiscale a ogni latitudine. Investire nell’istruzione, nella ricerca e nella legalità. In una sola parola ripartire dall’uomo. Sono gli uomini a fare il sistema e non il contrario.

Jacopo MARCHESANO

Fallimenti e privatizzazioni, lo Stato ci prova…

Nel corso di questa nostra settimana dedicate alle imprese italiane in crisi e all’uso distorto delle procedure prefallimentari, abbiamo cercato di delineare meglio una situazione sempre più caotica e in alcuni casi drammatica. Abbiamo appurato come il ricorso al concordato preventivo sia spesso una scorciatoia per non rispettare gli impegni presi, soprattutto se non si raggiunge una percentuale di soddisfacimento dei creditori almeno del 25- 30%, ma come spesso accade il reale problema è la capacità di prevedere il futuro dell’azienda che accede al concordato e capirne il vero valore sul mercato.

Per evitare il drammatico fallimento di aziende storiche italiane, creature e proprietà dello Stato, negli ultimi anni la tendenza è stata quella di privatizzare quelle in oggettiva e irrimediabile difficoltà economica, ma in pochi casi l’imprenditoria nazionale ha saputo cogliere l’opportunità immensa del trasferimento di centinaia di imprese dalla proprietà pubblica alla mano privata. Inutile ricordare come gli affari migliori negli scorsi anni furono realizzati dalla famiglia Benetton, che in tre diverse tornate si aggiudicò Autostrade, Autogrill e Gs.

In questi giorni sul tavolo del consiglio dei ministri sono in ballo privatizzazioni per ben 12 miliardi di euro, partendo dalle cessioni di quote minoritarie di Cdp Reti, Stm, Enav, Fincantieri e successivamente anche del 3% dell’Eni (che da sola porterà 2 miliardi), che in parte andrebbero per la ricapitalizzazione della Cassa depositi e prestiti e alla riduzione del debito pubblico nel 2014. “Contiamo che tutto ciò possa possa dare risultati in tempi brevi, ma abbiamo intenzione di privatizzare anche altri soggetti per i quali sarà necessaria un’istruttoria di più lunga durata” ha dichiarato ieri il premier Letta. Ma la partita rimane complicatissima, trovare un compratore, che sia possibilmente quello giusto, non sembra propriamente un gioco da ragazzi…

Jacopo MARCHESANO