Shopping: avanzano i cinesi, arretrano i russi

 

Con la fashion week di Milano che giunge al termine, Fashion & High Street Report di Federazione Moda Italia e World Capital Group hanno analizzato il mercato della moda offrendo un’analisi strategica per gli operatori. Con un +18% i turisti cinesi si sono distinti per gli acquisti nelle vie della moda delle città italiane compensando il calo del 13% delle spese dei russi che rimangono comunque al primo posto per lo shopping straniero nel nostro paese ancora per tutto il 2014.

Percentuali negativi in tutte le regioni italiane, si salva solo il Trentino dove la spesa per l’abbigliamento fa segnare un incredibile, se confrontato con le percentuali negative a doppia cifra di Campania e Calabria, +6%. In generale il settore registra fatturati in calo rispetto ai primi sei mesi del 2013 del -1%, crescono, a proposito di fashion week, solamente gli accessori moda che hanno avuto un incremento del 6,7% rispetto al I semestre 2013. Segno meno invece per calzature (-0,5%), articoli sportivi (-2%) e abbigliamento (-4,22%). Molto in sofferenza le spese per pellicce (-10,8%) e pelletterie/valigerie (-13%).

“Il comparto moda – ha dichiarato il Presidente di Federazione Moda Italia e Vice Presidente di Confcommercio, Renato Borghi – ha resistito grazie ai tantissimi turisti che l’hanno scelta come meta per il proprio shopping. A cominciare dai Russi che restano – per numero di acquisti – i migliori clienti (29%), nonostante i primi segnali negativi relativi alle sanzioni decise dalla UE, seguiti da cinesi (22%), giapponesi (5%), americani, svizzeri e coreani (4%). Le rilevazioni dell’High Street Fashion Report di Federazione Moda Italia denotano le migliori performance delle più rinomate vie dello shopping che mantengono la loro appetibilità, mentre segnali di difficoltà arrivano dalle periferie e dai centri minori con canoni di locazione non più in linea con le attuali condizioni di mercato. Per la ripresa, l’appuntamento sembra purtroppo di nuovo rimandato. Urge una riforma fiscale che alleggerisca l’imposizione a famiglie e imprese. Per far fronte a ciò confidiamo in una rapida compensazione con gli esiti della ineludibile sforbiciata alla spesa improduttiva. Segnali di speranza, infine, per il problema del credito alle imprese, a seguito dell’innesto di liquidità vincolata e a basso costo introdotto da Mario Draghi per trasferire denaro a famiglie e imprese”.

JM

Giusti: “Il made in Italy è il futuro del nostro manifatturiero”

 

La filiera tessile costituisce senza dubbio uno dei punti di forza del manifatturiero made in Italy e, conseguentemente, la sua ripresa può costituire una valido punto di partenza per una più generale ripartenza dell’economia del nostro Paese, in particolare per quelle filiere che, insieme ad essa, costituiscono il più ampio “sistema moda” italiano. Continuiamo oggi il nostro approfondimento a riguardo intervistando Luca Giusti, presidente Unionfiliere, Associazione delle Camere di Commercio per la valorizzazione delle filiere del Made in Italy.

Dott. Giusti, secondo i dati Istat nel primo semestre del 2014 la produzione di tessuti italiana è cresciuta del 7,6% e il Centro Studi di Sistema Moda Italia prevede un andamento positivo anche per la seconda parte dell’anno. La ripresa della filiera del tessile può rappresentare il punto di partenza per la ripresa dell’intera economia italiana?
La crisi che le imprese hanno affrontato e da cui ancora non sono del tutto uscite è stata una crisi strutturale e non solo congiunturale. Questo ha comportato un rimodellamento della filiera e, purtroppo, la chiusura di molte aziende che non hanno saputo o non hanno potuto vincere questa dura sfida. La cosa importante, comunque, è che non si siano perse le competenze, cioè quelle capacità artigianali, creative e tecniche che hanno consentito al nostro made in Italy di affermarsi nei mercati internazionali.

Trasparenza è la vostra parola d’ordine, il consumatore deve sapere non soltanto che cosa mangia ma anche cio’ che indossa.
La richiesta di una sempre maggiore trasparenza anche nella filiera moda è la conseguenza naturale della globalizzazione dei mercati. Il consumatore, messo di fronte ad una moltitudine di offerte, comincia a porsi domande che vanno oltre l’estetica e la qualità del prodotto e riguardano anche l’impatto sociale ed ambientale del capo che acquista.
Per questo tipo di consumatore, la trasparenza delle informazioni è fondamentale perché fa la differenza tra l’acquistare o meno un prodotto.
La “trasparenza” è diventata, di conseguenza, un’esigenza per le aziende che vogliono conquistare il mercato e la tracciabilità del prodotto è la risposta a questa nuova esigenza. Per questo stiamo investendo, da alcuni anni, sul progetto TFashion: il sistema di tracciabilità volontario delle Camere di Commercio italiane, che attraverso un’etichetta consente di comunicare al consumatore la storia del prodotto.

Una sola etichetta che contiene piu’ informazioni, un vero e proprio passaporto del prodotto?
Esatto! TFashion racconta la storia del prodotto andando oltre gli obblighi di informazione previsti dalla legge.
Oggi, per restare competitivi, non è più sufficiente offrire un buon prodotto, occorre anche comunicare con chiarezza ulteriori informazioni: dall’origine all’assenza di sostanze nocive, al rispetto delle persone e dell’ambiente. Ben 240 aziende con il coinvolgimento di oltre 1.400 fornitori dei principali distretti italiani hanno aderito a TFashion. Un risultato estremamente positivo perché vuol dire che, nonostante la crisi, le imprese hanno intercettato i cambiamenti del mercato e stanno investendo su strumenti, come la tracciabilità TFashion, di qualificazione dell’intera filiera moda.

E’ più importante valorizzare o tutelare il made in italy ?
Il made in Italy va tutelato e ben vengano tutte le misure normative volte alla difesa delle nostre aziende da fenomeni di concorrenza sleale.
Ma non ci possiamo limitare a questo: la vera sfida è andare oltre la tutela e costruire un sistema innovativo e sempre più efficace di valorizzazione del made in Italy. Con TFashion le Camere di commercio vogliono promuovere nel mondo una filiera moda italiana più etica, autentica e trasparente per essere al fianco di quelle imprese e di quegli imprenditori che hanno intrapreso percorsi innovativi di sviluppo mostrando, al tempo stesso, attenzione al contesto in cui operano. Questo made in Italy va difeso ma anche sostenuto e valorizzato perché rappresenta il futuro manifatturiero del nostro Paese.

Jacopo MARCHESANO

La filiera fa la forza del Made in Italy

di Alessia CASIRAGHI

Ai nastri partenza della Settimana della Moda milanese, che debutta quest’oggi, Infoiva ha chiesto a Michele Tronconi, Presidente di Sistema Moda Italia quale sia il segreto del successo di un settore, come quello della moda italiana e dell’abbigliamento, apprezzato e invidiato in tutto il mondo. Tante piccole aziende, che se da un lato rappresentano un omaggio alla tradizione e all’artigianalità, dall’altro sono la vera forza intrinseca dei capi che vediamo rinnovarsi di anno in anno sulle passerelle di tutto il mondo.

Oggi debutta la Milano Fashion Week: i capi che vedremo in passerella e che faranno il giro del mondo sono però sola la punta dell’iceberg di un’industria, quella della moda, che in Italia è fatta non solo di grandi maison ma da tantissimi piccoli imprenditori, artigiani e artisti. E’ questo il segreto del suo successo?
Il suo segreto è racchiuso nel fatto di essere ancora una filiera: in Italia sono presenti tutte le componenti che concorrono alla realizzazione di un prodotto finito. Un prodotto che ha elevate componenti simboliche e di gusto, caratterizzato da una continua innovazione, in linea con il cambio delle stagioni, che portano al cambiamento del guardaroba. Ma per arrivare al prodotto finito, celebrato attraverso liturgie particolari come le sfilate, il punto di partenza è sempre la materia prima. Il nostro settore, quello della moda e del tessile, ha vinto sulla saturazione della domanda, che caratterizza tutti i settori economici maturi, grazie all’innovazione di prodotto e grazie alla moda stessa, che è una costruzione sociale che richiede continua propositività e che spinge il consumatore a desiderare il prodotto nuovo, anche se il suo armadio è già pieno. Il nostro è un settore che si è specializzato per rispondere alle esigenze che si susseguono di stagione in stagione: non è un caso che nella filiera del tessile e dell’abbigliamento continuino a esistere piccole imprese specializzate, è da loro che deriva la forza complessiva del settore. Una forza che si basa però allo stesso tempo sulla fragilità di ogni singolo elemento, fragilità che deriva dal fatto di non essere mai importante né per i propri clienti né per i propri fornitori. Esiste un ciclo di vita delle aziende incessante, è l’altra faccia della medaglia, le sfilate sono la punta dell’iceberg di questa fragilità strutturale.

Il bilancio del primo semestre del 2012 parla di un calo generalizzato del settore del tessile in Italia. Quali sono le maggiori difficoltà cui si trovano a far fronte gli imprenditori della moda?
La fragilità odierna non è settoriale ma endemica e dovuta a una crisi di carattere macroeconomico: dalla cattiva finanza americana sui debiti sovrani alla debolezza dell’Euro, una crisi che atterra sull’economica reale, generando crisi di domanda e crisi di consumi. Il calo di fatturati del nostro settore si spiega in un orizzonte più ampio. La domanda interna si è fortemente ridotta, la pressione fiscale si è fatta sentire fin dall’ingresso dell’Euro, ma adesso si avverte in misura maggiore anche in tante imposte indirette: il caso più eclatante è quello della benzina. L’aumento del costo di un bene riduce la possibilità di spesa su altri beni. Il forte calo dei consumi colpisce anche il tessile abbigliamento perchè ha come conseguenza diretta una riduzione e una frammentazione dei volumi produttivi, sia sull’artigianato che sull’industria, con la conseguenza che le imprese non riescono sempre a coprire i costi produttivi. Un altro problema riguarda la contrazione del credito, non solo delle banche, ma anche tra gli imprenditori: il rispetto delle scadenze nei pagamenti fra aziende e fornitori diventa sempre più difficile. Quello che fa un po’ specie è vedere come anche le aziende di grandi dimensioni, che dovrebbero avere le spalle più coperte, non sempre comprendano la necessità e l’importanza di sostenere le realtà più piccole e con esse la filiera stessa, allineando le condizioni di pagamento alle condizioni europee. Da ultimo si aggiunge il problema dell’aumento dei costi di produzione, indotto dalla fiscalità crescente e dall’ incremento del costo dell’energia, che penalizza la filiera italiana e dilata ulteriormente il differenziale negativo dell’industria italiana su i competitor più lontani, come Cina e Turchia, ma anche quelli più vicini come Germania e Francia. Se si produce di meno, viene da sè che si contrae anche la nostra capacità esportativa.

Quali sono attualmente i Paesi dove si esporta maggiormente?
Le nostre esportazioni continua a crescere in Cina, anche se rappresentano ancora una piccola fetta rispetto al valore che importiamo: la Cina è il nostro principale fornitore sia di tessile che di abbigliamento, ed è solo il nostro 12mo cliente, anche se sta salendo in graduatoria con un ritmo molto sostenuto dall’inizio del 2012. In Cina esportiamo più tessile che abbigliamento: il tessile ha registrato quest’anno una crescita del 20-22% rispetto allo stesso periodo del 2011, mentre le importazioni dalla Cina sono diminuite della stessa percentuale nel medesimo periodo. Poi c’è la Russia, seguita da Paesi molti interessanti come il Brasile e l’America Latina stessa, dove però è più facile esportare quando si ha un brand molto noto, meno facile invece quando si tratta di middle brand, perché occorre superare lo scoglio di dazi molto elevati: in Brasile parliamo di una media del 35% per capi di abbigliamento.

I mercati BRIC continuano a rappresentare un’ancora di salvezza per l’export e il fatturato del tessile italiano?
Oltre al già citato Brasile, un mercato molto interessante è quello dell’India, anche se la moda italiana fa ancora fatica a penetrare per una questione prettamente culturale: paradossalmente in India si esporta più facilmente la calzatura italiana che non l’abbigliamento. L’export italiano non guarda soltanto ai Bric ma anche i Next Eleven – Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Corea del Sud e Vietnam – che stanno crescendo a ritmo sostenuto. Fra i Paesi dell’America Latina, grande attenzione è posta sul Messico, un Paese che nonostante venga spesso ritratto dai media come caratterizzato da un alto taso di criminalità è interessato da un fortissimo sviluppo economico, e ancora il Cile e l’Argentina. Tutti Paesi che crescono ad una velocità raddoppiata rispetto alla vecchia Europa.

I buyers stranieri sono indirizzati per lo più verso produzioni di altissimo livello o ad attirare l’attenzione è anche la produzione di medio livello?
I nostri sono prodotti desiderabili sia per chi ha un alto tenore di vita, quindi rivolti al comparto lusso, sia per la classe media, che in Paesi come quelli prima citati cresce a ritmo sostenuto, e desidera avere un prodotto che evochi il sogno, che sia di buona qualità, continuamente innovato, perché gli aspetti simbolici sono quelli a cui si fa più attenzione nel momento in cui si esce da situazioni di precarietà e povertà.

Come si difende l’industria del tessile made in Italy dalla concorrenza, non solo a livello economico ma anche di filiera produttiva, dei Paesi asiatici?
Occorre cambiare la prospettiva: quando noi 10 anni fa ragionavamo di sostegno della nostra filiera, la questione principale riguardava la protezione della produzione italiana. Oggi le cose sono cambiate, oggi siamo chiamati a sostenere le nostre esportazioni in quei Paesi che 10 anni fa erano i nostri principali acquirenti. La Cina ne è l’esempio più lampante: da Fabbrica del mondo si è trasformata in grande mercato del mondo, e paradossalmente, per sostenere la nostra filiera oggi occorre creare prodotti che siano esportabili e vendibili in quei Paesi. Una cosa è rimasta costante nel tempo: la necessità di strumenti di trasparenza, l’indicazione di origine dei prodotti è importante sempre e ovunque. La Cina compra da noi solo quando il prodotto è autenticamente made in Italy; oggi dobbiamo pretendere che anche gli altri Paesi rispettino la piena reciprocità e trasparenza.

Secondo lei, quali soluzioni alternative potrebbe /dovrebbe adottare il Governo per salvaguardare un settore tradizionale e fondamentale dell’industria italiana, quasi identitario, come quello del tessile?
Per esportare di più occorre risolvere i problemi a casa nostra. All’Italia manca quella capacità a fare squadra, i problemi che stanno venendo a galla sono più grossi, e non riguardano solo il tessile e abbigliamento, ma visto che questo settore rappresenta ancora, per fortuna, un’industria di filiera, una maggior attenzione da parte dei grandi poteri andrebbe prestata. Occorrono interventi che agiscano sul conto economico delle imprese: prima di tutto ridurre il costo dell’energia, che è stratosferico ed è un problema solo italiano. Occorre poi ridurre la fiscalità sulle imprese, primo fra tutti il problema dell’Irap che penalizza tutte quelle aziende che presentano una forte incidenza della manodopera. La principale riforma di cui ha bisogno l’Italia in questo momento è fiscale: nell’attività produttiva a livello industriale non si assiste ad uno spostamento verso il sommerso, ma ad un annullamento dell’attività produttiva. Si tratta però di interventi che riguardano unicamente il Governo, non le parti sociali o gli imprenditori. Quando si ha a che fare con una filiera, come la nostra, composta per lo più da piccole realtà imprenditoriali, non ci si può aspettare che i piccoli risolvano i problemi dei grandi.

Il tessile? Barcolla ma non molla

La settimana che parte oggi è quella che vedrà l’appuntamento con la Milano Fashion Week, settimana della moda nella quale tutti gli occhi del mondo che veste saranno puntati sul capoluogo lombardo. Un settore, quello della moda e del tessile, nel quale non abbiamo rivali, da sempre. Eppure anch’esso, in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, patisce alcuni colpi.

Ecco perché Infoiva ha deciso di dedicare il proprio focus settimanale a questo settore chiave per l’economia italiana nel quale, tanto per cambiare, l’eccellenza viene da poche, grandi maison ma da tantissimi piccoli imprenditori, artigiani e, oseremmo dire, artisti. Un settore nel quale proveremo a entrare andando al di là delle passerelle e dei lustrini, per capire quali sono le cifre che girano, come se la passa chi crea moda e tessuti e cercare di ricavare qualche segnale di ottimismo da chi, ogni giorno, produce eccellenza. A partire dai numeri di Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile che ha appena chiuso i battenti.

Leggi le cifre e le tendenze emerse da Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile

La tessitura italiana è ancora Unica. Anche se soffre

Un’occasione “Unica” per parlare di un settore della nostra economia che, a dispetto di tutto, subisce meno di altri i colpi della crisi. Parliamo del tessile, un comparto che, da sempre, è un vanto del saper fare italiano e che, nonostante il periodo non felice, perde meno di altri.

Occasione Unica, si diceva, perché la scorsa settimana, antipasto business alla Fashion Week meneghina, si è tenuto a Milano Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile, giunto alla XV edizione.

In occasione dell’inaugurazione, avvenuta lo scorso 11 settembre, hanno presenziato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e il presidente del consiglio Mario Monti, che ha tenuto a ribadire l’importanza del settore tessile nel circuito dell’economia italiana: “Ha una valenza non solo economica, ma anche simbolica e identitaria. Ha radici profonde nella rivoluzione industriale ed è il cuore della manifattura e dell’innovazione tecnologica“.

Nonostante il primo semestre del 2012 abbia subito una flessione in termini di quantità prodotta del 15,3% e abbia visto in diminuzione anche le esportazioni di tessuti sia in valore (-5%) e in volumi (-10,4%), Squinzi ha tenuto a ribadire: “Il mondo del tessile italiano è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy riconosciuto nel mondo ma è anche un settore strategico per la sua natura di industria a monte della filiera, anticipatore dei trend, non solo economici, dell’intero mondo della moda. E’ uno dei punti di forza della produzione industriale italiana che rappresenta l’immagine di stile, qualità e valore italiano che tutto il mondo ci ammira e desidera possedere“.

A dimostrazione di quanto sostenuto dal presidente di Confindustria il miglioramento del saldo commerciale positivo, assicurato dal comparto tra gennaio-maggio 2012, che è passato da 793 milioni di euro dello scorso anno a 929 milioni di euro, in conseguenza del crollo delle importazioni.

Ma non solo. I dati registrati alla chiusura della manifestazione il 13 settembre hanno dato segnali incoraggianti: ben 21mila visitatori di cui una significativa parte proveniente da nazioni di tutto il mondo, in particolare dalla Cina (+75%), Giappone (+12%) e Federazione Russa (+4%), mentre stabili le presenze Usa ed europee, con un forte calo però di quelle inglesi.

Nata 7 anni or sono dalla convergenza dei più importanti saloni espositivi del tessile Italiano – Ideabiella, Ideacomo, Moda in e Shirt Avenue – a cui, nel tempo si è annesso un numero sempre più elevato di aziende, tra le maggiori della ripartizione tessile di Prato, Milano Unica parte dalla volontà e dalla voglia di tutelare e promuovere uno dei più fiorenti settori del Made in Italy.

Pinella PETRONIO