Fattura elettronica per tutti, cosa cambia dal 1° luglio: la guida

Cosa cambia nel regime di fattura elettronica a partire dal 1° luglio 2022? In primo luogo l’estensione della fattura elettronica è a quasi tutti i soggetti economici che finora ne erano esonerati dall’utilizzo. Infatti, da luglio saranno obbligati all’adempimento attraverso il Sistema di interscambio (Sdi) dell’Agenzia delle entrate i soggetti passivi dell’Iva fino a questo momento esonerati. Ovvero le partite Iva a regime forfettario, quelle a regime di vantaggio e gli enti rientranti nella legge 398 del 1991. L’obbligo scatta a chi ha conseguito un volume di compensi o di ricavi nel 2021 eccedente ai 25 mila euro. Al di sotto di questa soglia, l’obbligo scatterà solo a partire dal 1° gennaio del 2024.

Fattura elettronica: le partite Iva che fuoriescano dal regime forfettario sono obbligate dal 1° gennaio 2023

Sarà, dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2024 che l’obbligo di adottare la fattura elettronica scatterà nei confronti di proprio tutti, indipendentemente dal volume di ricavi o di compensi conseguiti nel 2022. A meno che non vengano a decadere i presupposti favorevoli all’esonero. Ad esempio, una partita Iva che fuoriesca dal regime forfettario e che adotti il regime ordinario è obbligata a utilizzare la fattura elettronica dal 1° gennaio 2023.

Chi è obbligato ad adottare la fattura elettronica da subito?

Pertanto, rientrano tra gli obbligati ad adottare la fattura elettronica dal prossimo 1° luglio i soggetti in regime di:

  • vantaggio, secondo l’articolo 227 del decreto legge numero 98 del 2011;
  • forfettari, secondo l’articolo 1 della legge numero 190 del 2014;
  • speciale come previsto dalla legge numero 398 del 1991. Si tratta delle associazioni senza fini di lucro, ad esempio. Per questi soggetti l’obbligo scatta purché nel periodo di imposta precedente abbiano conseguito dei proventi dall’attività commerciale per un tetto non eccedente i 65 mila euro.

A disciplinare l’obbligo di adozione della fattura elettronica è il comma 2, dell’articolo 18, del decreto legge numero 36 del 2022 (il cosiddetto decreto “Pnrr 2”). Il provvedimento modifica il comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015.

Quali altri requisiti bisogna possedere per l’adozione della fattura elettronica?

Pertanto, sono obbligati a passare al regime di fattura elettronica tutti i soggetti:

  • passivi Iva;
  • con residenza in Italia o stabili in Italia;
  • per la cessione dei beni o per la prestazione di servizi effettuati riguardo a un soggetto anch’esso residente o stabile in Italia.

I soggetti del reparto sanitario e i produttori agricoli devono emettere fattura elettronica?

In merito ai soggetti appartenenti al comparto sanitario, al momento non vi è ancora l’obbligo di adozione della fattura elettronica. Al contrario, i produttori agricoli – sia nelle vesti di cessionari che di committenti – che si trovino in regime di esonero dagli adempimenti dell’Iva il decreto dell’Agenzia delle entrate datato 30 aprile 2018 estende la possibilità di utilizzare il Sistema di interscambio, accessibile dalla propria area riservato del portale on line dell’Agenzia stessa.

Da quando decorre l’obbligo di fattura elettronica?

L’obbligo dell’adozione della fattura elettronica decorre dal 1° luglio 2022 per le partite Iva e i soggetti finora esonerati che nel precedente anno abbiano conseguito un volume di compensi o di ricavi di almeno 25 mila euro. La decorrenza per tutti gli altri soggetti è dal 1° gennaio 2024. A prevederlo è il comma 3 dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 (“Pnrr 2”). Pertanto, ai fini dell’obbligo di fatturazione elettronica bisogna far riferimento ai compensi e ai ricavi realizzati durante l’anno di imposta 2021. Nel caso in cui l’attività non sia stata svolta durante tutto l’anno scorso (ad esempio, gli operatori che abbiano aperto partita Iva a metà 2021), l’ammontare dei ricavi deve essere ragguagliato all’intero anno.

Chi ha aperto la partita Iva forfettaria nel 2022, deve adottare la fattura elettronica?

Cosa avviene per gli operatori economici che hanno aperto la partita Iva a regime forfettario nell’anno 2022 ai fini dell’obbligo di fattura elettronica? In questo caso, si ritiene che risulti irrilevante l’ammontare dei compensi e dei ricavi conseguiti nel corso di quest’anno. Dunque, chi ha aperto la partita Iva durante il 2022, adottando il regime forfettario o gli altri regimi speciali, è tenuto all’obbligo di fattura elettronica solo a decorrere dal 1° gennaio 2024. Tale decorrenza permane se sussistono i presupposti per l’adozione dei regimi di vantaggio fiscale anche nell’anno 2023. Ovvero, quelli previsti dal comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015 per l’esonero della fatturazione dei regimi speciali; e quelli del decreto 398 del 1991 per quanto riguarda i proventi delle attività commerciali svolte nel 2022 dagli enti (il tetto dei 65 mila euro).

Estensione della fattura elettronica dal 1° luglio 2022: cosa avviene nel primo periodo di applicazione?

Nel primo periodo di adozione a decorrere dal prossimo 1° luglio, la normativa non prevede l’applicazione nell’immediato delle sanzioni in caso di mancato utilizzo della fattura elettronica. Si tratta delle sanzioni previste dal comma 2, dell’articolo 6, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Infatti, il comma 3, dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 prevede che per tutto il terzo trimestre del 2022 (luglio, agosto e settembre), le sanzioni non sono applicate nel caso in cui la fattura elettronica dovesse essere emessa entro il mese successivo rispetto a quello nel quale si sia effettuata l’operazione. Pertanto, nel terzo trimestre dell’anno, chi entra a far parte dei nuovi obbligati all’adozione della fattura elettronica, non riceverà la sanzione nel caso in cui emetta il documento entro il mese successivo, diversamente dai termini previsti dal decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972.

Adozione della fattura elettronica, cosa avviene per l’esterometro?

Infine, l’obbligo di fattura elettronica per i nuovi soggetti comporta anche l’obbligo di comunicare, in via telematica all’Agenzia delle entrate, le operazioni effettuate nei riguardi di soggetti residenti all’estero. La relativa normativa prevista dal comma 3 bis dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015, esclude le sole operazioni per le quali sia stata emessa la fattura elettronica. Oppure per la quale sia stata emessa la bolletta doganale. Pertanto, la comunicazione prevista dall’esterometro potrà essere effettuata, già a partire dal terzo trimestre del 2022, mediante l’espletamento della fattura elettronica. I tempi sono quelli indicati dalle lettere a) e b), del comma 3 bis, dell’articolo 1, del decreto legislativo 127 del 2015.

Fatture a cavallo dell’anno e detraibilità: chiarimenti

In questa rapida guida andremo a cavallo di un argomento non trascurabile nel novero dell’economia dei contribuenti. Le fatture a cavallo dell’anno, come e quando sono detraibili? Vediamo alcuni chiarimenti in merito alla questione.

Fatture e detraibilità

Diciamo subito, in ambito piuttosto generico che rientrano nell’obbligo di pagamento tracciato, per fare alcuni esempi, le spese veterinarie, le spese funebri, le spese per attività sportive dei ragazzi, gli affitti degli studenti fuori sede, le spese di intermediazione immobiliare.

Quindi, attraverso le fatture delle sopra citate spese sarà possibile ottenere una detrazione fiscale dalle nostre tasse.

Andiamo, però a scoperchiare cosa dice uno specifico articolo in merito alle detrazioni:

L’art 1 del DPR n 100/1998 recita che “entro il giorno 16 di ciascun mese, il contribuente determina la differenza tra l’ammontare complessivo dell’imposta sul valore aggiunto esigibile nel mese precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell’imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, sulla base dei documenti di acquisto di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese (ai sensi dell’art 19 DPR 633/72) . Entro il medesimo termine di cui al periodo precedente può essere esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, fatta eccezione per i documenti di acquisto relativi ad operazioni effettuate nell’anno precedente“.

Chiarimenti su fatture a cavallo dell’anno

Con le fatture a cavallo dell’anno si fa riferimento a quelle fatture ricevute ad inizio anno, in merito ad acquisti effettuati sul finire dell’anno precedente.

Stando all’ultimo passaggio dell’articolo sopra citato, nel paragrafo immediatamente precedente, possiamo ben evidenziare che per le fatture a cavallo d’anno non si applica la regola generale di detrazione dell’imposta per i documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione della operazione.

Va quindi chiarito che non si può portare in detrazione, nella liquidazione riferita al mese di dicembre 2021 l’imposta relativa a una cessione di beni o prestazione di servizi il cui momento di effettuazione si verifica nel mese di dicembre 2021, se la corrispondente fattura sia ricevuta e annotata nei primi quindici giorni di gennaio 2022.

Ciò premesso con l’approssimarsi di fine anno è utile chiarire gli effetti che il momento dell’emissione della fattura e della ricezione della stessa determinano sulla esigibilità della imposta.

In particolare bisogna supporre che:

  • una operazione venga effettuata in data 30 dicembre 2021
  • la relativa fattura può essere generata e trasmessa con sistema di interscambio SDI entro l’11 gennaio 2022.

Lo specifico momento in cui si effettua l’operazione, non va a coincidere necessariamente con la data di emissione della fattura, dato che quest’ultima può essere emessa entro “dodici giorni dal momento di effettuazione dell’operazione determinata ai sensi dell’articolo 6”, ai sensi dell’art 21 comma 4 del DPR 633/72.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile ed essenziale da mettere in chiarimento in merito alla detraibilità di fatture a cavallo dell’anno.

Credito di imposta su investimenti, come recuperarlo se la fattura è stata già emessa

Si può recuperare il credito di imposta sull’acquisto di beni di investimento anche se la fattura è stata già emessa? La risposta è positiva, e questo può avvenire sia per la fattura cartacea che per quella elettronica. In questo modo, si può recuperare l’agevolazione vigente sull’acquisto di impianti, macchinari e attrezzature maturando il credito di imposta.

Per quali beni l’azienda può richiedere il credito di imposta fino al 30 giugno 2022?

La finanziaria 2021 ha stabilito che per gli investimenti fatti fino al 30 giugno 2022 spetti il credito di imposta pari al 45% del prezzo di acquisto. L’aliquota va applicata al netto dell’Iva. Il credito di imposta spetta nella misura piena per le imprese con sede nelle regioni del Sud Italia e del 30% per quelle situate in Abruzzo o in Molise. Per usufruire del credito di imposta, e dunque anche per i controlli successivi all’emissione della fattura, è necessario rispettare determinate regole.

Cosa avviene se si compra un impianto o un’attrezzatura senza l’indicazione in fattura?

Infatti, può capitare che il fornitore abbia venduto l’impianto, l’attrezzatura o il macchinario senza che l’azienda che ha comprato il bene abbia potuto beneficiare del credito di imposta. E che dunque sulla fattura non abbia indicato gli estremi dell’agevolazione. In questi casi è possibile recuperare l’eventuale mancanza degli estremi della fattura.

Cosa deve contenere la fattura per avere il credito di imposta sugli investimenti?

Infatti, è previsto per accedere al credito di imposta sull’acquisto di determinati sistemi e attrezzature rientranti nelle agevolazioni che sulla fattura e sugli altri documenti attestanti l’avvenuto acquisto sia riportato il riferimento alla norma che contiene l’agevolazione. In mancanza, e al compimento dei controlli, l’agevolazione stessa può essere revocata.

Credito di imposta, si può recuperare anche se la fattura è stata già emessa?

Prima dunque che avvengano i controlli, il richiedente il beneficio può regolarizzare il documento (ovvero la fattura) riportando gli estremi della norma sulla fattura originale. La regolarizzazione deve avvenire con scrittura indelebile ed eventualmente anche utilizzando un timbro apposito.

Come recuperare il credito di imposta sulle fatture elettroniche?

Sulle fatture elettroniche, invece, si può procedere in due modi:

  • stampando il documento di spesa e inserendo la scritta indelebile;
  • riportare l’integrazione elettronica unendola all’originale. In questo caso, bisogna conservare le due copie, l’ultima della quale deve essere un apposito file. Pertanto, il file deve essere allegato alla fattura elettronica originaria per l’invio al Sistema di interscambio (Sdi).

Per quali acquisti di beni strumentali si può avere di più di credito di imposta?

Il recupero del credito di imposta per investimenti in attrezzature, in sistemi o in impianti può far arrivare il beneficio fino al 95%. Infatti, la Finanziaria 2021 prevede che per l’investimento sostenuto entro il 30 giugno 2022 la percentuale del 45% possa essere maggiorata di un ulteriore 10% se entro il 31 dicembre 2021:

  • l’ordine sia stato accettato dal venditore;
  • sia stato anticipato dall’azienda che compra almeno un quinto del costo del bene acquistato.

Per gli acquisti sostenuti direttamente nel 2022, invece, il credito di imposta aggiuntivo è del 6%.

Per quali investimenti in sistemi, attrezzature e impianti si può arrivare al 95% di credito di imposta?

Alle percentuali sopra indicate, si possono aggiungere altre aliquote di credito di imposta per determinati beni rientranti nelle agevolazioni dell’Industria 4.0. Infatti, il credito di imposta aggiuntivo cresce dal 10 al 50% e dal 6 al 40% nei casi di acquisto:

  • di beni strumentali che funzionino con sistemi computerizzati o mediante sensori;
  • per sistemi che possano garantire la qualità e la sostenibilità;
  • di beni strumentali che implementino l’interazione dei macchinari con i lavoratori garantendo maggiore sicurezza sul posto di lavoro.

Rispettando tutte le norme previste per l’assegnazione del credito di imposta, il beneficio può arrivare fino al 95% del costo di acquisto dei macchinari, attrezzature e sistemi, indistintamente per ciascun settore di attività.

Quali sono le condizioni che la Finanziaria 2021 richiede per avere il credito di imposta?

Per ottenere il credito di imposta è necessario che l’azienda compratrice sia in regola con determinati obiettivi e normative. Infatti, l’azienda che richiede l’agevolazione deve essere in regola con il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali nei confronti dei dipendenti. Inoltre, è necessario che l’azienda stessa applichi correttamente le regole sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.

Associazione culturale senza Partita Iva può emettere fattura?

Senza fini di lucro, quella culturale è un’associazione che può essere costituita con lo scopo di diffondere e di promuovere iniziative a carattere non solo culturale, ma anche umanistico e artistico. Le figure chiave di un’associazione culturale sono i soci e gli attivisti che perseguono lo scopo per cui l’associazione culturale è stata costituita.

E nel farlo, anche per ottenere finanziamenti, i soci e gli attivisti puntano a coinvolgere le istituzioni pubbliche ed anche le aziende con il ruolo di sponsor. Nel perseguire lo scopo sociale, inoltre, all’associazione culturale è permesso ai sensi di legge pure si svolgere delle attività di natura commerciale anche se queste sono e devono essere minime, e quindi non prevalenti. Al riguardo, per esempio, un’associazione culturale senza la Partita Iva può emettere la fattura?

Ecco perché un’associazione culturale senza la Partita Iva non può emettere la fattura

Con il solo codice fiscale, e quindi senza la partita Iva, un’associazione culturale non può emettere la fattura. Questo però non significa che per un’associazione culturale l’apertura di una partita Iva sia obbligatoria. Fino a quando le sole entrate sono di natura istituzionale, infatti, l’associazione culturale può perseguire gli scopi prefissi pure senza la partita Iva.

Se invece per esempio, come sopra accennato, l’associazione incassa dei fondi tramite delle sponsorizzazioni, allora la partita Iva è in tal caso obbligatoria. In quanto per il legislatore quella relativa alla sponsorizzazione viene vista, in tutto e per tutto, come un‘attività commerciale.

Per avere dei rapporti di natura commerciale, quindi, un’associazione culturale deve avere una posizione fiscale attiva attraverso l’apertura di una partita Iva. E solo in questo modo potrà essere emessa regolare fattura distinguendo tra la base imponibile e l’aliquota applicata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. La società sponsor, a sua volta, con l’acquisizione della fattura potrà andare a scaricare l’Iva nonché il costo sostenuto per la sponsorizzazione stessa.

Quando un’associazione culturale deve aprire la partita Iva?

L’attività di un’associazione culturale deve essere in prevalenza di tipo non commerciale, ma in caso di introiti da sponsorizzazione, come sopra spiegato, l’apertura della partita Iva è obbligatoria. E lo stesso dicasi anche per altre operazioni come la cessione di beni nuovi o le attività di ristorazione che, comunque, non devono essere prevalenti. In altre parole, le entrate commerciali devono essere contenute affinché l’associazione culturale, rientrante tra gli enti non commerciali, mantenga valido il suo status.

L’associazione culturale può chiedere l’attribuzione del numero di partita Iva subito, ovverosia in concomitanza con l’attribuzione del codice fiscale, oppure può farlo in un secondo momento. Ed in ogni caso occorrerà compilare ed inviare all’Agenzia delle Entrate il modello AA7/10 per via telematica, a mezzo raccomandata postale oppure recandosi sul territorio presso un ufficio del Fisco.

Via posta raccomandata con la ricevuta di ritorno, al modulo occorre allegare pure la copia di un documento di identità in corso di validità del dichiarante. Mentre all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate occorre presentarsi con il modulo AA7/10 compilato in duplice esemplare. Aperta la partita Iva, l’associazione culturale sarà chiamata poi a rispettare nuovi adempimenti di tipo contabile e fiscale. Ragion per cui è bene in genere rivolgersi ad un commercialista esperto nel terzo settore.

Fattura falsa: quali rischi nell’emetterla?

E’ sempre un tempo di dubbi e rischi nelle attività commerciali ed è sempre vivo il dubbio nel corretto utilizzo della fatturazione. Oggi, andiamo a scoprire quindi cosa accade in caso di emissione di fattura falsa, quali rischi si possono incorrere.

Fattura falsa: cosa accade quando è emessa

Non tutti hanno chiara l’ idea di cosa sia una fattura falsa e cosa si rischia nel fare emissione di un documento fiscale a fronte di un’operazione che non esiste. Il motivo di base di emettere fatture false consiste nel poter scaricare dalle tasse dei costi mai sostenuti o giustificare un finanziamento ricevuto da qualche ente pubblico. Ma cosa si rischia?

A chiarire alcune questioni in merito, per quanti non conoscessero la legge fiscale, è stata la giurisprudenza e, in particolare, la Cassazione. Andiamo a vedere, cosa ci dice a riguardo.

Recentemente, la Cassazione ha, di fatto, spiegato cosa si rischia nell’emettere fatture false pure nel caso in cui colui che emette non consegue nessun utile. Cerchiamo allora di fare il punto della situazione per mettere in guardia chi dovesse compiere qualcosa di simile.

Si incorre nel reato, ad emettere fattura falsa?

Non tutti sono a conoscenza che non sempre l’evasione fiscale è un reato. Esso lo diventa solo se si superano determinate soglie di denaro sottratto all’Erario. Parliamo di soglie che possono variare a in base al tributo. Come si può andare nel penale per l’omesso versamento di Iva, quando non si dichiarano almeno 150mila euro in un anno mentre, per l’omesso versamento delle ritenute, si rischia perfino il carcere per somme da 100mila euro a salire. Per coloro che invece non presentano la dichiarazione dei redditi, scatta un reato perseguibile da 50mila euro in su.

Tuttavia, ciò non significa che chi non raggiunge tali tetti limite non venga punito. Anzi, costui riceverà comunque delle sanzioni tributarie e, qualora non le pagasse, si palesa la cartella esattoriale e il pignoramento dei beni. Tuttavia non si incorre nel reato penale che possa fare testo sulla fedina penale.

Per quanto concerne, in questo caso il problema dell’emissione di fatture false, le cose cambiano. Qui, infatti, non sono previste soglie minime che fanno da “salvagente” per non costituire il reato. In buona sostanza, l’illecito penale scatta già a partire da una singola operazione inesistente, pur essa dal valore modesto.

Sarà, dunque sufficiente che il soggetto che emette fattura falsa, agisca con l’intenzione di consentire ad un terzo di evadere le imposte, risultando del tutto irrilevante se quest’ultimo effettivamente consegua o tenti di conseguire l’indebito rimborso.

Cosa si rischia con una fattura falsa?

Per andarla a fare breve, senza troppi giri a largo, per chi compie reato di emissione di fatture false il rischio è quello della reclusione da 18 mesi a 6 anni.

La consumazione del reato, in tal caso, coincide con l’emissione o il rilascio del primo documento in ordine temporale, mentre il termine di prescrizione, invece, decorre al momento dall’emissione dell’ultimo documento.

Il dipendente di un’azienda che emette fatture false, utilizzate a scopo di truffa rischia di dover rispondere di concorso nel reato, a nulla rilevando la possibile difesa che eccepisce l’assenza del dolo specifico o la semplice esecuzione di ordini provenienti dal proprio datore di lavoro senza alcun intento evasivo. Quindi, nulla di buono, anche per il dipendente.

La condanna al reato vale anche per chi non trae vantaggio?

Fatto il reato trovata la condanna, ma quale è quella che andrà a punire colui che emette fatture false, è la domanda che ogni birbantello potrebbe porsi. Come detto sopra si rischiano guai seri. Ma tale rischio riguarda anche chi non trae profitto economico, oppure no? Stando a quanto rivela la Cassazione, la condanna la si rischia per fatture false o per chi emette documenti fittizi anche senza trarne un vantaggio economico.

Anche perché le operazioni di emissione di fatture inesistenti (o false) vedranno inevitabilmente coinvolti due soggetti, ovvero una ditta che emette le fatture e una ditta che le utilizza, quindi traendone vantaggio portandole in detrazione, inserendole nella propria contabilità.

Dunque, adesso che è tutto più chiaro, non resta che assicurarvi di emettere regolari fatture, non facendovi tentare o distrarre da eventuali emissioni di fatture false e vivrete serenamente. Così facendo, non correrete seri.

Leggi anche: Fattura elettronica errata: guida alle soluzione per gli errori più comuni

Pagamento fatture insolute: come si invia modello di sollecito?

Oggi ci addentriamo in quel mondo di fatture insolute e di pagamenti fluttuanti in sospeso, di procedure per inviare solleciti e tutto ciò che lo attornia. Andiamo a scoprire una rapida guida sulle procedure di pagamento di fatture insolute e come inviare il modello di sollecito.

Fatture e modelli solleciti: scopriamone di più

Al giorno d’oggi le attività di recupero crediti sono sempre più all’ordine del giorno, sia esse attraverso solleciti di pagamento e sia con atti di precetto, dal momento in cui per le aziende risulta difficile incassare il corrispettivo per la vendita di beni o l’erogazione di servizi. Questa infausta tendenza a procrastinare i tempi di pagamento è spesso dovuto dalla crisi economica, a maggior ragione in questo periodo di pandemia globale e attività al collasso, con notevoli problemi di liquidità non solo alle imprese che devono incassare una fattura emessa, ma anche a coloro che la devono saldare.

Per quanto riguarda la fatturazione, va detto che i soggetti passivi IVA che vanno ad effettuare prestazioni di servizi o cessioni di beni (ad esclusione dei casi di esonero), sono tenuti all’emissione della fattura, che dovrà contenere le indicazioni relative alla ditta, alla ragione sociale, alla residenza, quindi ubicazione della stabile organizzazione, nel caso in cui i soggetti non siano residenti ed in ultimo la partita IVA di colui che emette. Nel caso in cui non si abbia a che fare con imprese, società o enti, sarà necessario indicare nome e cognome della persona fisica.

Come si compone la fattura

  • Contenuto della fattura: è obbligatorio indicare la natura, la quantità e la qualità di beni e servizi forniti, corrispettivi e dati che costituiscono la base imponibile, con annessi eventuali sconti, premi e l’aliquota e l’ammontare dell’imposta .
  • Emissione della fattura: la fattura va emessa nel momento della consegna per beni mobili o alla stipula del contratto per beni immobili, al pagamento (anche se si tratta di acconto) per i servizi.
  • Pagamento della fattura: Il pagamento della fattura deve essere effettuato entro 30 giorni dalla ricezione del documento, in caso in cui sia inerente ad acquisti di beni e servizi, effettuati da un acquirente diverso dal consumatore finale. Nel caso in cui l’acquisto sia di prodotti deteriorabili è necessario, invece, saldare entro 60 giorni dal ricevimento della fattura.

Sollecito di pagamento: come funziona e come inviare il modulo di sollecito

Quando il pagamento va per le lunghe, il creditore può mandare un sollecito di pagamento della suddetta fattura, attraverso mezzi di spedizione che possano attestarne la ricezione del documento. Il sollecito primario potrà avere un tono da nota informativa, potremmo dire, quasi bonario. Sarà possibile utilizzare un modello di sollecito tra i vari presenti online, ma è comunque necessario che la lettera di sollecito contenga sia i dati identificativi del creditore sia l’importo dovuto con annessi numero e data della fattura insoluta, e in caso non fosse il primo sollecito, occorre inserire il numero delle precedenti lettere di sollecito inviate. Nel momento in cui neanche il secondo sollecito dovesse andare a buon fine, sarà opportuno rivolgersi ad un consulente legale, che attraverso raccomandata a/r avrà modo di costituire in mora il creditore. In questo caso sarà, dunque, obbligatorio indicare le somme dovute e, se superano 77,47 euro, apporre una marca da bollo da 2 euro, da poter annullare con inchiostro indelebile.

Caccia all’evasione 2.0

 

Un nuovo modo per ‘scaricare’ le tasse, o meglio gli evasori. Si chiama Tassa.li, la nuova app per Android e Apple che permette di segnalare direttamente dal proprio smartphone chi evade il fisco. Come?

Basterà scaricare sul proprio cellulare l’app gratuita e tenere gli occhi aperti: Tassa.li permette infatti agli utenti di segnalare in tempo reale e in modo anonimo ogni abuso al fisco. Scontrini mancati, fatture non emesse, importi non corretti. L’idea è semplice e intuitiva: basterà scrivere l’importo della mancata ricevuta e indicare a quale delle quattro categorie fa parte (bar e ristoranti, locali notturni, servizi, negozi) e premere invio. Il gioco è fatto: la segnalazione è partita. Grazie infatti al sistema di localizzazione satellitare dei cellulari la posizione dell’evasore viene rilevata e inviata immediatamente al server di Tassa.li.

Un vero e proprio data base stana-evasore, che ha già raggiunto quota 27 mila utenti che hanno inviato oltre 43 mila segnalazioni tramite il sistema ‘Tassa.li’. In coordinamento con la Guardia di Finanza e le Forze dell’Ordine, la nuova app ha già permesso l’individuazione di oltre 7 milioni e 300mila euro di evasione.

Tassa.li è nata da un’idea di un giovanissimo imprenditore, Edoardo Serra, che insieme a un gruppo di ‘malati di tecnologia’, fra cui alcuni studenti del Politecnico di Milano ha dato vita alla nuova application. L’app era già stata lanciata a luglio 2011, ma solo dopo il boom dei controlli di finanza nelle varie città italiane ha conquistato la ribalta di giornali e siti web. Per chi non possiede uno smartphone, Tassa.li è disponibile anche in versione web.

Iva: slitta al 31 dicembre lo spesometro over 25mila euro

La scadenza per la comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini Iva riferita al periodo d’imposta 2010 è stata prorogata al prossimo 31 dicembre. La proroga riguarda i dati relativi alle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate e ricevute dai soggetti passivi, di importo non inferiore ai 25mila euro. E’ quanto si evince dal provvedimento del direttore dell’Agenzia del 19 settembre 2011, che ha introdotto anche un aggiornamento circa le specifiche tecniche che tengono conto delle indicazioni fornite dalle associazioni di categoria.

Il provvedimento del 22 dicembre 2010 prevedeva, in linea con il Dl 78/2010, per tutti i soggetti Iva, l’obbligo di comunicare in via telematica all’Agenzia delle Entrate le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, di importo pari o superiore a 3.000 euro, al netto dell’Iva. Per le operazioni senza obbligo di emissione della fattura, ovvero giustificate da scontrino o ricevuta fiscale, il limite fissato è invece di 3.600 euro, al lordo dell’Iva.

Per garantire un’introduzione graduale dell’adempimento, il provvedimento del 22 dicembre ha previsto, per l’anno d’imposta 2010, l’obbligo di comunicare le sole operazioni per le quali è stata emessa o ricevuta una fattura di importo non inferiore a 25mila euro.

Il nuovo termine, che, con il provvedimento odierno passa dal 31 ottobre 2011 al 31 dicembre 2011 riguarda, dunque, solo le operazioni di importo pari o superiore a 25mila euro, per il periodo d’imposta 2010.

A.C.

L’Agenzia delle Entrate autorizza l’integrazione della fattura del prestatore di servizi UE

Una delle questioni più dibattute dopo l’entrata in vigore, dal 1° gennaio 2010, delle novità IVA in materia di territorialità delle prestazioni di servizi generiche, oggi disciplinate dal nuovo art. 7-ter, D.P.R. 633/1972, riguardava l’obbligo, per il committente italiano, di emettere autofattura ai sensi del novellato art. 17, comma 2, D.P.R. 633/1972. Nel corso degli incontri con la stampa specializzata avvenuti nel mese di gennaio, l’Agenzia delle Entrate aveva anticipato la possibilità, più agevole per il committente italiano, di procedere alla semplice integrazione della fattura del prestatore UE in luogo dell’autofattura letteralmente richiesta dalle nuove norme. Con la Circolare n. 12/E del 12/03/2010, l’Agenzia ufficializza varie risposte date informalmente nelle scorse settimane e rende esplicitamente applicabile l’integrazione della fattura UE, così come già avveniva ed avvine per gli acquisti intracomunitari di beni.

Questa soluzione, auspicata da tutti gli operatori, semplifica la gestione documentale delle prestazioni in commento ma non evita evidentemente la necessità di presentare periodicamente gli elenchi Intra-Servizi.

L’Agenzia ricorda infine che l’integrazione della fattura non implica deroghe alle generali disposizioni in merito al momento di effettuazione dell’operazione.

Dott. Mauro Michelini