Federalimentare, un prodotto su cinque viene venduto all’estero

 

Dal 5 all’8 maggio prossimo a Parma andrà in scena l’edizione 2014 del Cibus, la principale fiera alimentare italiana. In vista della manifestazione, Federalimentare ha diffuso i dati relativi al settore. Quasi il 40% delle imprese alimentari è già impegnato sui mercati internazionali, poiché un prodotto alimentare nostrano su cinque viene esportato all’estero: il 62,5% in Europa, 10,6% negli Usa, 1,8% in America Latina, 1,5% in Australia, 1,7% in Medio Oriente, 5,3% in Asia, 0,7% nel Sud Est Asiatico.

“I dati più recenti dell’export di settore rimangono positivi – dice Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – stanno andando deluse, tuttavia, le speranze di un’accelerazione del passo espansivo dell’export 2013, dopo il +6,9% registrato nel 2012, a compensazione della caduta inarrestabile del mercato interno. E’ la conferma delle difficoltà del settore a svincolarsi dalla stretta della crisi e ad inserirsi finalmente nel punto di svolta verso convincenti profili di ripresa. Da qui la validità della tradizionale scelta strategica di Federalimentare di organizzare assieme a Fiere di Parma Cibus 2014, alla ricerca di ogni possibilità di contatto e di ogni spunto di sviluppo e sostegno della proiezione export-oriented delle imprese italiane, soprattutto le piccole e medie imprese”.

Aumento dell’Iva, il grido delle imprese

Sicuramente quello che fa più rumore mediaticamente riguardo all’aumento dell’Iva al 22% dall’1 luglio prossimo è la stangata che colpirà e famiglie, specialmente quelle meno abbienti. Non dimentichiamo però che questo punto percentuale in più sarà una maledizione anche per le imprese, già provate pesantemente dalla crisi e dalla mancanza di domanda interna.

Proprio per questo motivo imprese di tutti i settori sono scese in campo contro il detestato aumento. Dai distributori di alimentari ai giocattoli, dalla musica alle imprese del mondo agricolo e dei servizi (ossia tutti i settori merceologici i cui beni saranno colpiti dall’aumento), diverse associazioni hanno scritto al presidente del Consiglio Letta chiedendo di scongiurare l’aumento dell’Iva e dare ai consumatori e alle imprese un segnale forte di sostegno, in un momento di estrema difficoltà.

Afi, Agrinsieme, Ancc Coop, Ancd Conad, Assogiocattoli, Ceced Italia, Centromarca, Federalimentare, Federdistribuzione, Federlegnoarredo, Fimi  e Univideo sostengono che l’aumento di un punto di Iva provocherebbe un ulteriore rallentamento dei consumi deprimendo ancora di più la domanda interna, che deve al contrario essere rilanciata per far ricrescere il Pil.

Si legge nella lettera: “Le più recenti stime effettuate da centri studi e istituti specializzati indicano, a regime, l’impatto di questa misura in un aggravio di costi pari a oltre 160 euro a famiglia, fatto tanto più grave in considerazione delle 9 milioni di famiglie che versano in situazioni di difficoltà economica, di cui 5 milioni a rischio povertà”.

L’aumento dell’Iva avrebbe infatti effetti pesanti sul settore distributivo, su quello della produzione industriale, sull’agricoltura e sul mondo dei servizi, con conseguenze anche sui livelli occupazionali. Le associazioni firmatarie auspicano che il Governo, pur in una situazione di difficoltà nel recuperare risorse, trovi una soluzione definitiva a questo difficile problema, dando così un chiaro segnale ai consumatori italiani e alle imprese che hanno ancora la volontà di investire in questo Paese”. Dura farsi ascoltare…

Federalimentare: no all’aumento dell’Iva

Il potere di acquisto delle famiglie, già ridotto all’osso dalla crisi economica, rischia di diminuire ulteriormente a causa dell’imminente aumento dell’Iva, che dovrebbe passare da 21 a 22%.

La disamina è di Federalimentare, che ha voluto, nella persona del suo presidente, Filippo Ferrua Magliani, lanciare l’allarme alla vigilia delle decisioni importanti che il Governo dovrà prendere: “Il passaggio dell’IVA dal 21 al 22% coinvolgerebbe oltre il 30% del carrello della spesa alimentare, pari a circa 70 miliardi di Euro. E ad essere colpite sarebbero soprattutto le famiglie a basso reddito dove il peso dell’alimentare sulla spesa complessiva sale dal 17% fino al 25-30%”.

Si tratta, inoltre, di una stima prudente, poiché non considera gli effetti moltiplicatori dell’aumento dell’IVA, capaci di colpire l’intera filiera, con alcuni alimenti più vulnerabili di altri.
Ad esempio, a rischio di rincaro ci sono acque minerali, caffè e tè, vino, birra, succhi di frutta, limonate, cole e altre bevande gassate, fino al cibo per cani e gatti.

Senza contare le ripercussioni che ciò avrebbe sulla nostra economia: gli italiani si vedrebbero costretti a tagliare sulle spese, facendo tardare ancora la ripresa, assolutamente necessaria per rimettersi in carreggiata.

Conclude Ferrua Magliani: “Questa zavorra non è sopportabile ne per le tasche dei consumatori ne per l’industria alimentare, che sta vivendo una congiuntura difficile, con prospettive di ripresa lenta e sofferta rimandate, nella migliore delle ipotesi, al 2014. Inoltre l’impatto di questo provvedimento sarebbe tanto più grave in quanto accelererebbe e rafforzerebbe la tendenza alla flessione dei consumi alimentari delle famiglie, che da inizio 2013 stanno subendo il calo più marcato dall’inizio della crisi: -4,5% in valori costanti, quasi la meta’ del calo accumulato nell’ultimo quinquennio”.

Vera MORETTI

Il cibo italiano parla anche thailandese

Si sta svolgendo in questi giorni a Bangkok, e chiuderà i battenti domenica 26 maggio, la decima edizione di Thaifex – World of food Asia 2013, il grande salone internazionale dedicato al food and beverage, che ospita anche una “Area Italia” cui partecipano 100 aziende alimentari italiane.
Lo spazio espositivo dedicato al Made in Italy è stato curato da Fiere di Parma, Federalimentare e Koelnmesse, ovvero la stessa organizzatrice di Anuga, la rassegna tedesca del food and beverage leader nel mondo.

L’importanza di Thaifex è cruciale, poiché rappresenta la porta di entrata verso i mercati emergenti del Sud Est Asiatico. Inoltre, dal 2015 sarà pienamente operativo l’ASEAN, una sorta di mercato comune della regione che comprende Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia e che interessa un mercato potenziale di 600 milioni di consumatori.

Fare i nomi di tutti gli espositori italiani è impresa ardua, ma, tra loro, ricordiamo: Parmareggio, Pastificio La Molisana, Pastificio Granoro, Consorzio Mozzarella di Bufala, Consorzio Pomodoro San Marzano, Grissin Bon, Saclà, Acqua Minerale San Benedetto, Noberasco, Coppini, Caffè Trombetta, Consorzio del Casalasco.

Nell’ambito di Thaifex 2013, inoltre, si è svolto anche il Thai-Italian Networking Party, una serata all’insegna del gusto italiano e thailandese tenutosi il 22 maggio presso l’Impact Exhibition Center e dedicato a 400 buyer e operatori selezionati dai Paesi dell’area ASEAN, con la partecipazione di giornalisti nazionali e internazionali, che hanno potuto entrare in contatto diretto con i cibi e le imprese italiani.
Non sono mancati degustazioni e show cooking, che hanno permesso di avvicinarsi maggiormente alla cultura gastronomica Made in Italy.

Domani, sabato 25 maggio, si terrà inoltre una tappa del Cibus Market Check 2013. Le aziende italiane espositrici potranno visitare i punti vendita ed incontrare in loco i buyer delle principali catene distributive thailandesi: The Mall, The Central, Big C, Siam Makro e altri ancora.

Vera MORETTI

Certificazioni alimentari per favorire il Made in Italy

Per tutelare e favorire maggiormente le strategie di valorizzazione e di internazionalizzazione del Made in Italy, il Ministero dello Sviluppo Economico promuove un ampio programma di diffusione delle certificazioni agroalimentari presso le aziende italiane.

Si tratta di un’iniziativa che vede la collaborazione di FederBio e Federalimentare, e che si avvale delle competenze tecniche di Fiere di Parma e del contributo dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e del Centro Islamico Culturale d’Italia per le tematiche culturali e scientifiche di rispettiva competenza.

Tale progetto ha, tea i suoi obiettivi, quello di diffondere la certificazione di qualità dei prodotti biologici e delle certificazioni religiose Halal e Kosher, intesi come leve di marketing e validi strumenti per la promozione e la protezione delle eccellenze alimentari del Made in Italy, oltre ad un rafforzamento della competitività del sistema produttivo nazionale nei mercati esteri.

Sono previsti alcuni seminari informativi, il primo dei quali si è tenuto il 2 maggio presso Unindustria Napoli, durante i quali le aziende partecipanti riceveranno informazioni dettagliate, grazie anche alla presenza di esperti settoriali che affronteranno tematiche tecniche e potenzialità di commerciali derivanti dall’accesso alle diverse certificazioni.

Vera MORETTI

Se il prosecco arriva sulle note del tango

 

La guerra al Prosecco ‘tarocco’ è appena cominciata. E poco importa se si tratti di brasiliano, neozelandese o made in Melbourne, spacciarsi per bollicine nostrane non va già ai produttori di vino e prosecco DOP.

L’ultimo in ordine di arrivo è il famigerato Prosecco di Buenos Aires: note tanguere, bouquet speziato con un retrogusto di pampa e note di fondo che evocano la Terra del Fuoco. “Noi produttori di vero Prosecco DOP siamo arcistufi. Quello scovato a Buenos Aires e’ solo l’ultimo caso, in ordine di tempo, di Prosecco ‘tarocco’”: sono le parole con cui Mirco Battistella, produttore 27enne veneto delle celebri bollicine trevigiane, denuncia l’ultima scoperta enologica proveniente dalla Slovenia. Nel corso di  ‘Slovenian Wine Event’, la kermesse enogastronomica organizzata dall’Hotel Kempinski Palace è stato scoperto un Prosecco spacciato per made in Italy e commercializzato in Sudamerica, con tanto di leone marciano come logo in etichetta, prodotto da uve coltivate nella campagna attorno alla città argentina di Mendoza, al confine con il Cile.

Anche l’Argentina ci scippa il Prosecco – prosegue Battistella.Siamo arrabbiati e demoralizzati, mentre nell’azienda Battistella e in centinaia di altre piccole e grandi aziende italiane si produce del Prosecco DOP – vino a denominazione protetta tutelato dalla UE ndr – rispettoso di un rigido disciplinare, garanzia di qualità per il consumatore, in Argentina, viene prodotto un vino ‘metodo classico’ dal nome ‘Proseccus Vino Espumoso Prosecco’ che del vero Prosecco DOP ha davvero poco se non il nome”.

Battistella denuncia la situazione in cui si trovano ad operare i produttori di Prosecco DOP: “Da una parte ci troviamo costretti ad operare in un mercato nazionale e internazionale che valorizza bollicine sempre più economiche, talvolta ‘veicolate’ con il nome prosecco, anche se in etichetta la magica parola Prosecco non e’ inserita: bensì si leggono ‘Glera’ o nomi di fantasia. Stiamo vivendo, infatti, un abbassamento costante dei prezzi, fenomeno allarmante e, negli ultimi 12 mesi, sempre più frequente e tendente a dinamiche di dumping. Dall’ altra l’attuale contesto normativo non e’ in grado di tutela, e quindi valorizzare, all’ estero le peculiarità della Denominazione: il nome ‘Prosecco’ ad esempio

E il tema dell’Italian sounding è tra le questioni poste al centro dell’incontro che si è tenuto il 12 dicembre a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Mario Catania, e i rappresentanti delle maggiori organizzazioni della filiera agroalimentare nazionale: Sergio Marini, presidente di Coldiretti, Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, Giuseppe Politi, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori, Franco Verrascina, presidente di Copagri, Maurizio Gardini, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane – settore Agroalimentare, e Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare.

Qualche numero: l’italian sounding “scippa” al nostro paese 50 miliardi, con 2 prodotti alimentari su 3venduti all’estero che di italiano hanno soltanto il nome. La pirateria agroalimentare è il nuovo fenomeno da combattere, almeno a suon di bollicine.

Agriventure e Federalimentare a sostegno del made in Italy

 

Intesa San Paolo, tramite la società di consulenza per l`agribusiness Agriventure e Federalimentare hanno sottoscritto un protocollo d`intesa a sostegno del cibo made in Italy e di tutte le imprese agroalimentari che vogliano valorizzare le proprie produzioni.

Il patto, siglato nell`ambito del IX Forum dei Giovani imprenditori di Federalimentare dal titolo “Alimentare, la crescita dell`Italia”, ha lo scopo di sostenere l’innovazione della filiera delle aziende impegnate nel settore agricolo e alimentare, che oggi sono arrivate a quota 1,7 milioni aziende.

Intesa Sanpaolo si propone di sostenere gli operatori dell’agribusiness nel trovare concrete soluzioni operative che consentano di attuare progetti imprenditoriali, capaci di creare un valore aggiunto ai prodotti made in Italy, anche attraverso un approccio di filiera che permetta di operare sul timing delle reali esigenze degli operatori del comparto.

In particolare la convenzione siglata da Agriventure e Federalimentari vuole far leva sulla diffusione di contratti di rete d`impresa per l`agricoltura, quale modalità di aggregazione utile per supportare la competitività delle aziende, prevedendo lo sviluppo di sinergie e l’integrazione tra tutti i soggetti coinvolti. Questo consentirebbe lo sviluppo di nuovi canali di vendita e l’avvio di azioni promozionali coordinate per contrastare in maniera più efficace il fenomeno dell`Italian Sounding che sottrae 54 miliardi di euro al fatturato dell`agroalimentare italiano.

Paolo Zanetti vicepresidente di Federalimentare

Paolo Zanetti è vicepresidente di Federalimentare in rappresentanza di Assolatte: il quarantenne bergamasco è anche Presidente dei Giovani Imprenditori di Assolatte, Vice Presidente dei Giovani di Federalimentare e partecipa attivamente alla vita della Confindustria bergamasca.
E’ inoltre alla guida, con fratelli e cugini, di una delle più importanti realtà casearie italiane, un’azienda con un giro d’affari di 400 milioni di euro leader nella produzione di Grana Padano e Parmigiano Reggiano.

Nonostante la crisi economica e la stasi dei consumi interni, lo scorso anno latte, burro, formaggi e yogurt hanno raggiunto un fatturato record di 15 miliardi di euro, mentre sempre nel 2011 – l’industria italiana ha esportato più di 280.000 tonnellate di formaggi, per un valore che ha sfiorato i 2 miliardi di euro.

“Anno dopo anno, i nostri prodotti arrivano su mercati sempre più lontani e rafforzano la propria presenza su quelli più vicini. Sono risultati importanti – ha affermato Zanetti – ma potremmo fare di più se fossimo messi in condizione di competere ad armi pari con la concorrenza internazionale. Per questo chiediamo maggior attenzione alle nostre richieste di imprenditori e una normativa che faciliti il nostro lavoro, che tuteli l’immagine dei prodotti italiani all’estero”.

Spesa di Pasqua: in calo del 30%

Calano del 10% gli ordini dei pacchi regalo, di uova, di colombe e degli altri prodotti tradizioni per la Pasqua nei piccoli negozi, mentre l’agnello segna addirittura -30% a vantaggio di carni più economiche. E’ quanto emerge dalle rilevazioni di Fiesa Confesercenti. “Le previsioni di consumo nel commercio alimentare al dettaglio sono pessimistiche”, afferma l’associazione in una nota.

Parte della responsabilità sarebbe della “banalizzazione di alcuni prodotti venduti sottocosto dalla grande distribuzione organizzata che così ne ha ridotto valore simbolico e prestigio”, secondo Fiesa. La crisi e il carocarburanti fanno il resto: “le prime anticipazioni sui dati inflattivi di marzo indicano l’inflazione al 3,3%, rispetto a marzo 2011, mentre l’indice per gli alimentari evidenzia un aumento dei prezzi di 2,5%”, continua Fiesa. “In un quadro di forte inasprimento fiscale che colpirà le famiglie e di aumenti trainati dai carburanti i consumatori sono sempre più oculati negli acquisti delle specialità alimentari anche in occasione di ricorrenze molto sentite”, conclude l’associazione.

Per la Confederazione italiana agricoltori (Cia), gli italiani spenderanno complessivamente circa 3,5 miliardi di euro, cifra analoga allo scorso anno, ma con un calo delle quantità acquistate stimato tra il 5 e il 7%. Anche per la Cia, i rincari dei carburanti, uniti agli aumenti dei prezzi di molte produzioni tipiche del periodo, hanno svuotato il già magro carrello alimentare delle famiglie. A incidere maggiormente sulla spesa saranno proprio i prodotti classici della Pasqua, come le uova di cioccolata (+5-8%), le colombe (+3%), l’agnello (+6 %), il salame corallina (+10%), le uova di gallina (+2%) e la pizza al formaggio (+4%). Nel dettaglio, l’associazione agricola ha calcolato voce per voce le spese: 800 milioni di euro per salumi, insaccati e soprattutto carne di agnello; 650 milioni per i formaggi; 610 per vini e spumanti; quasi 500 per le uova di cioccolata e le colombe pasquali; 290 per frutta, verdura (in particolare carciofi, asparagi e radicchio) e legumi; 280 per pane e pasta; 200 solo per l’olio d’oliva. Da non dimenticare, infine, le uova vere e proprie: durante tutta la settimana santa se ne consumeranno quasi 500 milioni, più di otto a testa, per una spesa complessiva prevista intorno ai 135 milioni di euro.

“La Pasqua 2012 conferma quanto avvenuto a Natale, con un calo del 2% nell’acquisto di prodotti per la tavola, a valori costanti” afferma Federalimentare che prevede “un 2012 difficile, con una tavola sempre più povera a causa della contrazione del potere d’acquisto dovuta da un lato al perdurare della crisi e dall’altro al costante incremento della pressione fiscale”. Il Centro Studi Federalimentare stima che per la Pasqua gli italiani spenderanno circa 3 miliardi di euro per imbandire la tavola. Una cifra che, depurata dall’inflazione, corrisponde a un calo reale di oltre due punti percentuale in quantità. “Nemmeno la Pasqua ci porta buone sorprese confermando le nostre preoccupazioni per il futuro. Lo scorso fine settimana, l’ultimo prima delle festività e immediatamente a ridosso del pagamento degli stipendi mensili, ha lasciato deluse molte attese, anche a causa di una busta paga alleggerita dall’aumento delle addizionali regionali” commenta il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua secondo il quale “per i prossimi mesi si continua a non intravedere alcun segno di ripresa”.

Fonte: repubblica.it