L’Italia tornerà la numero uno nel turismo?

Nonostante l’estate sia cominciata da poco, c’è già chi si lecca le ferite: dati alla mano, infatti, anche il 2013 si sta profilando critico per quanto riguarda il settore del turismo.
E se gli stranieri, in giro per città, spiagge e montagne del Belpaese, sembrano sempre tanti, non sono ancora sufficienti per battere i più acerrimi concorrenti.

Se, infatti, fino agli Anni 80, era l’Italia il Paese più visitato del mondo, ora è solo quinto, superato soprattutto dalla Francia, ora prima in classifica.
Ma se i cugini d’oltralpe possono vantare città d’arte e paesaggi ameni quasi inimitabili, non si può dire lo stesso di Gran Bretagna e Germania, che non possono certo contare sulla ricchezza del nostro patrimonio culturale.

Ma tant’è. E i numeri, pur essendo dignitosi, non ci permettono di riprenderci uno scettro che spetterebbe a noi di diritto, considerando la moltitudine di proposte turistiche che l’Italia è in grado di offrire.
La presenza di turisti su territorio nazionale è in calo del 7%, e pari a 47,4 milioni di turisti stranieri (98 milioni se si aggiungono anche gli italiani), contro i 70 milioni della Francia.

Alla luce di questi risultati, Giorgio Squinzi ha dichiarato: “Il turismo deve essere trattato come una questione nazionale, una materia prima straordinaria da utilizzare per dare un contributo forte alla crescita del Paese“.
Così si è espresso il presidente di Confindustria durante la giornata dedicata alla rinascita competitiva del settore turistico, organizzata da Federturismo a Roma.

Ciò che Squinzi auspica è raddoppiare il contributo che il turismo dà al Pil (5,4% in via diretta e fino al 10% se si considera l’indotto): “Non è un sogno impossibile, ma un obiettivo raggiungibile“. Per far sì che ciò avvenga, occorrono interventi su più livelli: “Infrastrutture, trasporti, burocrazia, degrado del territorio, beni culturali“.

Renzo Iorio, presidente di Federturismo, ha aggiunto: “Serve innanzitutto la revisione del Titolo V della Costituzione. Le Regioni ora hanno troppi poteri e manca un progetto nazionale sul turismo“.
Per questo Federturismo, con un lavoro durato 15 settimane che ha coinvolto 350 imprenditori del settore, ha stilato un libro bianco sull’Italia turistica, che analizza i fattori che frenano la competitività e indica le possibili soluzioni per ridare slancio e crescita al settore e al Paese con ricette ad hoc per ogni territorio: “Uno strumento forte che va usato per pungolare i nostri interlocutori a livello locale“.

Una base di partenza, però, c’è, ed è quel piano strategico messo a punto dall’ex ministro del Turismo Piero Gnudi, e da prendere in considerazione, come ha dichiarato Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, la quale vede anche in Expo 2015 una grossa opportunità di crescita.

Un primo passo avanti verso un programma “non promozionale ma industriale”, come ribadito da Giorgio Squinzi, è il programma europeo Cosme, sulla competitività delle imprese che includerà per la prima volta dei fondi dedicati proprio alle imprese del turismo.

Vera MORETTI

Protocollo d’intesa per migliorare la formazione in ambito turistico

In una città come Venezia, il turismo rappresenta una delle prime risorse economiche.
Per questo, è stato siglato un protocollo d’intesa per favorire, nelle scuole, la formazione di figure professionali competenti nel settore turistico.

A firmare l’accordo, il 18 dicembre a Palazzo Balbi a Venezia, erano presenti gli assessori alla formazione, Elena Donazzan, e al turismo, Marino Finozzi, l’Ufficio Scolastico Regionale rappresentato dalla dott.ssa Francesca Sabella, i presidenti regionali di Confturismo, Marco Michielli, Federturismo, Antonello De’ Medici e Assoturismo, Francesco Mattiazzo.

Marino Finozzi ha dichiarato: “Con la firma di puntiamo tutti, istituzioni e sistema economico, a disinceppare il meccanismo che impedisce o ostacola l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in un settore che tira, dove la qualità del personale è preziosa e che non è delocalizzabile”.

Con questa importante firma, dunque, le autorità coinvolte si impegnano a potenziare le competenze in materia di accoglienza del turista, ma anche di favorire gli stage e l’alternanza scuola-lavoro nel settore.

Vera MORETTI

Una tassa in valigia

di Alessia CASIRAGHI

In principio fu Venezia, poi è toccato a Firenze e Roma. La tourist tax, la tassa di soggiorno da mettere in conto e soprattutto in valigia quando si viaggia, sembra pronta a diffondersi a macchia d’olio. Dallo scorso primo marzo infatti anche la città di Pisa ha scelto di applicare la tassa sui soggiorni nelle città italiane.

Se in Francia è già tradizione da un pezzo (la prima fu istituita nel 1910), in Italia fa ancora discutere l’opportunità di applicare o meno l’aggravio fiscale per chi è in viaggio.

Mentre Milano si mostra ancora reticente, a Roma la tourist tax è già in vigore dal 1 gennaio 2011: 2 euro a notte per hotel fino a 3 stelle, mentre si sale a 3 euro per le sistemazioni in hotel di categorie superiori, per un massimo di 10 pernottamenti totali. A Firenze il contributo del viaggiatore può variare da 1 euro a notte per gli alberghi a 1 stella, fino a 5 euro per gli hotel 5 stelle.

Non va meglio a Venezia: tre tasse diverse per ciascuna zona della città sull’acqua. Centro storico, isole della laguna e terraferma, possono costare ai turisti da 0,30 centesimi a 5 euro al giorno, per un massimo di 5 notti.

Ma come funziona la tourist tax? Ogni comune ha la possibilità di stabilire l’ammontare tassa, modulata secondo la categoria della struttura alberghiera. Al comune spetta inoltre la facoltà di stabilire un determinato numero di giorni di validità della tassa. Gli importi possono variare da un minimo di 0,50 centesimi fino a un massimo di 8 euro a notte per gli alberghi più lussuosi, un rincaro che può incrementare anche del 10% il prezzo totale.

Se la tourist tax è già una realtà consolidata nella maggior parte delle grandi città europee, Parigi e Amsterdam in testa, qual è la sua utilità in termini di introiti in Italia? Appare scettico Renzo Iorio, presidente di Federturismo – Confindustria e membro di Aica, l’Associazione Italiana Catene Alberghiere, che denuncia la mancanza in Italia di una normativa chiara ed efficace circa l’applicazione e l’utilizzo della tourist tax: “Se questi soldi servono, bisogna avere il coraggio di dire che devono pagarla tutte le imprese del turismo – afferma Iorio – dai ristoranti, ai musei, agli ostelli, ai bar. Se si vuole lasciare la tassa di soggiorno serve una normativa chiara sul fatto che il gettito vada a salvaguardia territori e non a coprire buchi bilancio”.