Sondaggio: “La Fiat lascia l’Italia? Questione di sopravvivenza”

C’era una volta la Fiat. Dalla fusione tra Lingotto e Auburn Hills nasce la Fiat Chrysler Automobiles, «un’azienda che, per dimensioni e capacità di attrazione sui mercati finanziari, sia comparabile ai migliori concorrenti internazionali, il Consiglio – si legge nella nota diffusa dalla Società poco dopo l’ufficializzazione del nuovo nome – ha deciso di costituire Fiat Chrysler Automobiles N.V., società di diritto olandese che diventerà la holding del Gruppo». Sede legale in Olanda e residenza fiscale in Inghilterra, mentre le azioni ordinarie quotate a New York e Milano. Ergo, l’azienda nata nel 1899 a Torino non pagherà più le tasse al nostro Paese.

Vista la portata storica della notizia, non potevamo non dedicare il nostro consueto sondaggio sull’evento che ha caratterizzato la settimana: “Colpo gobbo di Marchionne, la Fiat lascia l’Italia. Sede in Olanda e domicilio fiscale in Inghilterra”.  Ad un passo dalla maggioranza assoluta l’opzione di risposta “Lasciare il Paese è l’unica soluzione per sopravvivere. Sia per le grandi sia per le piccole imprese” con il 47% dei voti totali, che stacca notevolmente la seconda in ordine di preferenze, l’ironica e pungente “Che almeno non faccia più vedere i suoi tremendi maglioncini nel nostro Paese…” Questione di sopravvivenza quindi per quasi la maggioranza dei nostri lettori, che non giudica negativamente il lavoro, spesso discusso, dell’amministratore delegato Sergio Marchionne. Superano, sommate, di poco un quarto dei voti le opzioni di risposta “A pagare le tasse in Italia rimarrò io con la mia impresa” (16%) e “Compra una Fiat e risolleva l’economia Italia. Certo, come no!” (11%).

Jacopo MARCHESANO

Marchionne munge l’Italia e scappa

di Davide PASSONI

Partiamo da un punto: a noi l’ingegner Marchionne non dispiace. Ben lungi dall’allestirgli altarini devozionali e dal valutare ogni sua mossa come la trovata geniale del manager del secolo, ci mancherebbe altro. Però il suo lavoro, da bravo uomo d’azienda che deve portare profitto più alla proprietà che agli azionisti lo ha sempre fatto; nell’interesse della Fiat (ossia degli Agnelli) e delle proprie tasche. Nulla di scandaloso.

In questa logica rientra anche la fresca nascita di Fiat Chrysler Automobiles, la scelta della sede legale in Olanda e del domicilio fiscale nel Regno Unito: tasse più razionali e, soprattutto, più basse, significano maggiori margini da reinvestire in sviluppo e prodotti (si spera…) o da dividere tra azionisti e proprietà (più probabile). Tutto logico, razionale.

Peccato che in questa manovra di espatrio manchi una parola che, per chi fa business e impresa in maniera un po’ romantica – e non è il caso del manager col pullover -, ha ancora un peso e un valore: riconoscenza. Riconoscenza verso l’Italia. Al netto dei tanti modelli di auto toppati negli anni dalla Casa di Torino e da strategie di mercato sbagliate, l’Italia ha dato i natali a Fiat per poi metterla nelle condizioni di perdere quote di mercato in modo spaventoso, è vero: grazie a un costo del lavoro tra i più alti in Europa, a politiche del lavoro ferme a 40 anni fa, a sindacati fermi al XIX secolo, alla schizofrenia fiscale che ha reso il Paese un terreno da cui fuggire a gambe levate. Però è la stessa Italia che ha salvato l’azienda più volte con i soldi pubblici (i nostri, anche quelli di chi ha una Peugeot o una Bmw), anche nell’era Marchionne; che si è inventata gli incentivi alla rottamazione; che ogni volta che per l’azienda vi era un costo se lo metteva in capo mentre, quando per l’azienda c’era un ricavo, questo andava agli azionisti; che si è sfondata di ammortizzatori sociali senza ammortizzare il malessere sociale.

Insomma, Marchionne ha la residenza in Svizzera, Paese notoriamente zeppo di mucche i cui proprietari gli hanno insegnato bene una cosa: a mungere la vacca fino a che si può e, quando le mammelle sono vuote, ciao a tutti. La vacca continuerà a mangiare per fare ancora latte, ma servirà ad altri perché ormai troppo caro (Electrolux?); chi l’ha munta per anni venderà altrove il formaggio, con margini migliori.

Qualcuno dirà che l’Italia se l’è meritato, qualcun altro dirà che è una mossa infame, qualcun altro ancora aspetterà di capire se davvero, come comunicato dall’azienda, stabilimenti e livelli occupazionali in Italia non subiranno contraccolpi. Noi diciamo una cosa: ma almeno un grazie, no?