Filiera moda, ecco chi guadagna di più

Mentre partono oggi a Milano le sfilate della Fashion Week, la filiera moda si interroga sul proprio futuro e fa i conti con il proprio presente. Un presente fatto anche e soprattutto di numeri buoni, come quelli dell’export, degli occupati e delle retribuzioni; dati che, nel caso della filiera moda, riservano piacevoli sorprese.

I dati in questione sono stati elaborati rapporto JobPricing relativo a “Le professioni della moda” e parlano di un fatturato 2014, per la filiera moda e tessile, di 52,4 miliardi (+3,3% anno su anno), di un valore dell’export di 28,5 miliardi (+3,9% anno su anno) e, soprattutto, di un numero di addetti che, in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, non è da disdegnare: 48.590 imprese della filiera moda (-1,6% anno su anno) che danno lavoro a 411mila persone (-0,3%).

Dati molto interessanti sono quelli che il rapporto JobPricing ha estrapolato riguardo alle retribuzioni nell’ambito della filiera moda. Una filiera che viene distinta in “Moda e Lusso” e “Tessile, Abbigliamento e Accessori”. Nel primo dei due comparti, secondo Job Pricing, la retribuzione annua lorda media sfiora i 30mila euro (28.990 +1,1% rispetto alla ral media in Italia), nel secondo si attesta a 26.550, con uno scarto più sensibile rispetto alla ral media italiana: -7,2%.

Il rapporto si è premurato poi di analizzare le retribuzioni a seconda dei vari profili professionali impiegati nella filiera moda e tessile. Relativamente ai profili più specifici, JobPricing rileva che figure operative come la sarta o l’addetto al telaio non hanno retribuzioni stellari: 22.768 euro/anno lordi per la prima, 21.087 per il secondo. Va meglio a un fashion stylist (26.621 euro/anno lordi) o a un disegnatore tessile (39.890), per non parlare del direttore creativo, che se la passa decisamente bene con 68.746 euro/anno lordi).

Spostandosi sulle figure professionali della filiera moda impiegate sul punto vendita, secondo JobPricing un visual merchandiser percepisce 32.183 contro i 35.258 di uno store manager, mentre tra le figure “d’ufficio” il direttore qualità arriva addirittura a 114.386 euro/anno lordi, il responsabile magazzino prodotti a 35.849, un addetto stampa a 33.240.

La conclusione del rapporto è che, nella filiera moda, i dirigenti percepiscono una retribuzione tra le più alte di tutto il mercato del lavoro italiano, mentre quelli della filiera tessile si piazzano ben sotto, solo al 15esimo posto.

Milano Moda Donna e filiera moda lombarda

Cresce l’attesa per le sfilate di Milano Moda Donna e, insieme ad essa, crescono anche i numeri relativi alla filiera moda italiana. Un settore che è il fiore all’occhiello della piccola e media impresa e che, nei giorni delle sfilate milanesi, porta sotto i riflettori il contributo che le regioni italiane, la Lombardia ospite in primis, portano alla filiera moda nazionale.

Secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat e dati del registro delle imprese al secondo trimestre 2015 le imprese attive nella filiera moda sono 36mila in Lombardia, con circa 200mila addetti. A Milano ci sono 13mila imprese, con 84mila addetti; a seguire, in regione, Brescia, Varese e Bergamo con circa 4mila imprese ciascuna. Quasi 20mila addetti tra Como, Bergamo, Varese e Brescia.

Un importante contributo alla causa lo danno le imprese femminili, che in generale, nella filiera moda, rappresentano una percentuale significativa, ancora di più in Lombardia, dove sono quasi una su due. Sono infatti più di 13mila le imprese della filiera moda a conduzione femminile in Lombardia, pari al 38% del totale regionale e contribuiscono per una buona fetta all’interscambio lombardo nella filiera moda, che nei primi sei mesi del 2015 è stato di 10,8 miliardi, di cui 6,1 di export.

E, a proposito di export, la filiera moda italiana e lombarda cercano di riprendersi un posto al sole. Nello specifico, l’export lombardo è in aumento verso il continente asiatico (+20%) e verso quello americano (+13%), tanto che, sul totale nazionale, la Lombardia vale da sola il 23% delle esportazioni e il 28% delle importazioni.

Nel dettaglio, metà delle esportazioni della filiera moda regionale parte da Milano, per un controvalore di 3 miliardi; tra le province che esportano di più anche Como (770 milioni), Varese (475 milioni), Bergamo (459 milioni) e Mantova (411 milioni). In totale, cresce dell’11,6% l’import regionale e del 2% l’export.

Un 2015 in affanno per la filiera della tessitura

La settimana che inizia oggi ci porta dritta dritta all’appuntamento con le sfilate di Milano Moda Donna e, come spesso accade, diventa l’occasione per fare il punto sullo stato di salute della filiera moda italiana.

Un settore industriale che è fatto di molte realtà, tra le quali una delle più significative è quella della filiera della tessitura, che purtroppo sta vivendo un 2015 in chiaroscuro dopo i buoni risultati registrati durante il 2014. Lo ha certificato il centro studi di Smi – Sistema moda Italia, elaborando i dati Istat relativi ai primi due trimestri del 2015, registrando un rallentamento generalizzato sui vari indicatori.

Secondo le elaborazioni di Smi, dopo sette trimestri (tutti quelli del 2014 e il 2°, 3° e 4° del 2013) nei quali vi è stata una crescita della produzione da parte della filiera della tessitura caratterizzati da una crescita della produzione del settore, i primi due trimestri del 2015 hanno riportato rispettivamente un calo del 4,7% e uno del 3,6%, che hanno portato la contrazione della filiera della tessitura nel primo semestre 2015 a -4,1% rispetto al primo semestre 2014.

Dati che, a differenza di altri settori, per la filiera della tessitura hanno risentito negativamente di un export molto debole nei primi 5 mesi dell’anno, con un -4,9% delle vendite verso i Paesi dell’Ue. Deboli anche le importazioni per la filiera della tessitura, calate di un complessivo 4%, figlio della contrazione dei mercati intra-Ue (-2,8%) ed extra-Ue (-4,6%). Basti dire che l’export della filiera della tessitura è stato negativo verso tutti i 3 maggiori e storici partner commerciali: Germania (-8,3%), Romani (-4,3%) e Francia (-1,3%). Note positive, per fortuna, da Stati Uniti (+15,2%), Cina (+12,7%), Hong Kong (+9,8%), Turchia (+2,9%) e Portogallo (+2,1%).

Del resto, la filiera della tessitura arrivava da anni di performance più che positive. Alla fine del 2014 il settore aveva riportato un fatturato di circa otto miliardi di euro, +3,3% rispetto al 2013, con un valore della produzione salito del 2,5% a 6,1 miliardi di euro, così come quello delle esportazioni (+2,9%, a 4,4 miliardi): dati che avevano portato il saldo commerciale con l’estero in attivo per ben 2,3 miliardi di euro.

Quello però che preoccupa gli operatori della filiera della tessitura italiana è che il rallentamento del primo semestre del 2015 potrebbe alla lunga interessare l’intero anno, vanificando i segnali di ripresa che l’economia generale lascia intravedere.

Moda italiana, quanta fatica…

La congiuntura economica ancora difficile e le molte turbolenze internazionali non hanno impedito alla moda italiana di archiviare un 2014 solo in parte soddisfacente. Il comparto moda italiana ha infatti registrato, lo scorso anno, un fatturato di 61 milioni e 621mila euro, con un +3,7% rispetto all’anno precedente.

Numeri, questi della moda italiana, che sono stati messi in luce dal report “Fashion economic trends”, realizzato su elaborazioni di dati Istat e diffuso nei giorni scorsi dalla Camera nazionale della moda italiana. Un buon viatico, anche considerando la Milano Fashion Week in corso in questi giorni.

Tuttavia, però, il report dimostra sì che il fatturato dell’industria della moda italiana è cresciuto più della media dell’industria nazionale, ma i suoi ritmi sono ritenuti “in ogni caso insufficienti“, in particolare nel terzo trimestre 2014, l’ultimo disponibile, nel quale la crescita si è fermata al di sotto del +3%.

Manco a dirlo, alla base di questa lentezza del comparto della moda italiana vi sono soprattutto un mercato interno ancora fiacco e una stagnazione dei prezzi. La crescita nei primi 10 mesi dell’anno è stata quindi inferiore alle attese (+3,2%).

Se non altro, l’export per la moda italiana è cresciuto del 4,8%, con un fatturato previsto nel 2014 di 47 milioni e 389mila euro. Un buon risultato se si considera che i mercati emergenti hanno lasciato a desiderare e che l’export in Russia, a causa delle sanzioni, è nettamente crollato.

Lo scorso anno, il fatturato dell’industria moda italiana ha rallentato prima del previsto, portando a una modesta crescita del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2013. Nel terzo trimestre ha rallentato anche il fatturato estero, con un +3,5% in linea con le previsioni, mentre l’incremento del fatturato sul mercato italiano è stato inferiore alle attese: +2,1%. Hanno pesato molto i cali di agosto, -5,9% rispetto ad agosto 2013 e di ottobre (-1,7%). Dati che, aggregati, portano a una crescita del fatturato della moda italiana nei primi 10 mesi del 2014 a +3,2%.

Entrando nei singoli comparti della moda italiana, quelli più dinamici nel 2014 sono risultati la pelletteria (+6,5%), il calzaturiero (+3,8%) e il tessile (+3,4%). L’abbigliamento si è fermato a un modesto +1,1%, probabilmente dovuto alla forte spinta deflattiva dei prezzi registrata nella seconda metà del 2014. Insomma, anche la moda italiana fatica a ritrovare una sua dimensione nel quadro della crisi.

Moda italiana, numeri da record

È pur vero che i grandi della moda italiana senza i piccoli laboratori e le eccellenze artigianali non sarebbero nessuno, o quasi; ma resta il fatto che i marchi top del fashion made in Italy nel 2013 hanno fatto registrare performance migliori di quelle della grande industria.

Lo ha rilevato un’analisi di Mediobanca svolta sui fatturati dei grandi marchi della moda italiana: se nel 2013 la grande industria italiana ha visto un calo del fatturato dell’1,9%, le aziende moda Italia nello stesso periodo hanno fatto segnare +1,4% e il TopModa addirittura un +4,4%.

Tra le aziende top della moda italiana, Prada ha fatto segnare la crescita più forte, con un +129,8% di ricavi sul 2009, seguita da Ferragamo (+103,8%). Il fatturato di Prada, la più grande fra le aziende del TopModa, è stato di 3.587 milioni, secondo Armani (2.186 milioni) e terza la OTB di Renzo Rosso (1.552 milioni). Valentino (+21%) ha fatto segnare la maggiore crescita di fatturato sul 2012, seguita da Ferragamo (+9%), Prada (+8,8%), OTB (+4,8%) e Armani (+4,5%). In calo solo, tra i big della moda italiana, Max Mara (-0,4%) e Miroglio (-6,2%).

Secondo Mediobanca, il giro d’affari mondiale della moda italiana è stato nel 2013 di circa 218 miliardi di euro. L’Europa è stata il primo mercato mondiale con circa 74 miliardi di euro (+2% sul 2012), le Americhe il secondo a 70 miliardi, seguite dall’Asia-Pacifico a 46 miliardi, mentre scende a 17 miliardi il mercato giapponese.

Mediobanca rileva anche come sia in forte espansione lo shopping turistico, del quale la moda italiana ha bisogno come dell’aria. Il cosiddetto travel retail rappresenta infatti il 50-60% del totale locale, un mercato stimato in circa 6 miliardi di euro in Italia e 40 in Europa. Lo shopping online vale circa 10 miliardi di euro, con una crescita del 20%-30% nel 2014.

Venendo ai dati macro dell’intera filiera della moda italiana, questa comprende circa il 18% di tutte le imprese manifatturiere, pari al 15% della loro occupazione. Mediobanca si attende che nel 2014 il settore della moda italiana produca un saldo commerciale positivo per oltre 25 miliardi, pari a circa il 26% del saldo commerciale manifatturiero italiano.

Un settore che fa dell’export il suo cavallo di battaglia, tirato, nel 2014, da pelletteria, tessile e abbigliamento. Nelle manifatture della moda italiana, il 56% della forza lavoro è femminile, contro il 27,5% dell’intera manifattura italiana, con una punta del 73% nell’abbigliamento. Mani di fata che decretano il successo della moda italiana nel mondo.

La filiera moda lombarda e la Milano Fashion Week

La Milano Fashion Week che si apre domani è la vetrina mondiale della filiera moda italiana. Una filiera che trova nel capoluogo lombardo e nella regione terreno assai fertile. Secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2014 e 2013, nella regione sono 35mila le imprese attive nella filiera moda, di cui circa una su tre si concentra a Milano (13mila). La filiera moda in Lombardia vede oltre 14mila imprese attive nella produzione e 20mila nel commercio; insieme danno lavoro 234mila persone, di cui quasi 100mila a Milano.
Dopo Milano, la provincia più attiva nella filiera moda è Brescia, che conta oltre 4mila imprese; seguono Varese e Bergamo con oltre 3mila, Como con quasi 3mila, per un totale di oltre 20mila addetti. Nonostante i numeri incoraggianti, la Camera di commercio rileva come rispetto al 2013 sono in calo le imprese della filiera moda in Lombardia, passate da 34.868 a 34.525. Crescono, invece, a Milano: da 12.626 a 12.740.

Secondo i dati della Camera di commercio, sono a conduzione maschile due imprese su tre di produzione nel settore della filiera moda regionale (65%); sono di più a Varese, Milano, Bergamo e Brescia (dove sono sette gli uomini su dieci imprese), meno a Bergamo e Brescia (sei su dieci).

E la filiera moda regionale va forte anche nell’export: +5,3% in un anno per la moda lombarda. Tra le province che esportano più di 100 milioni di euro, nei primi nove mesi del 2014 crescono di più Como (+13%) e Mantova (+7%). Milano nella media lombarda (+5,4%). I maggiori esportatori lombardi sono a Milano (1,5 miliardi di moda esportata nei primi nove mesi del 2014), Como (380 milioni), Mantova (292 milioni), Bergamo, Varese e Brescia (intorno ai 200 milioni). Per un totale di 3,1 miliardi in nove mesi. Sono in forte crescita i mercati della Cina e di Hong Kong (+28%), ma anche quello degli Stati Uniti (+11%).

Filiera moda alla prova della Milano Fashion Week

Si aprirà il 25 febbraio la settimana della moda donna a Milano, ormai nota internazionalmente come Milano Fashion Week. Un appuntamento irrinunciabile per gli appassionati di moda, i blogger, i buyer e soprattutto per le migliaia di imprese della filiera moda che rappresentano lo scheletro su cui i grandi brand e i grandi stilisti costruiscono le loro fortune.

Naturalmente, a farla da padrona durante la settimana è la città di Milano, che ospita la Milano Fashion Week ma svariate aziende della filiera moda, come ha rilevato la locale Camera di Commercio elaborando i dati Istat per i primi 9 mesi del 2014, 2013 e 2012.

Dall’analisi della Camera di Commercio di Milano emerge che la moda “made in Milan” piace all’estero, tanto che in due anni l’export è cresciuto del +10%, in un anno del 3%. Si è passati dai 3,6 miliardi dei primi nove mesi 2012 cubati dalla filiera moda ai 4 miliardi dello stesso periodo del 2014: quattrocento milioni in più in nove mesi.

Su base annuale, l’incremento corrisponde a mezzo miliardo in più di vendite. Su un totale italiano di 35 miliardi di export, la filiera moda di Milano pesa l’11%, mentre Firenze e Vicenza, con 3 miliardi di export ciascuna, hanno una parte importante negli scambi esteri di settore.

Il prodotti della filiera moda milanese si diffondono all’estero in due anni grazie ai mercati dell’Asia orientale e della Cina, con 200 milioni di richieste in più, in particolare dalla Cina (114 milioni in più) e da Hong Kong (89 in più). Seguono Stati Uniti (60 milioni in più) e Unione Europea (64 milioni), con la sola Francia che ha richiesto 36 milioni in più.

Interessanti i dati sulle destinazioni dei prodotti della filiera moda italiana, divisi per tipologia di prodotto. Il “made in Italy” di moda vede protagonista la Francia per i tappeti (il 14% di tutta la richiesta di tappeti italiani) e indumenti da lavoro (19%), la Germania per il tessuto non tessuto (20%), il Regno Unito per maglieria (9%) e intimo (8%), la Grecia per lo spago (5%), il Portogallo per il cuoio (5%), la Spagna per l’intimo (8%), la Repubblica Ceca per il tessuto non tessuto (6%), l’Africa Settentrionale per maglia (10%) e spago (10%), l’America del nord per i tessili (11%) e la pelle (13%), il Medio Oriente per i tappeti (11%), l’Asia Orientale e la Cina per pelle (22%), accessori (28%) e pelliccia (24%).

Filiera moda, finché c’è export c’è speranza

È iniziato ieri a Milano il rito mondano della Settimana della Moda Donna. In tutto 67 sfilate, 69 presentazioni e 36 eventi per mostrare ai compratori e alla stampa il meglio della moda femminile made in Italy delle collezioni Primavera Estate 2015. Ai compratori, soprattutto, stranieri. Perché se è vero che l’industria italiana del tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria e delle calzature archivierà il 2014 con un fatturato vicino ai 62 miliardi di euro, in rialzo del 4,2% sull’anno precedente, lo deve soprattutto all’export con una crescita stimata per fine anno al +4,8%, cioè a quasi 47,4 miliardi secondo le stime elaborate da Hermes Lab per la Camera nazionale della moda italiana.

A proposito di made in Italy, come ogni anno grande successo ha fatto registrare Milano Unica, la più importante manifestazione tessile internazionale organizzata in Italia giunta quest’anno alla sua diciannovesima edizione, nata dall’enorme esperienza, dalla qualità e dalla tradizione di quattro marchi della rappresentanza fieristica tessile italiana, Ideabiella, Ideacomo, Shirt Avenue. Al Salone hanno partecipato 410 espositori, di cui 74 europei, tra le presenze straniere numericamente più significative sono da segnalare in crescita quelle di: India (+38%), Giappone (+44%), Turchia (+28%), Paesi Bassi (+7,5%), USA (+6,5%) e Spagna (+6%). Stabili quelle del Regno Unito, Germania e Francia, mentre in leggero calo le presenze della Cina  (-4%). In flessione: Corea del Sud (-41%),  Russa (-21%) e Hong Kong (-18%). Dati che ricalcano a grosso modo l’andamento delle esportazioni italiane nella prima parte del 2014.

“L’andamento delle presenze – ha spiegato Silvio Albini presidente di Milano Unica – conferma due convinzioni su cui Milano Unica si sente fortemente impegnata. La prima è che il futuro è nella capacità della tessitura italiana ed europea di stare ancor di più nel mondo. La seconda è che l’Europa deve diventare il nostro mercato domestico. La strada è ancora lunga e accidentata, ma confido che le nuove Istituzioni, in primo luogo il Parlamento europeo e la Commissione Europea, formatesi a seguito del voto della scorsa primavera, sappiano farci fare dei passi avanti a difesa e sostegno della manifattura continentale”.

“A livello internazionale, comunque, si assiste a una crescente attenzione nei confronti della qualità intrinseca dei tessuti italiani – ha concluso il presidente Albini -. Lo dimostrano recenti importanti acquisizioni e anche nuovi modelli di business che si stanno affermando a livello internazionale nell’abbigliamento e che hanno il tessuto Made in Italy come elemento caratterizzante e distintivo”.

JM

Giusti: “Il made in Italy è il futuro del nostro manifatturiero”

 

La filiera tessile costituisce senza dubbio uno dei punti di forza del manifatturiero made in Italy e, conseguentemente, la sua ripresa può costituire una valido punto di partenza per una più generale ripartenza dell’economia del nostro Paese, in particolare per quelle filiere che, insieme ad essa, costituiscono il più ampio “sistema moda” italiano. Continuiamo oggi il nostro approfondimento a riguardo intervistando Luca Giusti, presidente Unionfiliere, Associazione delle Camere di Commercio per la valorizzazione delle filiere del Made in Italy.

Dott. Giusti, secondo i dati Istat nel primo semestre del 2014 la produzione di tessuti italiana è cresciuta del 7,6% e il Centro Studi di Sistema Moda Italia prevede un andamento positivo anche per la seconda parte dell’anno. La ripresa della filiera del tessile può rappresentare il punto di partenza per la ripresa dell’intera economia italiana?
La crisi che le imprese hanno affrontato e da cui ancora non sono del tutto uscite è stata una crisi strutturale e non solo congiunturale. Questo ha comportato un rimodellamento della filiera e, purtroppo, la chiusura di molte aziende che non hanno saputo o non hanno potuto vincere questa dura sfida. La cosa importante, comunque, è che non si siano perse le competenze, cioè quelle capacità artigianali, creative e tecniche che hanno consentito al nostro made in Italy di affermarsi nei mercati internazionali.

Trasparenza è la vostra parola d’ordine, il consumatore deve sapere non soltanto che cosa mangia ma anche cio’ che indossa.
La richiesta di una sempre maggiore trasparenza anche nella filiera moda è la conseguenza naturale della globalizzazione dei mercati. Il consumatore, messo di fronte ad una moltitudine di offerte, comincia a porsi domande che vanno oltre l’estetica e la qualità del prodotto e riguardano anche l’impatto sociale ed ambientale del capo che acquista.
Per questo tipo di consumatore, la trasparenza delle informazioni è fondamentale perché fa la differenza tra l’acquistare o meno un prodotto.
La “trasparenza” è diventata, di conseguenza, un’esigenza per le aziende che vogliono conquistare il mercato e la tracciabilità del prodotto è la risposta a questa nuova esigenza. Per questo stiamo investendo, da alcuni anni, sul progetto TFashion: il sistema di tracciabilità volontario delle Camere di Commercio italiane, che attraverso un’etichetta consente di comunicare al consumatore la storia del prodotto.

Una sola etichetta che contiene piu’ informazioni, un vero e proprio passaporto del prodotto?
Esatto! TFashion racconta la storia del prodotto andando oltre gli obblighi di informazione previsti dalla legge.
Oggi, per restare competitivi, non è più sufficiente offrire un buon prodotto, occorre anche comunicare con chiarezza ulteriori informazioni: dall’origine all’assenza di sostanze nocive, al rispetto delle persone e dell’ambiente. Ben 240 aziende con il coinvolgimento di oltre 1.400 fornitori dei principali distretti italiani hanno aderito a TFashion. Un risultato estremamente positivo perché vuol dire che, nonostante la crisi, le imprese hanno intercettato i cambiamenti del mercato e stanno investendo su strumenti, come la tracciabilità TFashion, di qualificazione dell’intera filiera moda.

E’ più importante valorizzare o tutelare il made in italy ?
Il made in Italy va tutelato e ben vengano tutte le misure normative volte alla difesa delle nostre aziende da fenomeni di concorrenza sleale.
Ma non ci possiamo limitare a questo: la vera sfida è andare oltre la tutela e costruire un sistema innovativo e sempre più efficace di valorizzazione del made in Italy. Con TFashion le Camere di commercio vogliono promuovere nel mondo una filiera moda italiana più etica, autentica e trasparente per essere al fianco di quelle imprese e di quegli imprenditori che hanno intrapreso percorsi innovativi di sviluppo mostrando, al tempo stesso, attenzione al contesto in cui operano. Questo made in Italy va difeso ma anche sostenuto e valorizzato perché rappresenta il futuro manifatturiero del nostro Paese.

Jacopo MARCHESANO

Filiera moda, non solo sfilate

 

Non solo sfilate, non solo l’esasperazione di un lusso quasi sempre autoreferenziale e sfrenato, attorno al mondo della filiera moda, con le sue 50mila imprese in tutt’Italia, c’è molto di più. Una filiera particolarmente diversificata e completa, che vede sul territorio la presenza sia di imprese operanti nelle fasi a monte della filiera, come la filatura e le tessitura, sia di imprese operanti nella confezione. C’è un comparto da 80 miliardi di fatturato che nel quinquennio di crisi economica ha perso circa un quinto delle imprese e ridotto notevolmente le esportazioni.

Ma c’è un comparto, soprattutto, che ha deciso di non mollare. Out of fashion, per esempio, è un corso di alta formazione, il primo del genere in Italia, che partirà tra poche settimane a Milano, finalizzato alla creazione di nuove startup che possano intraprendere l’avventura in filiera: green fashion, ethically made, sistema dei makers e rapporto arte-moda sono solo alcuni dei moduli che compongono il corso. «Anche la moda deve essere promotrice di comportamenti etici che, lungi da costituire un limite o vivere solo nella dimensione dell’utopia o dell’ideologia , possono essere propulsivi all’attività imprenditoriale – ha dichiarato la fondatrice Anna Detheridge -. Per questo Out of fashion prevede la creazione di una community on e offline che sviluppi un network virtuoso di conoscenza e contatti, favorendo una simbiosi tra valore etico e opportunità di mercato».

Da Milano a Firenze, città chiave della moda italia. È stato firmato ieri nella città toscana un protocollo che sancisce l’avvio operativo di un progetto nato due anni fa dalla collaborazione, tra gli altri, di Gucci, Università di Firenze, ConsorzioCentoperCento e Comune di Scandicci: la totalità dei rifiuti delle imprese che aderiranno al progetto sarà destinata al recupero e al riciclo. Gli scarti di lavorazione saranno riciclati come ammendante per l’agricoltura (per quanto riguarda la pelle), o utilizzati nell’edilizia (per la realizzazione di pannelli di rivestimento) o utilizzati come combustibile per il recupero energetico. “Gucci è da sempre attenta ai temi di sostenibilità ambientale – ha affermato Chiara Corini, WW Leathergoods Operations Director di Gucci – e questo accordo rappresenta un ulteriore passo verso questa direzione. Il nostro rapporto con il territorio di riferimento è molto stretto e riteniamo opportuno che l’atteggiamento responsabile si estenda anche agli scarti di lavorazione della filiera”.

Jacopo MARCHESANO