Rita: i vantaggi fiscali della tassazione che può essere dimezzata

La Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) permette un doppio vantaggio legato all’adesione dei fondi pensione. Il primo consiste nella possibilità di andare anticipatamente in pensione, anche in conseguenza di determinate condizioni (disoccupazione) che possono presentarsi nel corso della carriera lavorativa. Il secondo vantaggio consiste in una tassazione dimezzata, con evidenti benefici fiscali.

Pensione anticipata, le opzioni della Rendita integrativa Rita

La Rita è stata introdotta nell’ordinamento italiano con la legge numero 232 del 2016 e resa strutturale con la legge numero 205 del 2017. Si tratta di uno strumento assicurato dai fondi pensione le cui potenzialità, in termini di prestazione previdenziale anticipata, possono essere sfruttate da due platee di contribuenti. La prima possibilità è quella di poter accedere alla prestazione previdenziale dopo aver raggiunto i 20 anni di contributi da lavoro. Per beneficiare della prestazione è necessario non essere a più di cinque anni dalla pensione di vecchiaia, attualmente fissata a 67 anni. Con questi requisiti si può presentare domanda della rendita assicurata dalla Rita.

Prestazione Rita in caso di inoccupazione: possibilità di pensione dai 57 anni di età

La seconda opzione è la possibilità di accedere alla rendita Rita per inoccupazione. Più nel dettaglio del comma 4 b del decreto legislativo 252 del 2005, è necessario che il beneficiario abbia cessato il rapporto di lavoro ed esaurito la fase di inoccupazione della durata di almeno 24 mesi. In questo caso il contribuente deve trovarsi a non più di 10 anni dalla pensione di vecchiaia, avendo dunque la possibilità di anticipare la rendita a partire dai 57 anni di età. Per questa seconda opzione non è richiesto un minimo di contributi alla gestione contributiva obbligatoria, ma è necessaria l’iscrizione al fondo pensione da almeno 5 anni.

Imposta sostitutiva sulle rate Rita, l’aliquota del 15% può essere dimezzata

Tuttavia, se è vero che la Rita assicura una prestazione alternativa e, nei casi descritti, una formula di prestazione che può ritenersi quasi indispensabile negli anni precedenti la decorrenza della pensione da lavoro, l’aspetto che la rende appetibile è riscontrabile nella tassazione di vantaggio. Infatti, le rate periodiche del capitale frazionato e liquidato fino alla maturazione della pensione di vecchiaia sono tassate dall’imposta sostitutiva del 15%. Tuttavia, anche questa percentuale può essere abbattuta fino a 6 punti percentuali in base agli anni di permanenza nel fondo pensione. La sottrazione si configura con un -0,3% per ogni anno di iscrizione al fondo pensione dopo il 15esimo.

Quando l’imposta sulla Rita diventa del 9%?

Si può dunque arrivare a un’imposta del 9% sfruttando il massimo delle sottrazioni dell’aliquota in presenza di 20 anni di aderenza al fondo pensione dopo i primi 15 anni. Il meccanismo che mira ad abbattere la tassazione applicata alle rate della Rita si applica anche per le quote della rendita riferite ai montanti contributi maturati prima del 2007.

Rita: il vincolo della cessazione dell’attività lavorativa

Per ottenere la rendita assicurata dalla Rita è necessario che il contribuente abbia cessato la propria attività lavorativa. Il vincolo vige per i lavoratori che si trovano a non più di 5 anni dalla pensione di vecchiaia. Ma anche per la platea che richiede la rendita dopo i 24 mesi di inoccupazione dai 57 anni di età. Va considerata prestazione lavorativa qualsiasi rapporto di lavoro, sia autonomo che subordinato. Vale il lavoro svolto sia in Italia che all’estero. Devono essere considerate attività lavorative anche le cariche societarie oppure l’essere amministratore di una società o socio di capitali di società. In questi ultimi due casi non fa differenza se si ricevano oppure no compensi.

Requisito della cessazione dell’attività lavorativa vige fino al momento della domanda Rita

Tuttavia, dopo l’accertamento che il contribuente non svolga alcuna attività lavorativa al momento in cui fa la richiesta di erogazione del trattamento previdenziale al fondo pensione, è possibile tornare a svolgere un lavoro. Sul punto è intervenuta la Covip con la circolare numero 4209 dello scorso anno. La comunicazione ha stabilito che il requisito della cessazione dell’attività lavorativa o l’inoccupazione da 24 mesi per le formule di trattamento anticipato dai 57 anni di età, devono sussistere nel momento in cui si inoltra la domanda di accesso alla rendita integrativa.

Rita, durante il trattamento integrativo il contribuente può svolgere attività lavorativa: la regola

Pertanto, non è escluso che successivamente alla domanda di Rita il contribuente possa intraprendere un’attività di lavoro, qualunque ne sia la formula. Inoltre, durante l’ottenimento della prestazione della Rita, il contribuente può svolgere qualsiasi attività lavorativa o percepire un trattamento di pensione anticipata. In questo caso, il requisito da soddisfare è quello di avere accesso alla rendita integrativa Rita prima della maturazione dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Nello specifico, devono essere state già corrisposte almeno due rate del trattamento Rita. La regola vale per tutte le formule di pensione, dall’ordinaria alla pensione di vecchiaia, dall’opzione donna alla quota 100.

Partite Iva, in arrivo due correttivi per la riforma del regime forfettario

Partite Iva a regime forfettario verso la riforma. Sono due i possibili cambiamenti che riguarderebbero l’applicazione del meccanismo della flax tax tra gli autonomi. In primis, i coefficienti di redditività che non sarebbero più adeguati ai tetti di reddito per l’applicazione della fiscalità agevolata. Il secondo cambiamento potrebbe aversi per i contribuenti che superino il tetto dei 65 mila euro di ricavi. Si indebolisce, invece, l’ipotesi di allargare l’applicazione della fattura elettronica alle partite Iva del forfettario, eventualità che era stata avanzata negli ultimi mesi.

Riforma partite Iva a regime forfettario: il disegno di legge atteso in settimana

I correttivi sui coefficienti di redditività e sul superamento del limite dei 65 mila euro delle partite Iva a regime forfettario, secondo quanto scrive Il Sole 24 Ore, sono stati già messi in evidenza nella relazione delle commissioni parlamentari. I due correttivi potrebbero essere contenuti nella riforma fiscale, come già anticipato nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza. Il disegno di legge con le modifiche sulle partite Iva dovrebbe arrivare nel Consiglio dei ministri già a partire da questa settimana.

Partite Iva, quante sono in Italia quelle forfettarie?

Sempre più autonomi scelgono di aprire la partita Iva con il regime forfettario. Nel 2021 il 46% delle nuove aperture ha scelto la flat tax. In tutto, sono circa 1,9 i contribuenti del forfettario – senza tener conto delle chiusure – includendo chi ha optato per il regime agevolato nella dichiarazione dei redditi dello scorso anno e le nuove aperture che si sono avute tra il 2020 e il 2021. Nell’anno in corso sono state 153 mila le nuove partite Iva con la flat tax.

Partite Iva, attese modifiche ai coefficienti di redditività dei forfettari

Nel disegno di legge sulle partite Iva a regime forfettario non vi saranno variazioni nelle aliquote. Continueranno a essere in vigore quella del 15% e quella ancora più agevolata del 5% per le nuove attività. La prima revisione potrebbe riguardare i coefficienti di redditività, ovvero le percentuali, variabili a seconda dell’ambito di attività della partita Iva, che sono applicate ai ricavi e ai compensi e che determinano il reddito da tassare.

Perché potrebbero cambiare i coefficienti di redditività dei forfettari?

Le motivazioni alla base dei correttivi che il governo potrebbe adottare sulle partite Iva a regime di flat tax riguarderebbero la non aderenza delle percentuali alla “struttura dei costi delle imprese di dimensioni meno contenute”. In altre parole, per determinate imprese i costi sostenuti non sarebbero in linea con il coefficiente di redditività. Del resto, le percentuali non sono state adeguate nel momento in cui è stata elevata la soglia di ricavi (65 mila euro) per poter accedere al regime di imposta fissa del 15%. La revisione dei coefficienti di redditività era già stata suggerita a marzo scorso da Fabrizia Lapecorrella, direttore generale delle Finanze.

Quali attività potrebbero vedersi modificato il coefficiente di redditività?

Un’analisi preliminare delle Finanze ha già individuato i settori che potrebbero vedersi modificare i coefficienti di redditività. Avrebbero la possibilità di applicare un coefficiente più basso e, quindi, una più ridotta base imponibile:

  • le attività con codici Ateco rientranti nel commercio ambulante (ad oggi pari al 40% per gli alimentari e al 54% per tutti gli altri prodotti);
  • il settore delle costruzioni (coefficiente odierno dell’86%).

Chi vedrebbe salire il coefficiente di redditività sono invece gli intermediari del commercio, ai quali oggi spetta una percentuale del 62%. Tutti gli altri settori (e codici Ateco) dovrebbero rimanere invariati, compresi i professionisti che sono la categoria più numerosa dopo il commercio.

Il correttivo del superamento dei 65 mila euro delle partite Iva forfettarie

Il secondo correttivo che potrebbe riguardare le partite Iva a regime forfettario riguarda lo sforamento del tetto dei 65 mila euro di ricavi per poter mantenere il regime fiscale agevolato. La proposta prevede che chi superi il tetto massimo, rimanendo comunque al di sotto di una seconda soglia da individuare, vedrebbe applicarsi per due anni l’aliquota di forfait del 20% (anziché del 15%). L’ipotesi verrebbe ancorata all’incremento del volume di affari del contribuente autonomo di almeno il 10% annuo.

Partite Iva, lo sforamento dei 30 mila euro dall’attività alle dipendenze

Al momento non vi sono novità per le partite Iva a regime forfettario che svolgano anche lavoro alle dipendenze e, con quest’ultimo, sforino il tetto dei 30 mila euro. Nel regime attuale, lo sforamento comporta l’esclusione dal forfettario. Mentre chi può contare su altri tipi di reddito, come ad esempio quelli da capitali o quelli immobiliari, non subisce alcun divieto.

Si va verso il ‘no’ all’allargamento della fattura elettronica ai forfettari

Diversamente da quanto dibattuto nei mesi precedenti, le partite Iva a regime forfettarie potrebbero continuare a rimanere fuori dall’obbligo della fatturazione elettronica. Nei mesi scorsi l’Italia ha presentato a Bruxelles la richiesta per l’allargamento di applicazione della fattura elettronica anche al regime di flat tax. Sul punto, tuttavia, la Relazione alla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanze è chiara. “Al di sotto di una determinata soglia di compensi e ricavi, l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non è compatibile con la disciplina dell’Unione europea”.

 

Alemanno (INT): cari politici, venite per due giorni in uno studio tributario

Provate un po’ ad avere a che fare con la fiscalità, quella vera, per almeno 48 ore e vedrete che succederà. È questo ciò che l’INT, l’Istituto Nazionale Tributaristi, vuol far capire ai rappresentanti delle istituzioni con l’iniziativa lanciata dal presidente Riccardo Alemanno: invitare rappresentanti del Parlamento e del Ministero dell’Economia e delle Finanze a passare due giorni all’interno di uno studio tributario.

Se la semplificazione degli adempimenti tributari è da sempre oggetto di dibattito e di iniziative anche legislative, è del resto evidente che nessuna di queste ha centrato l’obiettivo, a giudicare da quanto si vive quotidianamente all’interno degli studi degli intermediari fiscali.

L’iniziativa lanciata da Alemanno, che può sembrare solo provocatoria, ha invece lo scopo di evidenziare il forte disagio che si avverte nell’attività di assistenza fiscale ai contribuenti. Le novità che vengono emanate a tamburo battente, i nuovi adempimenti, i nuovi tributi accompagnati da una crisi che continua a perdurare, stanno mettendo a dura prova studi e contribuenti: i primi mediano e cercano di fare comprendere i nuovi obblighi, i secondi sono disorientati da adempimenti e spesso messi in difficoltà dai crescenti costi diretti ed indiretti della tassazione.

Ecco perché Alemanno mette i puntini sulle i: “Siamo il vero front-office del sistema tributario – dice –, la professione che ci siamo scelti e che svolgiamo al meglio delle nostre capacità e con grande spirito di servizio si è trasformata da quella di consulenti a quella di compilatori di moduli ed ‘avvisatori’ di scadenze di versamenti; tutto ciò inizia ad essere frustrante e si somma al fatto che cresce la sofferenza degli incassi ad un contemporaneo aumento dei costi di gestione dello studio“.

Vorremmo anche sfatare – continua Alemannoche l’aumento degli adempimenti di fatto favorisce i nostri studi: niente di più falso, ormai ai nostri clienti viene sempre più spesso fatturato un forfait omnicomprensivo che evidentemente non è equivalente al nostro lavoro. Se dovessimo calcolare compensi per singoli adempimenti raggiungeremmo livelli non sopportabili per l’utenza e non vogliamo contribuire all’impoverimento dei contribuenti. Detto ciò si rende necessaria una revisione profonda del sistema, ai contribuenti deve essere dato tempo di assimilare le novità che oggi non mettono solo in difficoltà aziende e lavoratori autonomi ma anche semplici cittadini privati”.

Inviteremo quindi – conclude Alemannoalcuni rappresentanti del Parlamento e del MEF a trascorrere due giorni all’interno di alcuni uffici, studi di intermediari fiscali  che chiedono solo di potere lavorare avendo certezza dei tempi e delle norme. Bisogna avere il coraggio di eliminare adempimenti non di sostituirli. So che questa è anche la volontà dell’Esecutivo di Governo e del Parlamento, ma spesso il metodo sembra andare nella direzione opposta. Se i rappresentanti delle suddette istituzioni accetteranno il nostro invito potranno toccare con mano che ciò che diciamo è la pura e semplice fotografia della realtà“.

Dalle parole ai fatti: l’INT inizierà a contattare eventuali volontari per questa singolare iniziativa, che ha come fine unico quello di contribuire a migliorare e semplificare il sistema fiscale.

Sempre più tasse per gli europei

Eurostat diffonde i dati relativi all’impatto della crisi economica sui sistemi fiscali dei diversi Stati Membri, il report sui trend nell’Unione Europea oltre a fare il punto sulla pressione fiscale per le società non finanziarie e fornisce la classifica dei Paesi in cui le tasse gravano di più.

Il brusco calo del Pil avrebbe portato l’Europa a calmierare la pressione fiscale. Il raffronto 2008-2009 evidenzia una riduzione della pressione fiscale generalizzata. Il peso delle tasse resta comunque altissimo, pari a oltre il 30% in più rispetto ad America e Giappone.

L’aumento dell’IVA è stato di +1,3 punti dall’inizio della crisi economico-finanziaria. In particolare nell’Unione Europea dei 27, dove è passato dal 19,4% nel 2008 al 20,7% nel 2011. Tra i Paesi più “opprimenti” troviamo Svezia, Belgio e Olanda.

In Italia, le imposte sui redditi delle persone fisiche presentano una differenza 2000-2011 da 45,6 a -0,3. Le imposte sui redditi delle società da 31,4 a -9,9. A preoccupare maggiormente l’innalzamento della tassazione sul lavoro, che arriva a sfiorare il 50%, così come le tasse sul consumo (circa il 30%) e le tasse sul capitale (circa 20%).