Crisi economica alle spalle? Le Pmi ci credono

I dati su Pil e occupazione diffusi nei giorni scorsi dall’Istat hanno alimentato facili entusiasmi che hanno portato molti a pensare che, oltre ad esserci messi il peggio alle spalle, la crisi economica stia ormai per finire. In realtà, il termometro vero per capire a che punto è questa crisi economica, oltre alla propensione delle famiglie ai consumi, sono le imprese, chi produce, chi con la crisi sta facendo i conti da otto anni, cercando di sopravvivere.

Ebbene, da questo lato arrivano segnali incoraggianti. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Congiunturale di Fondazione Impresa, una buona parte di piccole imprese italiane sostiene che la crisi economica sia finita.

Secondo la ricerca, nel primo semestre 2015, il 35,9% delle piccole imprese italiane – al di sotto dei 20 addetti – sostiene di aver superato la crisi economica. Una quota che aumenta tra le piccole imprese manifatturiere e tra quelle dei servizi: il 46,7% del manifatturiero dichiara infatti di “essere fuori dal tunnel” contro il 39,4% di quelle che operano nei servizi.

Meno ottimiste che operano nel settore del commercio e quelle dell’artigianato: il 22,3% delle prime dichiara di essere uscito dalla crisi economica, contro il 25,8% delle seconde. Segno che questi due settori, che hanno sofferto più di altri i morsi della crisi, faticano a riprendersi in maniera completa.

Le imprese che dichiarano di essersi lasciate alle spalle la crisi economica sono quelle che, probabilmente, potranno pensare di tornare a investire dopo che, negli ultimi anni, hanno di fatto adottato una strategia conservativa per difendere le proprie quote di mercato anziché cercare di ritagliarsene di nuove.

Secondo le rilevazioni dell’Istat, infatti, ben il 70,5% delle imprese ha scelto di mantenere le proprie quote tra il 2011 e il 2012, negli anni più bui della crisi economica. Una percentuale di aziende trasversale a tutti i settori economici e di ogni dimensione.

Del resto, già il fatto che l’indagine dell’Osservatorio Congiunturale di Fondazione Impresa abbia avuto un campione sul quale insistere è importante, perché si tratta di imprese che hanno resistito alla crisi economica a differenza delle oltre 82mila fallite tra il 2008 e il 2014, secondo dati Cerved. Una mattanza che ha lasciato sul campo oltre un milione di posti di lavoro.

Green Economy, il petrolio dell’Alto Adige

Lo abbiamo scritto tante volte su Infoiva: la green economy tira ed è un settore da cavalcare per fare business, uscire dalla crisi e aiutare l’ambiente. E c’è una regione, in Italia, che della green economy ha fatto una bandiera: l’Alto Adige, che anche quest’anno si è aggiudicata il primo posto nello studio di Fondazione Impresa che ha fotografato l’Italia dell’economia ecosostenibile.

La quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e l’abbondante disponibilità di acqua hanno permesso al territorio dell’Alto Adige di raggiungere il gradino più alto del podio nell’ambito della green economy nazionale, grazie soprattutto alla capacità di valorizzare tali risorse e al circuito virtuoso del sistema economico che si è costruito intorno.

La classifica, stilata da Fondazione Impresa, è il risultato di un incrocio di dati forniti da Istat, Terna, Ispra, Sinab ed Enea attraverso 21 indicatori standardizzati. L’Alto Adige conferma il suo ruolo di leadership nel settore della green economy grazie agli ottimi risultati raggiunti in termini di energia pulita, risparmio energetico, riciclo dei rifiuti, bioagricoltura, eco-edilizia e diffusione di licenze Ecolabel. Ad accrescere il punteggio nella classifica della green economy italiana hanno contribuito anche la presenza di piste ciclabili, la diffusione del turismo ecologico, la vendita di prodotti bio e l’eco edilizia.

I parametri valutati dalla ricerca di Fondazione Impresa, negli anni hanno permesso alla provincia Bolzano di scalare le classifiche relative alla qualità della vita e di attirare sul territorio sempre più imprese operanti nel settore della green economy.

Tra i player più importanti dell’economia altoatesina, che tanto punta a valorizzare la green economy sul territorio, c’è BLS, Business Location Südtirol – Alto Adige, società per il marketing territoriale e l’insediamento di imprese che rappresenta il punto di riferimento per tutto ciò che riguarda l’insediamento, la localizzazione e le aree produttive. Il suo direttore, Ulrich Stofner, ha commentato con soddisfazione il primato regionale nella green economy“Questi nuovi risultati non fanno altro che mettere ulteriormente in luce l’impegno della Provincia di Bolzano verso sostenibilità e rispetto dell’ambiente. Il nostro territorio si conferma il luogo ideale per le imprese che operano nel settore della green economy, grazie a un ecosistema fondato su innovazione e sviluppo, alla presenza di fonti rinnovabili e al costante sostegno alla ricerca di energie alternative”.

Spazio alla Green e alla Blue Economy

Se questo è un periodo difficile per molti settori, certo non lo è per la Green Economy.

I risultati sono positivi per quanto riguarda produttività e opportunità lavorative, ma anche i dati relativi all’export sono in aumento, tanto da confermare le stime Ocse, che prevede 20 milioni di posti di lavoro entro il 2030, considerando il solo ambito dell’energia low carbon.
Se prendiamo in considerazione l’Italia, il 23,6% delle aziende ha attivato iniziative green con questo obiettivo.

Il secondo osservatorio congiunturale sulle pmi green curato da Fondazione Impresa ha individuato una criticità in circa 400 piccole imprese con meno di 20 addetti ma a metà 2012 le piccole imprese green sono risultate meno in difficoltà delle altre.

In questo caso, si tratta di piccole e medie imprese che operano nei settori delle energie rinnovabili, protezione dell’ambiente, certificazione di prodotti e processi, consulenza ambientale e riciclaggio dei rifiuti.
Gli indicatori chiave che sono serviti per verificare il vero stato di salute delle aziende sono stati: produzione, fatturato, ordini, esportazioni, prezzi dei fornitori, occupazione e investimenti.

Le imprese green hanno registrato una diminuzione della produzione dello 0,1%, senza alcuna variazione di fatturato. Sono calati di poco gli ordini (-0,4%) a fronte di un leggero aumento dell’export (0,6%), anche se è stata registrata una flessione dell’occupazione (0,8%).
Gli addetti ai lavori, considerando il futuro più prossimo, usano prudenza e ipotizzano andamenti contrastanti fra produzione (-0,1%) e fatturato (+0,1%). La ripresa degli ordinativi viene valutata in un +0,5% con un dato in crescita anche per esportazioni (+0,8%), occupazione (+0,3%) e incidenza degli investitori (16%).

E proprio in termini di investimenti, ad aver dimostrato una buona propensione sono proprio gli operatori “verdi”, visto che, ad investire somme superiori a 50mila euro, sono state il 26,5% delle imprese green, contro il 9,5% delle comuni aziende.

Ma il futuro può essere davvero roseo, se si pensa che il settore della green economy si appresta a lanciare nuovi profili lavorativi, come il sommelier della frutta, maestri falconieri a protezione della semina, esperti di erbe per trovare nuovi aromi a servizio dell’industria profumiera, e tanti altri che ne verranno.

E accanto alla gren economy, potrebbe presto apparire la Blue Economy, che permette di riprogettare i sistemi economici, le realtà imprenditoriali creando catene in cascata fra loro, in modo che l’emissione di inquinamento sia pari a zero: ogni nodo della catena riceve gli scarti dal precedente e vi costruisce sopra il proprio business, replicando la capacità in natura di creare senza produrre scarti.

Vera MORETTI

Piccole imprese sempre più green

Per le piccole imprese la sostenibilità ambientale è un fattore strategico di competitività, tanto che negli ultimi due anni ben il 25% delle imprese ha introdotto sistemi e tecnologie per ridurre l’impatto ambientale, e un numero ancora maggiore – il 28,6% – intende farlo nei prossimi 24 mesi. A questo scopo la maggior parte delle aziende ha investito fino a 50.000 euro.

E’ quanto emerge da un’indagine realizzata da Fondazione Impresa su un campione di 600 piccole imprese manifatturiere con meno di 20 addetti.

A suscitare maggior interesse sono le tecnologie che, oltre a ridurre l’impatto ambientale, riducono anche i costi di produzione: gli investimenti hanno infatti riguardato soprattutto l’acquisto di macchinari a basso consumo, la riduzione di imballi e l’uso di materiali riciclati.

Seguono interventi di riqualificazione energetica degli edifici e l’installazione di pannelli fotovoltaici. Per l’introduzione o l’utilizzo di tecnologie o sistemi finalizzati alla riduzione dell’impatto ambientale, le piccole imprese sono ricorse nella maggior parte dei casi a risorse proprie (41,7%), oppure utilizzando il credito (23%) o forme di finanziamento o di incentivo pubblico (20,1%).

Ma quali sono le motivazioni che spingono a questi investimenti? Per l’87,4% delle piccole imprese intervistate è necessario che il sistema-Paese punti sulla green economy. Di queste, il 59,2% soprattutto per contribuire di più alla protezione dell’ambiente, il 24% soprattutto per allinearsi agli altri Paesi competitor e il 16,8% soprattutto per aumentare le occasioni di profitto delle aziende.

Francesca SCARABELLI

Microimprese: se il posto fisso non è più un miraggio

di Alessia CASIRAGHI

Il miraggio del posto fisso non sembra più così lontano. Almeno se si guarda alle microimprese. Sono loro infatti, dati alla mano, le aziende ad aver garantito nel 2011 ai propri dipendenti più sicurezze economiche e contrattuali. Termini ormai desueti come contratto a tempo indeterminato, posto fisso, stabilità economica tornano in auge se si guarda alle microimprese.

“Nel 2011 le imprese con meno di 10 dipendenti hanno offerto un lavoro a 4 persone su 10” si legge nella ricerca condotta da Fondazione Impresa, contro le grandi imprese, quelle con oltre i 250 dipendenti, che hanno garantito il posto a solo 2 italiani su 10.

Non solo: sono proprio le microimprese a garantire più stabilità con il 47% delle assunzioni non stagionali a tempo indeterminato, un dato superiore di 2 punti percentuali rispetto al dato complessivo (44,9%).

Dati alla mano, quello che sorprende è che sono proprio le piccole imprese del Mezzogiorno ad avere una propensione maggiore ad offrire il posto fisso: al primo posto troviamo la Sicilia (66,3%), seguita da Campania (63,5%) e Molise (61,9%). Nel Nord Italia capofila è il Veneto, con il 41,4% di assunzioni a tempo indeterminato per le microimprese.

Un dato in controtendenza se si pensa che nel terzo trimestre 2011 il tasso di disoccupazione registrato nel Mezzogiorno era pari al 12,4%, con picchi riguardanti la disoccupazione giovanile al 36,7%, e un tasso di inattività con punte del 49,6%.

Le microimprese non hanno paura di investire e appaiono il vero traino dell’economia in un momento di profonda crisi. “Le microimprese hanno già dimostrato di sostenere l’occupazione nel medio periodo e anche durante la crisi – confermano i ricercatori di Fondazione Impresa. – Nell’anno più buio, il 2009, hanno perso appena l’1% dell’occupazione mentre l’intero sistema delle imprese ha evidenziato una contrazione occupazionale doppia (-2%). E con le prospettive economiche di recessione per il 2012 la piccola impresa potrebbe continuare a rappresentare il vero ammortizzatore sociale dell’economia italiana”.

Ecco l’identikit dell’italiano rispettoso dell’ambiente

Secondo un’indagine effettuata da Fondazione Impresa su 600 persone l’italiano tipo in fatto di rispetto ambientale sarebbe donna tra i 35 e i 54 anni. L’88,3% degli italiani, spiega la ricerca, adotta almeno cinque comportamenti ecosostenibili, mentre solo il 10,5% ritiene che le proprie abitudini e le scelte di consumo incidano poco o per niente sull’ambiente.

Il 94,8% evita gli sprechi d’acqua, l’88,8% utilizza lampadine a basso consumo, l’84,5% acquista cibi di stagione o biologici, l’82,5% limita l’uso dell’impianto di riscaldamento o di raffreddamento e il 75% effettua la raccolta differenziata.

Non molti invece lasciano spazio ad abitudini quali l’uso di mezzi di trasporto pubblico o la bicicletta (58,6%) , e ancora meno sono quelli che scelgono il car sharing (33,0%) e l’ acquisto di prodotti sfusi (31,5%).

Crescente comunque la percentuale di chi queste accortezze non le mette in pratica ma si ripromette per il futuro di farlo.

Giro di boa e crescita per le pmi italiane

Sono le stesse piccole medie realtà imprenditoriali italiane a dichiararlo, in un’indagine svolta da Fondazione Impresa su 1200 pmi il cui risultato non lascia spazio ad alcun dubbio: “Le piccole imprese italiane sono al metro 59 del tunnel della crisi”. Come a dire, il peggio è superato anche se “manca ancora un lungo percorso prima di uscire definitivamente dalle difficoltà”.

Fondazione Impresa, infatti, ha chiesto a oltre mille pmi italiane dove si posizionerebbero se si trovassero all’interno di un tunnel lungo 100 metri, che rappresenta la crisi.

Per la maggior parte di esse la risposta é stata unanime: il peggio, “il giro di boa“, é passato anche se é c’é ancora un lungo percorso da fare prima di uscire definitivamente dalle difficoltà.

Qualche numero, anzi, “distanza”? Mantendo la metafora velica si potrebbe dire che artigianato, piccola impresa e servizi sono rispettivamente 61,3, 60,3 e 59,9 metri. Meno rosea, invece, la situazione del commercio, che si colloca solo al metro 56.

Ragionando in termini geografici, invece, il Nord Est è in testa “quasi al metro 64”, seguito dal Nord Ovest al metro 61,3 con dietro il Centro e il Sud Italia (a 57 e 55,5 metri).

Infine, sempre secondo la domanda rivolta da Fondazione Impresa alle 1200 pmi italiane, la ripresa della domanda e degli ordini è per quasi il 64,9% dei piccoli imprenditori intervistati uno degli elementi principali che fanno vedere la fine del tunnel della crisi. Per il 27,7% una situazione economica generale migliore e appena per il 4,3% decisioni istituzionali più incisive.

Paola Perfetti