Filiera industriale, linfa vitale dell’Italia

 

Piccolo è bello. Almeno in Italia, terra di filiere industriali legate alla tradizione e alla creatività made in Italy. Parte da questo presupposto il nuovo rapporto “Industria e Filiere 2012“, stilato da Prometeia e UniCredit, che mette al centro la competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali, analizzata in una ottica di filiera globale.

Il rapporto passa in esame punti di forza e debolezza delle principali filiere produttive italiane per determinarne il grado di competitività, in Italia e all’estero. Oggi per essere competitivi sui mercati internazionali bisogna crescere e la filiera rappresenta un modello vincente di aggregazione tra imprese. Nel 2012 il differenziale nelle variazioni tra la domanda estera potenziale rivolta all’Italia e la domanda interna è salito a quota 5 punti, e per il prossimo biennio le previsioni per un’ impresa italiana che rivolga all’estero la propria offerta parlano di un premio in termini di domanda compreso tra 4-5 punti percentuali rispetto ad un’azienda del made in Italy concentrata solo sul mercato domestico.

Se cala la domanda interna, le esportazioni saranno nei prossimi l’unica componente del Pil in grado di recuperare i livelli di prima della crisi: è per questo che l’internazionalizzazione non rappresenta più un obiettivo a lungo termine per le imprese italiane, soprattutto quelle più piccole e meno strutturate, ma un diktat del presente. Ripensare la filiera in un’ottica di internazionalizzazione è un’esigenza quanto più necessarie e incombente.

Secondo il rapporto stilato da Prometeia e UniCredit l’approccio di filiera rappresenterebbe la chiave strategica per un modello come quello italiano, costituito storicamente da territori, collaborazione e imprenditoria diffusa, che oggi è chiamato a reinventarsi verso mercati e processi sempre più lunghi, competitivi e globali; l’aggregarsi di aziende in alleanze produttive dovrebbe diventare linfa vitale della nostra cultura.

Il rapporto prende in esame 13 filiere del made in Italy:

  • Alimentare e bevande;
  • Automotive;
  • Carta/stampa/editoria;
  • Chimica;
  • Prodotti per costruzioni;
  • Elettronica e strumenti di precisione;
  • Componentistica meccanica;
  • Elettrodomestici;
  • Elettrotecnica;
  • Macchine e impianti;
  • Legno-arredo;
  • Metalli;
  • Moda.

Suddivise in 5 fasi:

  • sourcing;
  • prime lavorazioni;
  • lavorazioni intermedie;
  • produzioni finali;
  • distribuzione.

Per macchine e impianti, elettrotecnica, componentistica meccanica l’indice di competitività raggiunge il punteggio massimo: oggi l’Italia è in queste filiere si colloca infatti ai vertici competitivi di tutte le fasi produttive con imprese che appaiono legate fra loro da collaborazioni virtuose, ma più in generale a spingere al miglioramento è il fil rouge della competitività.

Un punteggio inferiore, ma comunque soddisfacente, viene invece attribuito a quelle filiere che presentano un netto sbilanciamento tra fasi: un esempio è rappresentato dalla filiera della moda, dove il maggiore contributo al buon posizionamento dipende soprattutto dalle lavorazioni finali. E lo stesso si potrebbe dire di altre produzioni tipiche del made in Italy come quelle dell’alimentare, ma anche a chimica e metalli, oltre che alle lavorazioni intermedie degli elettrodomestici, che presentano in linea generale un’impoverimento a monte.

Forza del brand. Il Rapporto stilato da Unicredit e Prometeia mette in luce poi come la forza dei marchi nei prodotti finali di moda, alimentare, arredo garantisce esso stesso un potenziale di crescita su mercati promettenti come Cina, Turchia e altri Paesi emergenti

Nel complesso, la strada da percorrere per raggiungere un buon livello di competitività nelle filiere italiane restano diverse e articolate: bilanciamento dei tempi di pagamento da valle a monte, miglioramento della produttività e innovazione nelle fasi industriali, accrescimento della presenza estera nella distribuzione.

In primo luogo occorre però che si faccia strada l’idea del “fare sistema” tra piccole e medie imprese complementari, aggregandosi in alleanze secondo due possibili scenari: la classica fusione tra imprese, che rimane la via maestra per raggiungere livelli di produttività ed efficienza più elevati; l’alternativa sono invece le reti tra imprese, ovvero stringendo rapporti di partnership con i propri fornitori e clienti.

A battesimo la Società di gestione del risparmio per gli investimenti delle Pmi

Avviene oggi, giovedì 18 marzo 2010, presso la Prefettura, il battesimo della Società di gestione del risparmio (SGR) Fondo italiano di investimento per le piccole e medie imprese.

Ad annunciarlo Andrea Montanino, Dirigente Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in occasione del convegno annuale dell’AIFI.

Una buona notizia per le piccole e medie imprese (sono circa 15mila con fatturato compreso tra i 10 e i 100 mln di euro) a cui si rivolge il nuovo Fondo con l’obiettivo di facilitare l’aggregazione e la patrimonializzazione delle Pmi.

La SGR nasce con una dotazione iniziale di un miliardo di euro grazie all’accordo tra il Ministero e i principali Istituti di Credito Italiani cui si aggiungeranno nuove risorse a seconda dei soci e degli investimenti del fondo medesimo con quote di minoranza, co-investimenti, sottoscrizioni di altri fondi e operazioni di “quasi” equity.

Già in occasione di questa giornata verranno ufficializzati gli 11 nomi dei membri della Cda della società avente come Presidente Marco Vitale, economista dell’Università Bocconi: saranno sette consiglieri in rappresentanza dei soci costituenti, tre consiglieri indipendenti e l’Amministratore Delegato (per questo ruolo è stato già nominato Gabriele Cappellini, Direttore Generale Mps Venture).

All’evento presenzieranno anche il Ministro Giulio Tremonti e gli esponenti dei più importanti gruppi bancari.

Paola Perfetti