Food Made in Italy da record

Il food Made in Italy all’estero fa sempre più furore, tanto da aver determinato un record nelle esportazioni con una crescita del 7,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
A testimoniarlo è Coldiretti, con un certo entusiasmo perché già l’anno scorso l’agroalimentare aveva raggiunto il massimo storico di 38,4 miliardi.

Ciò significa che se questo trend verrà mantenuto fino a fine 2017, per la prima volta saranno superati i 40 miliardi di export agroalimentare, che ha saputo crescere sia nei Paesi dell’Unione sia in quelli fuori dall’Europa, segnando rispettivamente +5,1 e 10,8%.

Quindi, se i due terzi circa delle esportazioni alimentari riguardano i Paesi dell’Unione europea, gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato per il food Made in Italy fuori dai confini dell’Unione e il terzo in termini generali dopo Germania e Francia, e prima della Gran Bretagna.

Tra i prodotti agroalimentari più esportati, il primo è saldamente il vino seguito da frutta e verdure fresche.
Dunque, i numeri sono altamente positivi ed incoraggianti ma, consapevoli di questo, se ci fosse un controllo maggiore e più severo, e una maggior tutela contro l’agropirateria internazionale, le percentuali andrebbero ancora più alle stelle.

A questo proposito, il mercato del falso, considerando solo l’agroalimentare, fattura all’estero oltre 60 miliardi di euro, con un uso improprio di denominazioni, ma anche ricette, immagini e parole evocative che richiamano l’Italia ma non arrivano certo da qui.

Vera MORETTI

Agroalimentare italiano alla conquista dell’Iran

L’agroalimentare italiano non conosce frontiere e rimane, per la nostra economia, un formidabile gancio di traino. Lo sa bene Federalimentare, tanto che nei giorni scorsi il suo presidente, Luigi Scordamaglia, ha partecipato al Business Forum Italia-Iran a Teheran, una missione imprenditoriale nell’ex Persia guidata dal vice ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Non è un caso la scelta dell’ex Paese degli scià: nei primi otto mesi del 2015, infatti, l’export dell’ agroalimentare italiano verso l’Iran è cresciuto del 21,9% rispetto al 2014, per un controvalore di 11,08 milioni di euro. E i possibili sviluppi sono infiniti. Considerando il progressivo allentamento delle sanzioni economiche internazionali verso l’Iran, la diffusione di abitudini di consumo e di shopping simili a quelle occidentali e il potenziale bacino di consumatori (78 milioni di persone), l’ agroalimentare italiano nel Paese può ritagliarsi un ruolo di primo piano.

Del resto, lo scopo della missione a Teheran, alla quale non hanno partecipato direttamente le aziende italiane, è stato proprio quello di favorire l’ingresso dell’ agroalimentare italiano in Iran dopo la fine delle sanzioni internazionali, mettendo in atto delle efficaci politiche di import-export.

L’Iran, con una produzione agricola qualificata, ma non sufficiente a coprire i suoi fabbisogni alimentari – ha ricordato Scordamaglia -, potrebbe unirsi a quei Paesi che, dalla Russia all’Africa subsahariana, alla Cina, stanno già chiedendo alle nostre industrie di investire anche sui loro territori, di valorizzare in maniera lungimirante e non predatoria, come solo noi sappiamo fare, la loro produzione agricola, chiedendo di associare al made in Italy anche il made with Italy”.

E che l’ agroalimentare italiano sia, per la nostra economia, quasi come il petrolio, lo ha ricordato il presidente di Federalimentare concludendo che “l’obiettivo è che si verifichi in Iran quanto già accaduto con altri sbocchi importanti del Medio Oriente, come gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, dove in appena dieci anni l’export del made in Italy ha raggiunto rispettivamente 170 e 137 milioni di euro, con tassi di crescita annuale del 40% circa“.

Consumi in calo, il dato più basso dal 2004

L’unico settore a resistere alla crisi è quello degli alimentari. Abbigliamento, calzature, elettrodomestici, mobili e tecnologie sono invece in caduta libera. E’ quanto denuncia Confcommercio, che, in base ai dati registrati dall’ultima indagine Istat, evidenzia come le vendite al dettaglio nel 2011 siano calate dell‘1,3% rispetto al 2010.

Le vendite degli alimentari restano ferme e il non food scende dell’1,8 %. Si tratta del dato peggiore dal 2009, e se si guarda alle vendite al dettaglio dello scorso dicembre (-1,1%) si tratta del ribasso più forte dal luglio 2004. Se letto in retrospettiva a un anno, l’indice grezzo del -1,1% di dicembre 2011 segna un calo del 3,7% rispetto allo stesso mese del 2010: le vendite di prodotti alimentari sono diminuite dell‘1,7%, quelle dei beni non food del 4,4 %
Confrontando i dati con novembre 2011 le vendite sono diminuiti sia per i prodotti alimentari (-1,0%) sia per quelli non alimentari (-1,2%).

Sul fronte degli esercizi di vendita, Istat ha registrato una flessione rispetto al 2010 sia per le vendite della grande distribuzione (-3,9%), sia per i piccoli negozi (-3,5%). Le diminuzioni tendenziali riguardano sia gli esercizi non specializzati (-4,2%) sia quelli specializzati (-1,9%). Aumentano invece le vendite solo per i discount alimentari (+1%), mentre diminuiscono quelle degli ipermercati (-4,4%) e dei supermercati (-2%).

“Il potere di acquisto delle famiglie è in caduta libera, per di più intaccato dalla manovra economica e dalla forte crescita dei prezzi, anche sulla spinta dell’aumento dei carburanti” denunciano Rosario Trefiletti di Federconsumatori ed Elio Lannutti di Adusbef. “Non sorprende il calo delle vendite. Il costo della spesa alimentare è salito in media del 5%, per un aggravio di spesa pari a 350 euro l’anno per famiglia” sottolinea Adoc. Punta invece all’abbattimento della pressione fiscale indiretta e diretta per far riprendere i consumi Adiconsum, mentre Federdistribuzione avverte: “La situazione dei consumi è preoccupante e un nuovo aumento dell’Iva metterebbe ulteriormente a rischio il potere d’acquisto delle famiglie”.