Bernabè si dimette da Telecom

Le dimissioni di Franco Bernabè, presidente di Telecom, sono arrivate.
Le indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi avevano fatto capire che questa sarebbe stata la linea da seguire, ma ora è stata ufficializzata da una nota emessa dal consiglio di amministrazione: “Il consiglio ha espresso i suoi vivi ringraziamenti a Franco Bernabè per il grande impegno e l’elevato apporto manageriale profuso in questi anni alla guida della società“.

Ora, in via provvisoria, le deleghe e le attribuzioni organizzative di Bernabè sono passate all’amministratore delegato Marco Patuano.

La decisione dell’ormai ex presidente è scaturita dalla scelta di non procedere all’aumento di capitale di Telecom e giunge a pochi giorni dalla riorganizzazione della controllante Telco, dove sono passati in maggioranza gli spagnoli di Telefonica.

L’ex presidente ha dichiarato: “Ho deciso di fare un passo indietro – ha detto Bernabè – perché in questa fase critica per il futuro di Telecom una spaccatura in seno al cda sulla strada da intraprendere avrebbe determinato una paralisi dell’azienda e l’impossibilità di giungere a una soluzione condivisa. Non c’è stata sufficiente attenzione da parte delle istituzioni per la salvaguardia di un patrimonio che è, prima di tutto, un patrimonio della collettività“.

Al consiglio di amministrazione hanno partecipato tutti i consiglieri, compresi Gabriele Galateri di Genola, presidente di Generali, Gaetano Miccichè, direttore generale di Intesa Sanpaolo, e il rappresentante di Telefonica, Julio Linares, e Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca. Il finanziare franco-tunisino Tarak Ben Ammar ha seguito i lavori del board in videoconferenza da Parigi.

I lavori del consiglio si sono svolti in “clima assolutamente tranquillo“, ha tenuto a sottolineare il neo presidente designato, Aldo Minucci. E con la nota conclusiva è stato reso noto che tutte le deleghe andranno all’amministratore delegato Marco Patuano.

Al vice presidente Minucci è stata invece affidata la gestione del cda che ha avviato il processo per l’individuazione del nuovo presidente.
Per quanto concerne la sostituzione di Elio Catania, come da raccomandazione del comitato per le nomine e remunerazione il consiglio di amministrazione, è stato cooptato Angelo Provasoli.

Vera MORETTI

Investitori asiatici per Telecom?

Mancano pochi giorni al 19 settembre, quando, durante il consiglio convocato dai vertici Telecom, si dovranno vagliare le alternative per affrontare la crisi ed evitare che un debito troppo elevato faccia declassare la compagnia telefonica.

Le premesse non sembrano tanto incoraggianti, poiché Naguib Sawiris, il magnate egiziano che aveva manifestato l’intenzione di sottoscrivere un aumento di capitale riservato, pare ci abbia ripensato perché la politica dell’azienda “sarebbe più favorevole a un’offerta di Telefonica”.

A smentire questa dichiarazione, ci sono però le parole di Fabrizio Saccomanni, il quale ha dichiarato che il governo non ha alcun tipo di preclusione contro eventuali investitori esteri.
Ciò vale in ugual modo per Telefonica e per Sawiris e quindi qualsiasi soluzione proposta verrà valutata con attenzione e soprattutto senza preclusioni.

Nel frattempo, Telco aspetta al varco le decisioni del gruppo spagnolo.
Se Telefonica manifestasse l’intenzione di rilevare Telecom, Mediobanca, Intesa e Generali, che insieme controllano l’11,8% di Telecom, sarebbero felici di passare il testimone al gruppo spagnolo. Ma se viceversa Alierta decidesse di mantenere lo status quo, allora gli italiani, invocando la scissione, avrebbero le mani libere per valorizzare questa quota, anche autonomamente, cedendo le azioni del gruppo telefonico al miglior offerente.

Dalle indiscrezioni, sembra che Bernabè stia vagliando l’interesse di potenziali investitori asiatici, che sarebbero pronti a sottoscrivere un aumento di capitale riservato senza pretendere in cambio particolari diritti di governance.
Il presidente di Telecom avrebbe illustrato a diversi investitori di lungo termine un nuovo piano per risanare Telecom capace di creare valore per tutti, anche senza operazioni straordinarie, salvo tamponare l’emergenza debiti che si è creata quest’anno dopo che il margine lordo delle attività domestiche è sceso oltre ogni previsione.

L’ad Marco Patuano starebbe infatti lavorando a un nuovo piano industriale da presentare al consiglio del 19 settembre.
Della ricerca di nuovi investitori si sarebbe invece occupato Bernabè, e secondo fonti finanziarie, tra i candidati ci sarebbe il fondo sovrano del Qatar, che fra l’altro insieme alla Cdp ha recentemente sottoscritto un veicolo che dovrà investire nel made in Italy e nel turismo.

Vera MORETTI

Sergio Marchionne il manager più pagato d’Italia

Gli appelli che chiedono agli italiani di stringere i denti e di adeguarsi al clima di austerity, ormai abbondantemente recepiti, se non altro dalla concreta scarsità di contanti nel portafoglio, certo non sembrano destinati a tutti, né tantomeno ai manager delle grandi aziende.

Da una classifica stilata dal Sole 24 Ore, che segnala i 100 manager più pagati delle società italiane, emerge non solo che i loro stipendi sono distanti anni luce dai quelli dei loro dipendenti, ma che non hanno risentito per nulla della crisi, poiché, anzi, sono aumentati rispetto al 2011.

Tra le società quotate in Borsa, il primo classificato, ma c’era da aspettarselo, è Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, che ha guadagnato 47,9 milioni di euro complessivi, al lordo delle tasse, di cui 4,27 milioni come ad Fiat, 2,89 milioni come presidente della Fiat industrial, ma il grosso del guadagno deriva dalle azioni gratuite che gli sono state assegnate all’inizio del 2012, in base al piano del 2009.
Le azioni valevano 40,7 milioni di euro: in questo caso il premio ha superato di gran lunga il salario annuale.

Il numero uno di Fiat è seguito da Luigi Francavilla, il primo dei 4 manager di Luxottica che occupano i primi sei posti della classifica. Dal Sole 24 Ore: “Luigi Francavilla ha guadagnato 28,8 milioni di euro lordi, in larga parte plusvalenze e controvalore di azioni gratuite, i compensi monetari sono limitati a 799 mila euro”.

Al terzo posto Federico Marchetti, fondatore e azionista di Yoox, azienda bolognese che gestisce su internet negozi online per i grandi marchi di moda che ha guadagnato 22, 6 milioni di euro: in larga parte plusvalenze a fini fiscali.

Per trovare i manager pubblici, occorre scendere, ma non più di tanti, ed ecco l’ex ad della Saipem, Pietro Franco Tali con 6,94 milioni, l’ad di Eni Paolo Scaroni con 6,77 milioni e Fulvio Conti dell’Enel con 3,97 milioni.

Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari, è “slo” 14esimo, con 5,7 milioni.
Il numero uno della Pirelli Marco Tronchetti Provera è 24esimo con 3,77 milioni di euro, 27esimo John Elkann con 3,42 milioni e 78esimo Diego Della Valle, patron della Tod’s con 1,64 milioni di euro.

Il presidente Mediaset Fedele Confalonieri è 33esimo con uno stipendio di 2.700 milioni di euro, seguito da Alberto Bombassei, presidente Brembo, con circa 20 mila euro in meno.
L’ad e dg di Intesa San Paolo, Enrico Cucchiani, è 38esimo con 2 milioni e 6.
Franco Bernabè di Telecom guadagna 2,4 milioni di euro e Flavio Cattaneo, Ad e dg Terna, poco meno: 2,356 milioni di euro.

Nei primi 100, sono solo due le donne: Giulia Ligresti, 67esima con 1,74 milioni di euro e Monica Mondardini, ad Espresso, 76esima con 1,64 milioni di euro guadagnati.
Marina Berlusconi, attualmente presidente Mondadori è oltre il 200esimo posto e ottava tra le donne con 634 mila euro.

Vera MORETTI

Slitta la decisione sull’integrazione di 3 Italia con Telecom

Poco entusiasmo all’ultima assemblea per l’approvazione del bilancio di Telecom Italia, con una partecipazione di solo il 44% del capitale, del quale oltre la metà a cadi Telco, l’azionista di riferimento.
Ad aprire i lavori, il presidente Franco Bernabè, che nel suo lungo discorso ha spiegato come “una nuova regolamentazione dei servizi di rete fissa” per sviluppare l’infrastruttura di nuova generazione ma anche il “consolidamento del settore mobile”, rappresentino due prerogative indispensabili per garantire una crescita del gruppo telefonico, in affanno negli ultimi cinque anni.

E’ stata anche affrontata l’ipotesi di un integrazione con 3 Italia: “L’integrazione ipotizzata se realizzata a valori che rappresentino in modo corretto l’effettivo apporto delle due società presenta delle sinergie industriali che comportano riduzioni di costo in termini di strutture commerciali e di sviluppo delle reti Lte a cui si aggiungono i benefici di due bacini di clientela complementari”.

Circa la situazione della telefonia mobile in Europa, con il consolidamento di Orange e T-Mobile in Inghilterra e di Orange e H3g in Austria, Bernabè ha commentato: “eventuali freni o ostacoli al naturale consolidamento non potrebbero infatti che portare ad un ulteriore ritardo dello sviluppo delle reti Lte, su cui l’Europa registra per altro già un forte ritardo rispetto agli Stati Uniti”.

Occorre però specificare che 3 in Italia non è ancora a livello delle maggiori compagnie, almeno per quanto riguarda le reti di quarta generazione.

La decisione finale, comunque, verrà presa tra almeno due settimane, e solo se le valutazioni dei due gruppi, saranno fatte a “valori corretti”.
Nel frattempo, dall’analisi preliminare dei risultati del gruppo controllato da Li Ka Shing emerge che il margine operativo lordo sarebbe di circa 100 milioni (contro i 260 milioni annunciati), mentre i clienti attivi del gruppo sarebbero circa 7,3 milioni contro i 27 milioni di Tim. Sulla valutazione della società, 3 Italia ha precisato che “conferma che i suoi risultati finanziari, come riportato nella relazione annuale 2012 di Hutchison Whampoa Limited, sono veri e corretti in tutti gli aspetti”.

Vera MORETTI

Telecom, nuovi vertici al potere e cattiva gestione all’orizzonte

di Gianni GAMBAROTTA
Francamente non avrebbe potuto essere gestita peggio la vicenda del rinnovo dei vertici Telecom conclusasi lunedì scorso con l’uscita dalla presidenza di Gabriele Galateri, il passaggio al suo posto di Franco Bernabè (che al titolo di presidente aggiunge quello di “esecutivo”, definizione che non esiste nel diritto societario italiano) e la nomina di Marco Patuano ad amministratore delegato e di Luca Luciani a direttore generale con competenza sul Sudamerica, cioè capo di Tim Brasile vera cash cow del gruppo. Dico così perché con questo giro di walzer voluto dagli azionisti si è riusciti solo a dare un’immagine di divergenza fra partner e allo stesso tempo a indebolire la gestione dell’azienda che avrà ora un management diviso e, verosimilmente, in conflitto.
Quando scadono per termine di mandato i vertici di un grande gruppo qual è la Telecom, di solito si agisce così: se si ritiene che il management abbia ottenuto risultati positivi, che abbia agito nell’interesse dell’azienda, allora lo si conferma  per un altro mandato, salvo (se necessario) aggiungere qualche lieve ritocco all’organigramma deciso in accordo con il management stesso. Se invece il giudizio è di segno opposto, se cioè gli azionisti pensano che quanto fatto dai vertici e in particolare dal capo azienda, sia criticabile, allora si impone una sola soluzione: sostituire tutti.
Nel caso Telecom l’unico invitato a prendere la porta (ma sarà recuperato in consiglio di amministrazione) è il presidente Galateri: operazione a valenza zero perché non aveva alcun potere. Il vero punto sul quale gli azionisti, su sollecitazione di uno dei più importanti fra loro, cioè Mediobanca, hanno agito è stato quello dell’amministratore delegato. Bernabè è stato in questi tre anni indiscutibilmente il capo azienda e da domani non lo sarà più, qualunque cosa dica e cerchi di far credere il suo ufficio stampa che si affanna ad accreditare la versione che il vero numero uno resterà lui. Non è vero: fino a ieri aveva tutte le deleghe, da domani ne avrà soltanto alcune, dall’auditing, ai rapporti con i regolatori, all’immagine e (forse) la finanza. Dunque non metterà più parola sul business che farà capo invece a Patuano e Luciani. Un manager che non decide sul business non è un capo azienda, e non occorre aver studiato molto testi di management e di governance aziendale per dirlo.
Con la soluzione appena adottata sarà una triarchia a guidare Telecom. Ciascuno dei tre manager, al di là dei poteri che gli sono stati affidati formalmente, vorrà primeggiare cercando l’appoggio dei suoi azionisti di riferimento, quelli che gli hanno consentito di salire nei vertici o di non esserne espulso. Normalmente quando succede una cosa simile, per le azienda significa una cattiva gestione assicurata. Speriamo che questa volta non vada così.