Italiani, popolo di lavoratori (forzati)

Full-time di otto ore? Una vera utopia per la maggior parte degli italiani che, intervistati per un sondaggio condotto da Regus, in realtà “sforano” spesso, se non sempre, sull’orario canonico previsto dal contratto. E, quando non ce la fanno a terminarlo in ufficio, se lo portano addirittura a casa. E questo non avviene saltuariamente ma almeno 3 volte alla settimana.

La causa? Probabilmente potrebbe essere una crescente pressione sull’orario lavorativo a causa del lento recupero economico nelle economie più mature e della rapida crescita nelle economie emergenti.

Le categorie più “a rischio” sono i telelavoratori, che registrano 11 ore di lavoro nel 14% dei casi, contro i lavoratori fissi in ufficio nel 6% dei casi.

Questa situazione coinvolge maggiormente gli uomini, che per il 12% lavorano 60 ore alla settimana contro il 5% delle donne. Queste ultime, inoltre, portano il lavoro a casa con meno probabilità, 32%, rispetto agli uomini, 48%. Le possibilità che il lavoro assorba anche il tempo libero aumentano nelle aziende piccole, 48%, rispetto a quelle più grandi, 29%.

Mauro Mordini, Direttore Regus Italia, commenta così: “Questo studio evidenzia un ovvio offuscamento del confine tra casa e lavoro. Gli effetti a lungo termine dell’eccessivo lavoro possono danneggiare sia la salute dei lavoratori che la produttività generale, in quanto i lavoratori si stancano troppo e a lungo andare perdono la motivazione, diventano depressi o possono addirittura ammalarsi“.

Vera Moretti

Iniziative per le donne dal dipartimento delle Pari Opportunità

Nonostante la crisi, tra il 2010 e il 2011 il dipartimento delle Pari Oppurtunità ha elaborato, ed approvato, linee di programmazione volte a creare servizi ed iniziative per favorire il full time e la carriera anche e soprattutto alle donne.

Il ministro Mara Carfagna, da sempre molto sensibile al problema del lavoro femminile, ha concordato con le regioni un programma di 40 milioni di Euro nell’ambito dell’iniziativa: Italia 2020. Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, sottoscritto insieme al Ministro del Lavoro nel dicembre 2009.

Questo accordo si poneva due obiettivi principali: sviluppare nuovi servizi o potenziare quelli esistenti, per favorire lo sviluppo e le tematiche della conciliazione di vita e lavoro e rendere fruibili gli strumenti per un migliore rientro delle donne nel mercato del lavoro dopo assenze dovute anche all’accudimento dei propri figli.

I progetti avviati per favorire il raggiungimento dello scopo sono stati molteplici e, tra tutti, spiccano la formazione e l’orientamento professionale, il telelavoro, nidi aziendali e agrinidi, la formazione delle cosiddette “mamme di giorno”, ovvero le tagesmutter, e gli assegni per il pagamento dei servizi educativi o la compartecipazione pubblica ai costi per determinare le fasce di reddito.

Ogni regione ha poi potuto scegliere una propria linea operativa, a seconda delle esigenze presenti sul territorio.
Piemonte ed Emilia Romagna, ad esempio, hanno dato la precedenza ad attività di orientamento al lavoro e riqualificazione, progetti che sono già stati avviati.

Un’iniziativa che, invece, non è stata ancora attuata, ma che troverebbe consensi nella maggioranza del Paese, sarebbe la creazione dei servizi educativo-ricreativi, in particolar modo durante il periodo estivo quando, con le scuole chiuse, i genitori spesso non sanno a chi affidare i propri figli.
Si tratterebbe, se si riuscisse a far diventare questa ipotesi realtà, di una buona opportunità imprenditoriale, oltre che una risorsa preziosa per molte famiglie.

Vera Moretti