Rincari alimentari: ecco i prodotti che hanno subito i maggiori aumenti

Il 2022 è caratterizzato da una serie di aumenti  dei prezzi di prodotti di largo consumo che stanno mettendo in difficoltà le famiglie italiane. Tra quelli che hanno particolare rilevanza ci sono gli aumenti degli alimenti. Scopriamo quali sono i prodotti che hanno avuto i maggiori rincari alimentari.

Rincari alimentari: i maggiori riguardano l’olio

I prodotti che hanno subito aumenti sono quelli per i quali c’è una maggiore influenza delle esportazioni dall’Ucraina. Ecco perché devono essere segnalati gli aumenti dell’olio di semi di girasole, diventato ormai quasi introvabile e che ha avuto aumenti del 43% . L’aumento del costo dell’olio di semi di girasole e soprattutto la sua introvabilità ha portato all’aumento della domanda di altre tipologie di olio, come quello di mais e di oliva. Di conseguenza con l’aumento della domanda, aumenta il prezzo e così si registrano aumenti dell’11% per l’olio di oliva. Ciò nonostante l’Italia ne produca abbastanza e comunque lo importi soprattutto dalla Spagna e quindi ci sia un’influenza limitata degli eventi che caratterizzano l’Ucraina.

Aumento del prezzo del grano

Un altro prodotto che l’Italia importa è il grano, nonostante siano stati incentivati gli agricoltori che producono grano ad aumentare i terreni dedicati a questa coltura e la Banca dei terreni agricoli offra molti ettari per coloro che vogliono investire in agricoltura. In questo settore si registrano aumenti del 17% per farina, pasta e pane cioè prodotti base per la dieta mediterranea. Se fino a qualche mese fa un chilo di pasta costava in media 1,30 euro, ora il costo è di 1,52 euro. Si tratta di prezzi medi e di conseguenza ci sono marchi che hanno prezzi molto più elevati fino a 2,60 euro al chilo in particolare nel caso di scelta di prodotti con trafilatura al bronzo o formati particolari.

Il problema del grano non è limitato ai costi, ma anche all’approvvigionamento, al punto che molti sottolineano che se non si provvede allo sblocco dei grani ucraini che si trovano nei porti, vi è il rischio di una vera e propria crisi alimentare. L’ONU ha calcolato che il blocco potrebbe portare 13 milioni di persone a soffrire la fame. A soffrirne di più potrebbero essere Paesi che già ora affrontano carestie come Egitto, Eritrea, Somalia, Libano, Armenia, Bangladesh, Yemen e Perù in quanto trattasi di Paesi non autosufficienti e che importano la maggiore quantità di grano e cereali proprio da Russia e Ucraina. La crisi generata inoltre non terminerà appena la guerra sarà finita perché in realtà molti terreni sono rimasti incolti e quindi si perderà gran parte del raccolto almeno del 2022.

Rincari alimentari per gli altri prodotti di largo consumo

Il caffè che fino a qualche mese fa aveva mantenuto un prezzo stabile, nell’ultimo mese ha invece visto un aumento del prezzo del 4%, non va meglio per lo zucchero che invece ha visto aumenti del 7,4%.

Non ci sono per ora aumenti particolari aumenti nel settore dell’ortofrutta e in particolare per quanto riguarda prodotti di largo consumo in Italia, come le banane e i pomodori. Aumenti si sono invece registrati per le zucchine e sfiorano il 16%.

Non solo Altroconsumo, anche Coldiretti ha provveduto a una stima dei rincari e registra un aumento del costo della carne di pollo pari al 6%, stesso aumento anche per il pesce fresco.

Secondo Coldiretti vistosi aumenti si sono registrati anche per i costi delle bevande il cui prezzo è in media aumentato del 4,6%. Molto probabilmente in questo caso ad influire sono le spese di trasporto, considerando l’aumento dei carburanti e i costi energetici legati agli stabilimenti di produzione.

Assocarni invece registra un aumento del costo della carne bovina all’ingrosso del 20%. Giustifica tale aumento con il rincaro dei prezzi del cereali con cui gli animali sono alimentati. Si tratta di una sorta di reazione a catena. Naturalmente l’aumento dei prezzi all’ingrosso si ripercuote sui consumatori che al banco trovano brutte sorprese.

Naturalmente i prezzi dei beni di prima necessità accompagnano gli aumenti del prezzi energetici e proprio per questo l’inflazione è galoppante.

Grano duro: in aumento le importazioni dal Canada

Grano proveniente dal Canada, destinato alla produzione di pasta senza che ne venga indicata l’origine sull’etichetta. Questo sta avvenendo in Italia, con un aumento del 15% delle importazioni, senza che i consumatori ne siano al corrente, e il fatto è stato denunciato da Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi due mesi del 2017.

In totale, più della metà del grano duro importato in Italia proviene proprio dal Canada, dove si fa un uso intensivo di glifosate nella fase di pre-raccolta, vietato in Italia perché considerato cancerogeno.
La mancanza di etichetta non permette di capire l’origine della materia prima, e impedisce altresì ai consumatori di decidere e difendere le realtà produttive nazionali.

A questo proposito, Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, ha dichiarato circa la mancanza di etichettatura: “Si tratta di un provvedimento fortemente sostenuto e atteso dalla Coldiretti per garantire maggiore trasparenza negli acquisti e fermare le speculazioni che hanno provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione. Il taglio dei prezzi pagati agli agricoltori sotto i costi di produzione ha provocato praticamente la decimazione delle semine di grano in Italia con un crollo del 7,3% per un totale di 100mila ettari coltivati in meno che peseranno sulla produzione di vera pasta italiana nel 2017, oltre che sull’ambiente, sull’economia e sul lavoro delle aree interne del Paese. In pericolo non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy”.

L’Italia, inoltre, rimane il principale produttore europeo e secondo mondiale di grano duro, destinato alla pasta con 5,1 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a 1,4 milioni di ettari che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 41% della produzione nazionale, seguite dalle Marche.
Ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro arrivano dall’estero in un anno senza che questo sia noto ai consumatori in etichetta.

Vera MORETTI