Investire sì, ma nella qualità

Partiamo con una puntualizzazione doverosa all’articolo sulla Bce della scorsa settimana: Draghi ha poi sostenuto che non intende stampare nuova moneta, che nessun Paese uscirà dall’Euro e che la Bce metterà a disposizione interventi illimitati. Ho la massima stima di Draghi, ma è un programma impegnativo, vediamo se sarà rispettato.

E veniamo al tema di oggi. Si parla sempre di rendimento, al massimo di diversificazione o di rischio, dell’investimento. Non si parla mai della qualità degli investimenti finanziari, cioè del loro comportamento di fronte ad eventi catastrofici (qualità della gestione) o della loro possibilità di subire tracolli (qualità dell’emittente). La qualità dell’emittente riguarda le scelte di gestione finanziaria, ma anche di gestione amministrativa ed economica, del prodotto.

Queste scelte condizionano l’andamento, nel tempo, del prodotto finanziario. Ad esempio basse commissioni di gestione per un fondo, la distribuzione costante degli utili per un’azione, il pagamento puntuale delle cedole per un’obbligazione sono tutti indicatori di una buona qualità. A ciò bisogna però associare la solidità finanziaria e la trasparenza dei bilanci societari dell’azienda (o dello Stato) emittente, nonché i buoni propositi per il futuro (piani strategici, industriali).

La qualità di gestione, invece, significa affrontare i mercati, mantenendo fede ai patti presi con gli investitori. E non è facile. Ad esempio, se un fondo comune di investimento si definisce “monetario”, non dovrebbe investire in derivati. Oppure se si chiama “obbligazionario”, non dovrebbe esagerare con le azioni in portafoglio. Di questi esempi ce ne sono a migliaia, il concetto è che le regole stabilite non sempre sono chiare e a volte lasciano una discrezionalità eccessiva al gestore. Un ‘comune mortale’ rischia di investire in un prodotto finanziario che credeva immune dai derivati o dalle azioni, e che invece non lo è.

E proprio i derivati sono gli ingredienti maggiormente utilizzati dai fondi. Il derivato è uno strumento, non è buono ne’ cattivo, dipende quale uso se ne fa. Il problema semmai è l’ effetto leva, cioè guadagno o perdo più di quello che ho investito, e l’ uso indiscriminato e non necessario. Infatti, se un fondo è obbligazionario, ma contiene derivati, il rischio percepito dall’investitore è inferiore a quello realmente sostenuto dal prodotto.

Altri protagonisti della qualità possono essere titoli “spazzatura”, valute “esotiche”, partecipazioni in società non quotate acquistati da gestori con pochi scrupoli.

Purtroppo, si può toccare con mano la qualità solo dopo che è avvenuto un disastro finanziario: casi Parmalat o Lehman, Grecia o Islanda hanno fatto capire, a chi aveva investito in questi prodotti, quanto fosse bassa la loro qualità. Se non avviene nulla di così eclatante, è abbastanza difficile, per il normale investitore, percepire quanto rischio si è evitato scegliendo prodotti qualitativamente superiori. E’ compito di un buon consulente ricercare prodotti di qualità elevata, mantenendoli sotto osservazione, nel tempo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Euro in crisi? Ecco come salvare il patrimonio

Se, dopo lunga agonia, l’Italia verrà estromessa dalla Zona Euro oppure se altri Paesi meno critici decideranno di uscirne per non essere travolti dal disastro oppure, ancora, se si creeranno due Zone Euro “ a diversa velocità”, in ogni caso ci troveremo con una valuta più debole e un potere d’acquisto ridotto.

Quindi, tutto ciò che è prodotto in Italia varrà di meno, compresi i prodotti finanziari, anche se li acquisteremo all’estero; per esempio, un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito da una SGR italiana, subirà la stessa sorte di un fondo di diritto italiano, poiché fa fede la valuta del Paese in cui è emesso o gestito.

Quali strumenti sono in grado di evitare la perdita del potere d’acquisto? Innanzitutto bisogna valutare quanto è concreto il rischio che si avveri l’ipotesi di uscita dall’Euro ed attribuire una percentuale al fatto che l’evento si verifichi. Poi è necessario ipotizzare di quanto potrebbe svalutarsi la nostra moneta; del 10%, del 50%…? Infine, è da considerare quanta parte del capitale è direttamente connesso al rischio Paese; ad esempio quanti titoli di Stato, quanti immobili sono posseduti in Italia, quanti titoli di società italiane sono attualmente in portafoglio. Fatte queste considerazioni, si può pensare di investire una parte del patrimonio a protezione del rischio. Quanta parte, dipende dalle variabili appena elencate.

Quali sono gli investimenti da prendere in considerazione? Valute non Euro e non collegate ad esso, beni reali, titoli emessi da società e Paesi non Euro. Sopratutto ciò che ha un valore di fondo concreto e non creato solamente dalla finanza. Titoli di Stato di Paesi ancora solidi e con valuta forte, titoli di aziende in utile e in crescita, beni reali non legati a mode o a Paesi specifici (se avete una casa, è vincolata all’andamento del Paese dove è costruita, se avete un lingotto d’oro è indifferente dove lo avete acquistato e dove lo volete vendere o portare).

La diversificazione è quanto mai opportuna anche in questo caso, quindi non concentrate tutte le uova nello stesso paniere, ma suddividete su mercati, Paesi, emittenti beni diversi, in proporzioni adeguate all’intero patrimonio e al rischio preso in considerazione.

Non è consigliabile fare un simile piano da soli, è opportuno farsi consigliare da chi, in maniera indipendente e senza conflitto di interesse, può dare un parere nel vostro esclusivo interesse. Insomma, non chiedete all’oste se il vino è buono, piuttosto assumete un sommelier che vi aiuti nella scelta migliore per voi.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Salverò il mio patrimonio?

Se e quando l’Italia uscirà dalla Zona Euro non ci è dato saperlo. Il problema è che, oltre alle difficoltà economiche di quasi tutti gli Stati “forti” (Cina compresa), stiamo vivendo una difficoltà di carattere politico. Cioè l’economia e la finanza sono in balia, sempre più, delle decisioni politiche europee.

Si diffonde anche il dubbio che questa classe politica sia veramente all’altezza della situazione e che sia davvero in grado di trovare soluzioni valide per il nostro futuro, non il solito rappezzo alla bell’e meglio. Che l’Unione Europea non abbia le idee chiare su come debba svolgersi la politica monetaria e fiscale, non è un mistero. Una “Unione” dovrebbe, come minimo, avere unità di intenti, altrimenti potremmo chiamarla “Separazione Europea”, forse calzerebbe meglio.

In questo clima totalmente incerto, cosa potrebbe accadere alla nostra moneta unica?

Gli scenari sono diversi:

1)  Si potrebbero creare due Zone Euro, una serie A, con i Paesi più virtuosi (sempre meno) e una serie B (molto più affollata), con due monete diverse, l’attuale Euro per la zona A e un Euro B (svalutato) per la zona B;

2)  Alcuni Paesi “virtuosi” potrebbero decidere di uscire dall’area Euro attuale, utilizzando la moneta d’origine (rivalutata);

3)  Alcuni Paesi potrebbero essere estromessi dall’area Euro e tornare alla propria moneta d’origine (svalutata).

Potrebbe anche esserci un mix delle diverse soluzioni.

Non credo che tutto questo possa accadere in tempi brevi, penso più che altro ad una lenta agonia, basta guardare alla Grecia per capire.

Certamente, il nostro Paese è tra quelli meno virtuosi, declassato dalle agenzie di rating, con prestiti obbligazionari che rendono percentuali da Paesi emergenti.

Che cosa succede se si verificano le ipotesi suggerite? In qualsiasi caso, gli Italiani perderanno potere d’acquisto. Quindi se si è investito del denaro in euro in Italia, si vedrà una riduzione dei valori reali. Anche se si comprata una casa, un’auto d’epoca, un quadro, in Italia tutto ciò varrà di meno. Solo alcuni beni reali saranno in grado di sostenere l’impatto, e ne parlerò prossimamente.

Ora vorrei concentrarmi sugli investimenti in azioni, obbligazioni, fondi, certificati, etf, conto deposito, conto corrente. Molti, spaventati da quanto accade e incerti sul da farsi, lasciano le proprie disponibilità economiche sul conto corrente o al massimo su un conto deposito: nel caso del conto corrente, se la banca fallisce, non ci sono tutele. Nel caso del conto deposito, la tutela esiste, ma è labile, e spiegherò prossimamente che cosa significa. Anche un investimento in un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito in Italia, potrebbe seguire la stessa decurtazione di valore. Si salverebbero solo gli investimenti in valuta non Euro e non gestiti da SGR italiane.

Non sto suggerendo di investire tutto in valuta, ma sarebbe opportuno riflettere e farsi consigliare da qualcuno che non ha interessi in gioco, se non quello del cliente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

In Italia gli stipendi più bassi d’Europa

Un lavoratore italiano guadagna in media la metà che un dipendente in Germania, Lussemburgo e Olanda. Lo dicono i dati nell’ultimo rapporto diffuso da Eurostat “Labour market Statistics”, prendendo come riferimenti gli stipendi lordi annui del 2009: il Bel Paese si piazza al 12° posto nell’area euro, più in basso di Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro.

“In Italia abbiamo salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività” ha commentati il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che si è detta però fiduciosa sulla possibilità di un’intesa sulla riforma del lavoro e del temuto articolo 18.

Ma veniamo ai dati emersi dall’indagine Eurostat: il valore medio dello stipendio annuo in Italia per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (ovvero con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro.
In Lussemburgo il medesimo valore medio si attesta a quota 48.914 euro, in Olanda 44.412 euro e in Germania a 41.100 euro. L’Italia è prima solo su il Portogallo (17.129 euro l’anno).

Il rapporto diffuso da Eurostat amplia lo sguardo anche sui dati di crescita delle retribuzioni lorde annue dell’Eurozona: l’avanzamento per l’Italia risulta però tra i più ridotti. Dal 2005 al 2009 il rialzo è stato del 3,3%, molto distante anche dai dati sulla crescita riportati da Spagna ( +29,4%) e Portogallo (+22%).

Una buona notizia per l’Italia, arriva quantomeno dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama “unadjusted gender pay gap”. Ma si tratta solo di un’illusione: l’Italia, con un gap tra uomini e donne attorno al 5% è di gran lunga sotto la media europea, pari invece al 17%, risultando seconda solo alla Slovenia.

Veicoli commerciali: la crescita continua, ma ancora per poco

di Vera MORETTI

L’ACEA, Associazione europea dei costruttori di autoveicoli ha diramato i dati riguardanti le vendite di mezzi commerciali, industriali e autobus nel mese di novembre nel mercato continentale (area UE27).

Il bilancio può essere definito positivo, dal momento che sono state immatricolate 161.670 unità con un aumento dell’8,4%. Questo risultato lo si deve soprattutto a Germania, che ha registrato un personale +18.9%, Regno Unito, +18% e Francia, +5,9%.

Il totale delle unità vendute tra gennaio e novembre è di 1.769.994 unità, pari ad una crescita del 10,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. ACEA sottolinea che nell’Unione dei 27, dalla quale sono esclusi Malta e Cipro, i cui dati non sono disponibili, a contribuire a questa crescita sono stati soprattutto Paesi come la Francia, +9,9%, e la Gran Bretagna (+19,4%).

Nonostante ciò, comunque, bisogna ricordare che tali dati non risentono ancora dell’ondata di crisi che ha colpito anche questa fetta di mercato, ma già qualcosa si presagisce, considerando che, se la crescita nel mese di novembre era del 9%, quest’anno, nello stesso periodo, è del 10,8%, con un +1,8% che fa intendere quale potrebbe essere la tendenza per i prossimi mesi.

Più evidente è la crescita in altre zone d’Europa, con Lettonia e Lituania in testa, che registrano rispettivamente +169,6% e +105,2%. A seguire Estonia, +82,8%.
Sono andate male, invece, Grecia, – 44,8%, Portogallo, – 25,3%, Bulgaria, -8,2%, Spagna, -5,9% e Italia, -0,7%.

Considerando nel dettaglio i vari comparti, i modelli commerciali fino a 3,5 tonnellate è calato, in Italia, del 2,1%, in controtendenza con le stime europee, che parlano di un +8%.
Anche il mercato dei mezzi per merci con portata superiore a 3,5 tonnellate in Europa è ancora positivo, ma sta comunque rallentando. Nel mese scorso la crescita è stata infatti del 10,5%, mentre da gennaio a novembre l’incremento è stato del 29,7%. Per l’Italia invece novembre è in calo dello 0,4% e il consuntivo a fine novembre mostra ancora un incremento del 6,2%.
Diversa è la situazione per quanto riguarda gli autobus, che ha registrato una crescita del 29,5%, con un calo a livello europeo dello 0,9%.

L’Italia non merita di fallire. Noi sosteniamo l’Italia

A volte dalle nostre pagine ci è capitato di non essere d’accordo con quanto affermato dai vertici di Confindustria. Ultimamente, però, su un’affermazione di Emma Marcegaglia ci troviamo d’accordo. Qualche giorno fa la leader degli industriali ha infatti affermato che l’Italia non merita di fare la fine della Grecia, ormai tecnicamente fallita. “Non merita”, appunto, non “non può”. Non merita di fallire. Per diversi motivi.

Intanto, i conti pubblici rispetto all’inizio dell’anno non hanno subito drammatici peggioramenti. Se è vero che il debito di Stato supera i 1900 miliardi di euro e ha una quota nel 2012 in scadenza, compreso il disavanzo, che si aggira intorno al 23,5% dell’ammontare – superiore a quella di ogni altro Paese dell’euroarea, Grecia compresa (che è al 16,5%) – è pur vero che la durata media del debito italiano è la più alta (7,2 anni) e la quota in mani straniere la più bassa, solo al 42%.

Poi, per quanto possa sembrare un inutile mantra, il fatto che i fondamentali economici italiani siano solidi è innegabile; del resto, siamo la prima economia europea per vocazione manufatturiera la seconda per volumi di export. Inoltre, la quota di risparmio privato nelle mani degli italiani è la più alta del mondo, un dato che ci distingue da sempre e che sbattiamo volentieri in faccia a quanti ci accusano di essere un popolo di cicale: l’italiano è formica, caso mai cicale si sono dimostrati i nostri politici negli ultimi 30 anni. Il fatto che li abbiamo votati noi non ci esime da colpe, ma il risultato è che il debito lo hanno fatto loro e quanti come loro hanno ricoperto posizioni istituzionali e amministrative di alto livello: il fatto che vogliano ripianarlo mettendo le mani nelle nostre tasche prima che nelle proprie, è solo un estremo atto di codardia intellettuale.

E ancora. L’Italia non merita di fallire perché è una fonte di contagio formidabile per il mondo e il mondo, nella veste dell’Fmi, non si farà scrupoli a intervenire con i carri armati (figurati, s’intende) per farci cambiare registro prima che sia troppo tardi per tutti. Del resto, un default italiano significherebbe il concreto deragliamento dell’euro che coinvolgerebbe gli altri Paesi in un effetto domino; prima fra tutti la Francia, le cui banche sono le più esposte in quanto a debito italiano in portafoglio e che, in questi giorni, si è sentita bruciare il fondoschiena per via dello scivolone di Standard & Poor’s che ha lasciato intendere un downgrade del Paese. Con Sarkozy terrorizzato di perdere la tripla A tanto quanto Berlusconi è terrorizzato di perdere la propria virilità. E un flop dell’euro tanto tabù non è, visto l’Europa ha una moneta unica ma non una politica economica comune e che Paesi come la grande Germania hanno già fatto i conti di quanto perderebbero o guadagnerebbero uscendo dalla moneta unica, stanchi di pagare sempre e per tutti.

Infine, l’Italia non merita di fallire perché il modo di raddrizzarne i conti e stimolarne la crescita esiste; interventi sulle pensioni di anzianità, dismissioni ciclopiche del patrimonio pubblico, taglio della spesa corrente e dei costi della politica. Interventi duri, in parte antipopolari in parte no, ma la cancrena è troppo avanzata per continuare con le aspirine: ora ci vuole la chemio, dura e aggressiva. Sperando che basti.

Per questo, perché siamo un popolo capace e tenace e per tanti altri motivi, noi pensiamo che l’Italia non meriti di fallire e non possa farlo. Siete con noi? Firmate virtualmente il nostro manifesto facendo Like sulla pagina Facebook SOSTENIAMO L’ITALIA.

ITALYNEWSWEEK

Altro che Grecia, l’Italia si rimette in gioco

A pochi giorni dall’annuncio dell’ex premier Silvio Berlusconi di lasciare il comando del governo e a poche ore dall’insediamento dell’esecutivo Monti, economista di fama internazionale a cui è stato affidata la guida del governo tecnico, l’Italia si interroga sul proprio futuro. La sfida che aspetta il nuovo governo è ardua, l’esempio catastrofico della Grecia è dietro l’angolo che ci guarda ammiccante. Siamo italiani, siamo combattivi, siamo preparati e abbiamo una certa abilità a “curare” le emergenze. Chi annuncia la morte del Paese lo fa per disfattismo e per alimentare il disorientamento dell’opinione pubblica. In realtà sapendo comandare bene il timone e con un pizzico di fiducia potremo allontanarci dalle acque agitate e portare il nostro barcone verso acque più tranquille. Il grande mare di opportunità e ripresa economica si trova solo ad un giro di boa, l’ultima di una serie, di certo la più difficile da affrontare ma pur sempre l’ultima. E’ imperativo non gettare la spugna proprio ora.

Perchè l’Italia ce la farà? Che cosa ci differenzia dalla Grecia?
Su un’altra sponda del Mediterraneo, il nuovo primo ministro è Lucas Papademos a capo di un governo tecnico composto da una coalizione di socialisti e dalla destra. Al recente discorso di insediamento ha confermato che  il deficit del Paese nel 2011 sarà ridotto “a circa il 9%” del Pil dopo il 10,6% nel 2010 e 15,7% nel 2009. Secondo il premier, il primo obiettivo che il nuovo governo si è prefissato è di ottenere la sesta tranche di aiuti internazionali. Ottenuti i finanziamenti si potranno completare le trattative con la troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) su un secondo piano di salvataggio.

Il deficit dell’Italia oscilla tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Molto, ma non irrimediabile. La catastrofe greca è stata la conseguenza di una situazione economica ben più grave (si parla di 330 miliardi di euro di debito) e soprattutto nessun piano per il futuro nel medio-breve tempo. Per quanto riguarda il rapporto deficit/Pil le stime sono state corrette dall’Unione Europea: nel 2012 si prospetta un rapporto pari al 2,3% e nel 2013 all’1,2% (le nostre stime erano dell’ 1,5% e 0,1%). In ogni caso bel lungi dai conti neri della Grecia.

La nuova guida del Paese
Il nuovo premier in Italia è Mario Monti, economista, ex commissario europeo per il Mercato Interno e per la concorrenza. Dopo l’incarico ricevuto da Napolitano e la formazione del suo governo ha detto che serviranno sacrifici (“non lacrime e sangue”) per risollevare l’Italia e che il suo esecutivo non avrà una scadenza predeterminata: “La predeterminazione della durata toglierebbe credibilità al governo, non accetterei una definizione temporale”. Il primo obiettivo è la gestione dell’emergenza economica  e l’adozione di misure “conomiche e sociali di crescita ed equità fiscale. “Dobbiamo realizzare la massima coesione per permettere all’Italia di essere protagonista come lo è stata in passato”, ha ribadito Napolitano. L’eco dei partiti politici di ogni fazione sembra essere stata forte. Tutti, chi più chi meno sono disponibili a trattare col nuovo governo, l’unica forza che attualmente si dichiara indisposta è la Lega Nord.

Fin dal piano di azione si notano le differenze con la Grecia. Il nostro Paese è sì in balia della corrente ma non è affossato. Dal punto di vista operativo, non si stanno cercando aiuti internazionali in maniera esplicita, si cerca piuttosto coesione interna e l’approvazione di riforme urgenti che permettano di virare con profitto (come ribadito da Emma Marcegaglia). Dal punto di vista economico si sono già avviate vendite di BTP (con la più recente  si è cercato di collocare tra gli 1,5 e i 3 miliardi di euro per titoli a 5 anni). Monti sembra voler appoggiare i giovani e sostenere il mercato del lavoro, cosa che in Grecia non è avvenuta prima del collasso. Gli indignados greci hanno a buona ragione cominciato a manifestare ben prima di noi italiani, per loro l’acqua alla gola è salita molto rapidamente senza possibilità di arginare le falle visto l’enorme ritardo nell’azione.

Reputazione internazionale
Anche la stampa internazionale, dopo attacchi reiterati e preoccupazione crescente, sembra guardare all’Italia con minore scetticismo. I cugini spagnoli hanno espresso fiducia per la rinascita italiana dalle colonne de El Pais, giudicando positivamente le nostre intenzioni di operato. L’Europa rimane in attesa di risultati dopo le numerose bacchettate dell’ultimo periodo. Nonostante il giudizio rimanga cauto l’Ue sembra credere nella nostra ripresa, anche se il cambio di governo non rappresenta di per sè la via di salvezza. Il portavoce del commissario agli affari economici Olli Rehn sembra aver apprezzato il rigore ed equilibrio annunciati da Monti tra consolidamento di bilancio e riforme strutturali. La Commissione ha annunciato che il primo rapporto sull’Italia sarà presentato da Rehn alla riunione dei ministri Eurogruppo il 29 di questo mese. Sarà per il Paese il giorno del verdetto. Intanto spetta a noi dimostrare di saperci rimboccare le maniche, di riuscire a guardare avanti e prospettare il giusto futuro che spetta la nostra Italia. Solo in questo modo sapremmo riavvicinare i partner europei che ci hanno scaricato ai primi accenni di crisi.

Risalendo ai motivi che hanno portato la Grecia alla débâcle si può affermare, in maniera semplicistica ma veritiera che lo Stato ha vissuto per anni ben al si sopra delle sue possibilità. Ad un certo punto si è toccato il fondo. In Italia questo comportamento non è mai stato esasperato, e a periodi di fasti si sono sempre accompagnati momenti di rigore che nel bene o nel male hanno riallineato l’ago della bilancia evitando di cadere nel precipizio. Il neo premier greco dovrà scontrarsi anche con l’eccessiva presenza del pubblico nell’economia. I lavoratori statali sono quasi 900 mila su 11 milioni di abitanti: un eccesso. In un momento difficile per tutti la Grecia non ha saputo adeguarsi sul fronte della riforma della pubblica amministrazione, delle pensioni, della sanità, delle privatizzazioni. Ha così perso l’opportunità di investire in maniera saggia i finanziamenti europei, ha eroso rapidamente il welfare, ha annientato la credibilità. Morale della favola, la Grecia si trova in uno dei momenti più neri della sua storia costretta ad un regime di austerità. L’Italia si trova in un momento difficile in cui può mostrare il suo valore, la sua forza e anche la capacità di farsi aiutare (non è certo una vergogna chiedere una mano internazionale). L’Italia ce la deve fare e ce la farà.

Mirko Zago

Crisi, c’è l’accordo sul pacchetto di misure

La maratona salva-euro durata oltre dieci ore porta a casa, quasi all’alba, tutti i risultati ormai insperati. I leader dell’Eurozona hanno trovato un accordo su un pacchetto “completo” di misure anti-crisi che metterà in sicurezza le banche attraverso ricapitalizzazioni per 106 miliardi di euro, darà certezza ai Paesi a rischio con un fondo salva-Stati da oltre 1.000 miliardi e salverà la Grecia con nuovi aiuti per 130 miliardi, facendo pagare un prezzo maggiore alle banche esposte con Atene per ridurre il debito del Paese. E anche l’Italia rientra nel piano dell’Eurozona per arginare la crisi dei debiti: gli impegni che ha preso vengono inseriti nelle conclusioni del summit, che plaude alle misure annunciate ma incalza sulla loro applicazione, guardando subito alla prossima tappa, ovvero un piano pensioni definito entro dicembre. Di seguito tutte le “decisioni estremamente importanti del vertice Ue”, come ha sottolineato il presidente della Bce Jean Claude Trichet:

BANCHE. L’Europa ha deciso di ricapitalizzare quelle ‘sistemiche’, già sottoposte agli stress test, cioé 90 in tutto. Significa trovare, entro giugno 2012, 106 miliardi di euro, e per quelle italiane 14,7 miliardi. Gli sforzi serviranno per portare il coefficiente patrimoniale al 9%. Per rifinanziarsi dovranno trovare prima capitali propri, anche attraverso ristrutturazioni e cartolarizzazioni, poi potranno chiedere l’intervento degli Stati e solo in ultima battuta può intervenire il fondo salva-Stati Efsf. Inoltre, quelle in fase di ricapitalizzazione non potranno distribuire dividendi né bonus. E dovranno essere valutate “le esposizioni al debito sovrano dell’area euro, calcolate ai valori di mercato al 30 settembre 2011”.

FONDO SALVA-STATI. L’Efsf aumenterà la sua potenza di fuoco di 4-5 volte, fino a raggiungere i 1000 miliardi di euro. Lo farà attraverso due opzioni: vendendo assicurazioni sui titoli dei Paesi, e con uno strumento ad hoc, lo ‘special purpose vehicle’, che attrarrà fondi da investitori esterni (come la Cina a cui Sarkozy ha aperto) e istituzioni (come il Fmi, che ha già dato la sua dipsonibilità).

PERDITE BANCHE ESPOSTE IN GRECIA. L’accordo è per un taglio del valore nominale dei titoli del 50%. Tutti, tranne quelli detenuti dalla Bce. Accettando queste perdite, le banche assicureranno al debito greco di tornare nel 2020 ad un livello sostenibile, ovvero al 120% sul pil. Obiettivo che sarà raggiunto anche grazie a un contributo ulteriore del programma di aiuti pari a 130 miliardi di euro entro il 2014. La revisione del secondo piano salva-Grecia dovrà essere approvato entro il 2011 e l’operazione sui bond greci dovrà essere realizzata all’inizio del 2012.

ITALIA. L’Eurozona è soddisfatta degli impegni presentati dall’Italia e chiede a Roma di “presentare urgentemente” un ambizioso calendario per la realizzazione delle riforme. Per quanto riguarda le pensioni, i leader “prendono nota” delle intenzioni italiane e chiedono che entro dicembre venga presentato un piano dettagliato su come raggiungere l’obiettivo.

Fonte: Ansa.it